Sentenze – Licenziamento per giustificato motivo oggettivo nel caso di soppressione del ruolo

Clara Rampollo, Consulente del Lavoro in Pavia

Cass., sez. Lavoro, Ord. 14 novembre 2023 n. 31660

La vicenda riguarda il rigetto del reclamo proposto alla Corte di appello di un privato lavoratore contro la sentenza del giudice del lavoro di Bolzano che ha respinto l’impugnazione contro il suo licenziamento per giustificato motivo oggettivo; la Corte di appello di Trento, sezione staccata di Bolzano, aveva infatti già respinto il reclamo proposto dallo stesso lavoratore alla sentenza del giudice del lavoro di Bolzano che rigettava la contestazione alla cessazione del rapporto di lavoro. La Corte di Cassazione rigetta l’istanza presentata dal lavoratore licenziato per motivi procedurali e di sostanza; in particolare respinge quattro ed accoglie due dei sei motivi di ricorso. Di seguito esaminiamo i sei punti: 1 – Essendo il lavoratore già stato licenziato per giustificato motivo oggettivo dalla medesima azienda il fatto costituisce una mera reiterazione del primo anche se il “motivo del risparmio” è diversamente qualificato e pertanto si sostiene la violazione del principio generale del ne bis in idem: il lavoratore non può essere licenziato per un medesimo fatto. Questo motivo risulta infondato in quanto il contenuto dei due atti di recesso è sostanzialmente diverso avuto riguardo alle ragioni adottate e al lasso di tempo intercorso tra l’uno e l’altro licenziamento; in particolare il primo recesso era stato irrogato in considerazione del constatato inutilizzo del lavoratore a fronte di una situazione economica difficile che imponeva al datore di lavoro, una fondazione, di tagliare i contributi, le sovvenzioni e gli sprechi di denaro pubblico e non a seguito del rifiuto di accettare la proposta di trasformazione di contratto a tempo pieno a tempo parziale fatta dalla Fondazione il 05/12/16. Il secondo recesso intimato il 03/02/2017, invece, fa rifermento alla necessità di ripianare il deficit di bilancio nell’ambito di una politica programmatica che doveva tendere a ridurre anche i costi del lavoro applicando i criteri di scelta di cui alla L. n. 223/91. Il riferimento alla precedente offerta di trasformare il contratto a tempo indeterminato da tempo pieno a part time ridotto al 50% era stata fatta solo per assolvere al tentativo di repêchage all’interno di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo e pertanto nella seconda lettera si dava atto del rifiuto fatto a suo tempo dal dipendente della proposta senza che lo stesso costituisse il motivo del recesso che invece è da rinvenire nella oggettiva situazione di difficoltà economica. 2 – Essendo stato Giudice Relatore la stessa persona dell’impugnazione del precedente licenziamento, la sentenza relativa alla successiva cessazione del rapporto di lavoro è nulla ex art. 360, co. 1, n. 4 per violazione degli artt. 101 e 350 c.p.c. Il Consigliere Relatore giudicante il licenziamento, vista la sua posizione di Relatore estensore anche nel precedente giudizio di cessazione del rapporto di lavoro, aveva richiesto la possibilità di astenersi ma la Presidente della Corte preposta aveva rigettato l’istanza sul presupposto che il secondo procedimento atteneva ad un altro e successivo atto di licenziamento che implica un’autonoma diversa valutazione dei fatti. Questo motivo risulta quindi infondato in quanto il ricorrente avrebbe dovuto far valere il difetto di capacità del giudice esercitando l’onere di ricusazione, non essendovi mezzi diversi, nemmeno in sede di impugnazione per far valere la violazione dell’obbligo di astensione del giudice come motivo di nullità della sentenza (v. Cass. n.16831/22). 3 – Essendo il ricorrente già stato licenziato per presunti motivi di risparmio si deduce l’inesistenza del nesso di causalità tra esigenza produttiva ed organizzativa che attesa la peculiarità del reiterato licenziamento ne comporta la nullità della sentenza per motivazione apparente. 4 -Si denuncia la violazione in tema di nesso di causalità tra licenziamento e motivi, la violazione e falsa applicazione dell’art. 3, L. n. 604/1966 e dei principi di cui all’art. 20, c. 1, lett. b), Decreto legislativo n. 81/2015. Il 3’ ed il 4’ motivo sono stati esaminati insieme in quanto connessi all’inesistenza del nesso di causalità e sono stati entrambi accolti. La Corte giudicante, infatti, non avrebbe correttamente accertato che i costi da ridurre dovessero necessariamente riguardare la posizione di lavoro rivestita dal ricorrente. Così facendo la Corte d’appello avrebbe non solo violato le regole in materia di accertamento del necessario collegamento causale tra la ragione e la soppressione del posto di lavoro ma anche quelle sull’effettività della ragione economica “comunque addotta” dal datore di lavoro a fondamento del licenziamento, peraltro in relazione alla posizione di un dipendente già soppresso precedentemente. Ai fini del controllo del giustificato motivo oggettivo la ragione organizzativa e/o produttiva collegata ad una politica di riduzione dei costi deve essere valutata nella sua concreta esistenza ed entità onde accertare l’effettività della scelta di soppressione di un posto di lavoro senza interferire con la discrezionalità delle scelte datoriali. 5 – Essendo stata violata l’applicazione della Direttiva 1999/70/CE e dell’art. 13, co. 3 c.c., il licenziamento è nullo per causa illecita. Questo motivo risulta infondato sia per le modalità di articolazione delle censure per via della mescolanza e sovrapposizione di mezzi di impugnazione eterogenei e sia per la novità delle stesse censure in quanto mirano alla revisione del giudizio formulato dalla Corte d’appello in ordine alla insussistenza di una fattispecie di nullità del licenziamento per causa illecita formulato dai giudici di merito che risulta essere impossibile di fatto in quanto manca il carattere unico e determinante del motivo illecito tale da stabilire la presenza di un licenziamento ritorsivo e/o esemplare. 6 – In relazione alla regolazione delle spese di lite effettuata dalla Corte di appello si prospetta la violazione e la falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. in combinato disposto con l’art. 185 bis c.p.c. Questo motivo resta assorbito per effetto della sentenza di cassazione che rideterminerà nuovamente le spese di giudizio. In conclusione, sono stati accolti il terzo ed il quarto motivo di ricorso mentre sono stati respinti il primo, il secondo e il quinto, assorbito il sesto.


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