Sentenze – Legittimo il licenziamento del lavoratore che non svolge con diligenza il proprio lavoro

Elena Pellegatta, Consulente del Lavoro in Milano

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Cass., sez. Lavoro, 20 marzo 2025, n. 7482

La vicenda prende avvio dall’impugnazione da parte del lavoratore del licenziamento, comminato a seguito di due differenti contestazioni disciplinari aventi simili comportamenti contestati.

Il lavoratore, dipendente dalla Regione Puglia, aveva liquidato, nell’ambito dell’istruttoria relativa al riconoscimento di debiti fuori bilancio, le competenze professionali spettanti a tre avvocati esterni, officiati dalla Regione, in misura di gran lunga eccedente rispetto a quella riconoscibile in favore dei medesimi sulla base delle condizioni di conferimento degli incarichi loro affidati e della vigente direttiva della Giunta regionale in tema di liquidazione delle parcelle.

Nell’impugnare il licenziamento confermato in primo grado, il lavoratore aveva addotto a giustificazione la quantità di lavoro e sosteneva che si poteva considerare “naturale” fino ad un certo punto che la qualità potesse cedere il passo alla quantità. Sosteneva inoltre che l’autorizzazione al pagamento fuori bilancio era stata gestita dalla dirigente preposta nell’area lavorativa dove svolgeva l’attività. Durante l’appello, emergeva che l’istruttoria delle parcelle e le verifiche di congruità costituenti l’oggetto del procedimento di liquidazione, rientravano nell’esclusiva responsabilità delle PO Liquidazione Compensi Professionali, che adottavano in completa autonomia il provvedimento conclusivo; la legge di riconoscimento del debito fuori bilancio, infatti, è il provvedimento con cui il Consiglio regionale riconduce all’interno del sistema del bilancio una spesa insorta in violazione delle procedure contabili: compito precipuo del ricorrente, dunque, era proprio il controllo delle parcelle e tale controllo veniva spesso del tutto omesso, tanto che ne è derivato un secondo licenziamento (oggetto di un secondo procedimento 10591/2020), ritenuto conseguentemente altrettanto legittimo.

Analizzando le motivazioni del ricorso, la Suprema corte rileva come sia stato chiaramente provato che nell’espletamento del proprio compito il lavoratore si fosse limitato a recepire qualunque proposta di liquidazione proveniente dall’avvocato esterno, come lo stesso ha pienamente ammesso nel c.d. “atto di chiarimenti” trasmesso al Dirigente della Sezione Amministrativa, dichiarando di avere, in buona fede, recepito i valori delle singole controversie dichiarati dai legali esterni officiati dalla Regione Puglia, e ciò in quanto trattavasi di professionisti destinatari di piena fiducia dell’Ente, visto il nutrito contenzioso loro affidato nel tempo. Nella specie, l’addebito mosso al lavoratore è consistito proprio nel negligente recepimento del valore delle controversie indicato nelle note specifiche redatte dagli avvocati esterni, in relazione alla predisposizione degli schemi di disegni di legge, perché il lavoratore era chiamato, in ragione dei compiti e delle responsabilità connesse alla posizione organizzativa conferitagli, a mettere a disposizione dell’Ufficio un dato controllato e corretto, su cui si potesse fare affidamento per gli ulteriori passaggi in cui si articola la procedura, come di competenza della dirigente preposta al servizio o di altri funzionari, chiamati a svolgere attività formalizzate le quali in quanto tali erano già palesi e non occultabili. Non può inoltre essere accolta la richiesta di illegittimità del licenziamento e di conseguente reintegrazione sul posto di lavoro seguita al secondo procedimento disciplinare. Il giudice di appello ha osservato che era evidente che i due procedimenti disciplinari, pur avendo in comune il profilo dell’inosservanza da parte del lavoratore del dovere di diligenza nell’esecuzione della sua attività di liquidazione dei compensi, riguardavano episodi del tutto diversi. Di conseguenza, al fine di garantire la piena difesa dell’incolpato non era affatto necessario che il primo licenziamento (cioè quello intimato nel mese di gennaio del 2020) contenesse anche riferimenti alla contestazione disciplinare dalla quale è scaturito il secondo recesso (comunicato nel mese di aprile dello stesso anno). Correttamente quindi ha fatto applicazione del principio secondo cui, in materia di reintegrazione nel posto di lavoro per illegittimità dell’impugnato licenziamento, l’interesse alla relativa pronuncia giudiziale va individuato nella concreta ed attuale possibilità di ripristino del rapporto e viene a mancare quando, per fatti anteriori ed assorbenti, questo non possa comunque proseguire, considerandosi il rapporto di lavoro definitivamente risolto per l’accertata legittimità del primo licenziamento.

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