Sentenze – Licenziamento disciplinare confermato se manca la fiducia e lo si valuta anche da fatti pregressi ammessi in valutazioni a sostegno
Elena Pellegatta, Consulente del Lavoro in Milano
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Cass., sez. Lavoro, 21 luglio 2025, n. 20329
La vicenda prende il via da un licenziamento disciplinare intimato dalla società datrice di lavoro nei confronti di un dipendente che avrebbe avuto un diverbio acceso con un collega. Il lavoratore era stato dipendente della società S.r.l. dal 20/09/2007, fino al 22/12/2021, quando era stato licenziato per giusta causa sulla base della contestazione disciplinare del 13/12/2021, iniziata da un diverbio con un collega accompagnato dall’intento di passare alle vie di fatto e la recidiva per comportamenti molesti nei confronti dei colleghi. Adiva il lavoratore il Tribunale di Milano per ottenere la declaratoria di illegittimità del licenziamento per insussistenza del fatto contestato e la tutela c.d. reale, ed in primo grado, oltre che in Appello, il Giudice confermava il licenziamento asserendo inoltre che il giudizio di sproporzione ex art. 2106 c.c. non mutava pur volendo considerare la recidiva, posto che questa si riferiva a due precedenti illeciti bagatellari, secondo la valutazione dello stesso datore di lavoro, che aveva infatti irrogato la multa di un’ora e di tre ore. La tutela accordabile era quindi quella di cui all’art. 18, co. 5, L. n. 300/1970, sicché il rapporto di lavoro veniva dichiarato risolto alla data del licenziamento e veniva pronunziata condanna della società al pagamento dell’indennità risarcitoria omnicomprensiva (da 12 a 24 mensilità), individuando come congrua la liquidazione della predetta indennità in 18 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, come indicata dalla società. Ricorre per Cassazione della sentenza il lavoratore, e contro ricorre la società con un ricorso successivo convertito in incidentale. Di interesse specifico il ricorso della società sul punto in cui sostiene che ha errato il giudice di appello nel non considerare la “violazione e/o falsa applicazione” degli artt. 1362 c.c., 12 r.d. n. 262/1942, 54 CCNL gomma e plastica industria per avere la Corte territoriale ritenuto che non vi era stato “passaggio alle vie di fatto” a causa della mancanza di uno scontro fisico violento. Il motivo è fondato, poiché effettivamente la Corte territoriale è caduta in un errore di sussunzione. Gli Ermellini hanno più volte affermato che ricorre un errore di sussunzione quando, in relazione al fatto accertato, la norma non sia stata applicata quando doveva esserlo, ovvero che lo sia stata quando non doveva esserlo, ovvero che sia stata male applicata. Anche il lavoratore lamenta la non corretta sussunzione della condotta addebitatagli, in quella prevista dalla contrattazione collettiva, ritenendo che la stessa avrebbe dovuto qualificarsi come “alterco senza vie di fatto con contegno minaccioso”, punibile con sanzione conservativa. Nella fattispecie, l’avere il dipendente brandito un bastone, fermato poi dall’intervento di altri dipendenti, e l’avere distrutto un telefono aziendale lanciandolo contro il muro, rappresenta senza dubbio un comportamento violento concretante le c.d. “vie di fatto” secondo l’accezione sopra delineata, e non un contegno meramente minaccioso. La sentenza impugnata viene pertanto cassata con rinvio per un nuovo apprezzamento delle circostanze, ferma restando la nozione di “vie di fatto” come sopra precisata, integrata anche da un tentativo di violenza fisica, non realizzatasi grazie all’intervento di terzi. Anche sull’analisi dei precedenti sostengono gli Ermellini che la Corte territoriale doveva considerare che la società aveva comminato al lavoratore altre quattro sanzioni disciplinari prima del biennio anteriore al licenziamento, sollevate correttamente nella memoria delle prime fasi del rito e non considerate dal giudice. A fronte di quella deduzione della società, era preciso onere della Corte territoriale valutare quei precedenti sia pure non in termini di recidiva, bensì ai fini del giudizio complessivo del disvalore delle condotte da ultimo tenute dal lavoratore, in quanto eventualmente rappresentativi di un determinato “modo d’essere” del predetto lavoratore nell’ambito aziendale ed in particolare nei rapporti con i suoi colleghi. Al riguardo gli Ermellini hanno già affermato che, se è vero che in tema di licenziamento disciplinare, il principio di cui all’art. 7, ult. co., L. n. 300/1970, secondo il quale non può tenersi conto, ad alcun effetto, delle sanzioni disciplinari decorsi due anni dalla loro applicazione, tale principio non vieta però di considerare fatti non contestati, e collocantisi a distanza anche superiore ai due anni dal recesso, quali circostanze confermative della significatività di altri addebiti posti a base del licenziamento, al fine della valutazione della complessiva gravità, sotto il profilo psicologico delle inadempienze del lavoratore e della proporzionalità, o meno, del correlativo provvedimento sanzionatorio dell’imprenditore. Dunque anche per tale ragione la sentenza impugnata va cassata con rinvio per la necessaria valutazione di tali antefatti sia pure risalenti nel tempo.