Sentenze – Licenziamento per abuso delle ore di permesso ex art. 33, comma 3, L. n. 104/1992

Clara Rampollo, Consulente del Lavoro in Pavia

Cass., Civile, Ord. sez. Lavoro 8 agosto 2024 n. 22523

La vicenda riguarda la contestazione del licenziamento per giusta causa che una società ha comminato ad un proprio dipendente per abuso dei permessi ex art. 33, co. 3, L. n. 104/1992.

Il tribunale di Reggio Emilia in primo grado ha ritenuto illegittimo il licenziamento e successivamente la Corte di Appello di Bologna ne ha confermato l’illegittimità rilevando che il lavoratore ha utilizzato la maggior parte delle ore coincidenti con l’orario lavorativo proprio per l’assistenza al familiare bisognoso. I piccoli discostamenti tra l’orario del congedo ed il tempo dedicato all’assistenza sono stati considerati irrilevanti, tanto che la Corte ha sottolineato che le esigenze di accudimento del disabile sono comunque prioritarie e non possono essere piegate per adattarsi ai permessi. La società ha comunque deciso di ricorrere alla Corte di Cassazione per tre motivi: – contestando l’affermazione che non sia necessaria una perfetta coincidenza tra orario dei permessi ed assistenza, verrebbe violato l’art. 33, comma 3 della L. n. 104/1992; – utilizzando le testimonianze de relato (testimonianza indiretta perché il testimone narra di un fatto che egli non ha percepito direttamente ma che dichiara aver appreso da un altro soggetto) verrebbero violati gli artt. 115 e 116 c.p.c. e gli artt. 2697 e 2712 c.c.; – contestando la valutazione della condotta del lavoratore verrebbe violato l’art. 18, commi 4 e 5, della L. n. 300/1970 e gli artt. 2106 e 2119 c.c. Questi tre motivi di ricorso si basano e trovano conferma su altrettanti tre principi giurisprudenziali: – il comportamento del lavoratore che non utilizza il permesso per l’assistenza del familiare disabile integra un abuso di diritto; – questa condotta priva il datore di lavoro della prestazione lavorativa e comporta la violazione dell’affidamento riposto nel dipendente; – questo atteggiamento costituisce un’indebita percezione dell’indennità ed uno sviamento dell’intervento assistenziale nei confronti dell’Ente di previdenza. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso parzialmente inammissibile confermando l’orientamento precedentemente espresso dalla Corte d’Appello in materia di abuso dei permessi e ritenendo infondata la parte restante del ricorso. La Suprema Corte ha ribadito in sentenza che non può sindacare nel merito essendo la sua valutazione limitata al controllo di legittimità, appartiene infatti al Giudice di merito verificare la concreta condotta del lavoratore valutando se l’esercizio del diritto dei permessi sia conforme o meno alla natura e alla finalità del congedo. La Corte Costituzionale pertanto ha ritenuto che la sentenza d’appello fosse conforme alla propria giurisprudenza consolidata in tema di condotte abusive; essendo però stato accertato che la maggior parte del tempo dei permessi fosse stata dedicata all’assistenza o comunque ad attività collegabili ad essa, la richiesta di rivalutare i fatti proposta dalla Società ricorrente è stata considerata inammissibile in sede di legittimità. Il nesso causale diretto fra la fruizione del permesso e l’assistenza alla persona disabile è un elemento essenziale della fattispecie, nesso che non va inteso in modo rigido tale da imporre il sacrificio totale delle esigenze personali del lavoratore. Si ribadisce pertanto che è richiesta una chiara funzionalizzazione del tempo liberato alla soddisfazione dei bisogni della persona disabile. Con questa sentenza la Corte di Cassazione ha cercato di bilanciare i diritti del lavoratore che assiste un familiare disabile con quelli del datore di lavoro, confermando un’interpretazione flessibile dell’uso dei permessi purché venga rispettata la finalità assistenziale. I permessi promuovono la solidarietà tra individui, sostenendo chi si prende cura dei familiari disabili. L’assenza dal lavoro deve porsi in relazione diretta con l’esigenza di assistenza al disabile prestata con modalità e forme diverse, anche attraverso il disbrigo di incombenze amministrative o pratiche nell’interesse del familiare assistito (nel caso specifico la catalogazione delle bollette della zia assistita). Il permesso non è consentito in funzione meramente compensativa delle energie impiegate per l’assistenza. La sentenza di cui è stato proposto il ricorso è conforme alla giurisprudenza della Corte di Cassazione in tema di condotte abusive di lavoratori che fruiscano di sospensioni autorizzate dal rapporto per l’assistenza e la cura di soggetti protetti ma non può essere oggetto di rivalutazione il giudizio di ammissibilità fatto dal giudice di merito nei precedenti gradi di giudizio in ordine ai fatti ed al compendio probatorio. In conclusione questa decisione rafforza l’ orientamento giurisprudenziale esistente sull’uso dei permessi ex art. 33, L.n. 104/1992 ribadendo l’importanza di proteggere il diritto dei lavoratori ad assistere i familiari disabili; allo stesso tempo si sottolinea comunque la necessità di prevenite gli abusi nell’utilizzo dei permessi confermando l’importanza di una valutazione attenta e specifica di ogni singolo caso da parte dei giudici di merito. L’uso improprio ha rilevanza disciplinare e viola il principio di correttezza e buona fede verso il datore di lavoro e l’ente previdenziale.


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