Cass., sez. Lavoro, 19 ottobre 2023, n. 29028
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, si è di recente espressa in merito alla falsa attestazione delle presenze in servizio. In particolare, il caso di specie riguarda una lavoratrice della P.A. che, dopo aver registrato la presenza in ufficio, si allontanava dal posto di lavoro, per cui, pur essendo assente, risultava formalmente presente. Con la Sent. 19 ottobre 2023, n. 29028, la Suprema Corte ha confermato quanto deciso nei due gradi di giudizio. Il Tribunale di Teramo – in primo grado – e la Corte d’Appello di L’Aquila – in secondo grado – hanno rigettato la domanda proposta dalla ricorrente con cui quest’ultima chiedeva che venisse dichiarata l’illegittimità del licenziamento disciplinare intimatole dal Comune alle cui dipendenze prestava servizio per assenza ingiustificata e falsa attestazione delle presenze. Il rigetto discende dal fatto che il Giudice ha ritenuto che il ricorso, sebbene ammissibile, fosse infondato. Infatti, diversamente da quanto argomentato dalla ricorrente, le condotte contestate non si limitavano a meri ritardi di pochi minuti nell’inizio della propria attività lavorativa, bensì a molteplici e prolungate assenze durante il periodo di lavoro. Alla lavoratrice è stato comminato il licenziamento disciplinare a causa della condotta sistematica di timbrare, o far timbrare da altri colleghi, il badge in orari in cui la medesima non era effettivamente presente sul luogo di lavoro. Peraltro, l’abitualità della condotta era tale da qualificarsi come grave sia sotto il profilo oggettivo sia sotto il profilo soggettivo, al punto da ledere il vincolo fiduciario tra le parti del rapporto. La ricorrente ha impugnato la sentenza dinanzi la Corte di Cassazione adducendo, tra le motivazioni alla base del ricorso stesso, che non fosse stata tenuta in considerazione la notorietà dei fatti a lei imputati, tale da essere considerati prassi accettata e non punibile. La lavoratrice ha sostenuto anche che la Corte territoriale avesse tenuto conto della testimonianza del responsabile del servizio, senza però considerare che lo stesso aveva reso dichiarazioni in contraddizione tra loro. Inoltre, la lavoratrice deduceva che la sentenza impugnata fosse nulla per vizio di motivazione, poiché la Corte d’Appello non aveva ritenuto adeguatamente provato che la medesima fosse impegnata in attività esterne nelle giornate in cui si erano verificate le condotte contestate. Infine, la ricorrente riteneva che la Corte si fosse pronunciata in modo non conforme a diritto poiché le condotte contestate, ai sensi del codice disciplinare contenuto nel Ccnl di riferimento, erano punibili con sanzione conservativa, e non con il licenziamento. La Suprema Corte sottolinea come la maggior parte dei motivi alla base del ricorso siano sostanzialmente volti a confutare il convincimento della Corte territoriale in merito all’assenza di una giustificazione per ritardi di pochi minuti nell’inizio dell’attività lavorativa. Viceversa, la ricorrente lamenta il travisamento da parte della Corte d’Appello degli elementi istruttori acquisiti che, se adeguatamente valorizzati, avrebbero fatto emergere lo svolgimento all’esterno di attività di servizio. Le motivazioni sono state ritenute inammissibili, in primis poiché si esauriscono in una mera confutazione di quanto valutato dal Giudice in merito al materiale istruttorio e, quindi, si risolvono nella richiesta di una revisione del giudizio nel merito, non ammissibile in Cassazione. In secondo luogo, la ricorrente non ha considerato le ulteriori e più rilevanti condotte oggetto di contestazione, ovverosia quelle relative alla sistematica elusione dei dispositivi di rilevamento della presenza in ufficio e all’indebita consegna del proprio badge a colleghi di lavoro, al preciso scopo di timbrare falsamente. La Cassazione ha rilevato come il Giudice avesse correttamente letto l’art. 55 quater del D.lgs. n. 165/2001, che, derivando da fonte sovraordinata rispetto ai contratti collettivi, è volto ad introdurre una specifica ipotesi di licenziamento disciplinare. Peraltro, come già evidenziato in una pronuncia precedente (cfr. Cass., n. 24570/2016), le fattispecie legali di licenziamento per giusta causa e giustificato motivo introdotte dall’art. 55 quater del D.lgs. n. 165/2001, costituiscono ipotesi aggiuntive rispetto a quelle individuate dalla contrattazione collettiva e le cui clausole, ove difformi, vanno sostituite di diritto. Infine, la Corte sottolinea che la condotta è punibile, ex art. 55 quater, ogni qual volta la registrazione effettuata tramite timbratura o altro sistema di rilevazione delle presenze sia effettuata in modo tale da far risultare che il lavoratore sia rimasto sul luogo di lavoro durante l’intervallo temporale compreso tra la timbratura in entrata e quella in uscita, nonostante ciò non corrisponda al vero.