Sentenze – Licenziamento per giustificato motivo oggettivo: il giudice deve accertare la sola insussistenza del fatto posto a base del recesso datoriale anche sul repêchage

Elena Pellegatta, Consulente del Lavoro in Milano

Cass., sez. Lavoro, 11 dicembre 2024, n. 30079

La vicenda prende avvio dal ricorso del lavoratore, licenziato per giustificato motivo oggettivo per soppressione della posizione lavorativa da parte del datore di lavoro. La Corte territoriale dichiarava improcedibile il reclamo incidentale della società per omessa notifica alla controparte e nell’esaminare il reclamo principale del lavoratore, accertava l’effettività del riassetto organizzativo. Infatti, già prima del licenziamento il datore di lavoro aveva avviato un processo di ridimensionamento e progressivo superamento della funzione svolta dal lavoratore, accertando quindi la sussistenza della ragione economica addotta dalla datrice. Ha, invece, ritenuto che la statuizione del tribunale, sulla mancata prova dell’impossibilità di repêchage, in considerazione del fatto che altre e numerose erano le posizioni disponibili non valutate dal datore di lavoro, fosse divenuta irrevocabile e che il mancato assolvimento dell’obbligo di repêchage non si potesse ritenere evidente, facilmente verificabile e chiaramente pretestuoso, quindi non fosse tale da rendere “manifesta” la insussistenza del fatto, con conseguente applicazione della tutela indennitaria. Ricorre il lavoratore fino in Cassazione e gli Ermellini, una volta confermata la statuizione d’appello sulla assenza di ritorsività del licenziamento, devono esaminare il primo motivo del ricorso principale, che è fondato. Infatti, con tale motivo il lavoratore censura l’applicazione dell’art. 18, comma 7, St. Lav. quanto al requisito della “manifesta” insussistenza del fatto e deduce, in sostanza, che la Corte d’appello ha sbagliato a non sussumere la violazione dell’obbligo di repêchage, come concretamente accertata, nella categoria della “manifesta” insussistenza, intesa come insussistenza evidente e facilmente verificabile. Secondo l’orientamento consolidato della Suprema Corte, in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, la verifica del requisito della “manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento” previsto dall’art. 18, comma 7, St. lav., come novellato dalla Legge n. 92 del 2012, concerne entrambi i presupposti di legittimità del recesso e, quindi, sia le ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa sia l’impossibilità di ricollocare altrove il lavoratore, c.d. “repêchage”. Tali presupposti, pur nel loro autonomo spazio applicativo, si raccordano tutti all’effettività e alla genuinità della scelta organizzativa del datore di lavoro, quale presidio atto a garantire che il licenziamento rappresenti «pur sempre una extrema ratio e non il frutto di un insindacabile arbitrio». La Corte Costituzionale ha inoltre rimarcato la “irragionevolezza intrinseca della disciplina censurata” evidenziando, tra l’altro, come “il requisito della manifesta insussistenza demanda al giudice una valutazione sfornita di ogni criterio direttivo e per di più priva di un plausibile fondamento empirico” e che “il presupposto in esame non ha alcuna attinenza con il disvalore del licenziamento intimato, che non è più grave, solo perché l’insussistenza del fatto può essere agevolmente accertata in giudizio”. Ne consegue quindi che, in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, l’accertamento del giudice che prelude all’applicazione della tutela reintegratoria attenuata prevista dall’art. 18, comma 4, St. Lav. ha ad oggetto la semplice insussistenza del fatto posto a base del recesso datoriale, non essendo più richiesta la verifica di manifesta inesistenza dei presupposti di legittimità dello stesso.


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