Sentenze – L’assenza del mobbing non esclude la responsabilità del datore in caso di ambiente di lavoro stressogeno

Alice Pattonieri , Consulente del Lavoro in Milano

Cass., sez. Lavoro, 12 febbraio 2024, n. 3822

Analizziamo in questa sede il caso di una dipendente pubblica che aveva citato in giudizio il MIUR, suo datore di lavoro, nonché una collega, la quale era solita mettere in atto, nei suoi confronti, comportamenti vessatori. L’attrice, avendo patito un danno alla salute per via delle condizioni ambientali particolarmente stressogene in cui era costretta a lavorare ogni giorno, ha chiesto che le predette condotte venissero riconosciute come mobbing pretendendo un risarcimento ulteriore rispetto a quello già richiesto per danno biologico. La sentenza di primo grado, pronunciata dal Tribunale di Monza, aveva accolto le ragioni della parte attrice, riconoscendo che le condotte poste in essere nei suoi confronti integrassero la fattispecie di mobbing. Successivamente, la Corte d’Appello di Milano analizza nel dettaglio ogni singolo atto subito dalla dipendente (es. trasferimento al fatiscente ufficio archivi al rientro di un periodo di malattia, lo stretto controllo dell’orario lavorativo, il modo di fare aggressivo e denigratorio del personale dirigente nei confronti della dipendente, ecc..) che avesse contribuito ad integrare la fattispecie di mobbing riconosciuta nel precedente grado di giudizio, al fine di valutarne l’effettiva illiceità. La Corte d’Appello, però, ribalta la decisione del primo grado, escludendo l’illiceità degli atti analizzati, posti in essere dal personale dirigente e dai colleghi nei confronti della dipendente, in quanto non sarebbero stati direttamente finalizzati alla persecuzione o all’isolamento della lavoratrice. Pertanto, la Corte esclude che tali comportamenti possano integrare ipotesi di mobbing. Per inciso, in relazione ad alcuni di questi atti analizzati, l’illiceità non era stata completamente esclusa ma solamente minimizzata. La Corte di Cassazione, però, con sentenza n. 3822 del 12 febbraio 2024, ribalta nuovamente la situazione, cassando il giudizio di Appello e proseguendo sulla falsariga della decisione del Tribunale di Monza. In realtà, la Suprema Corte stabilisce che se anche non venisse confermata la fattispecie di mobbing, non sarebbe comunque esclusa la responsabilità del datore di lavoro (MIUR). In altre parole, non è tanto rilevante dimostrare l’illiceità dei singoli atti in quanto, anche se ogni singolo atto fosse lecito (posto che la liceità non ne esclude la vessatorietà) e dunque anche in caso di assenza di mobbing, nel momento in cui la dipendente patisce un danno alla salute a causa di dimostrate condizioni lavorative particolarmente stressogene, è implicita la responsabilità extracontrattuale del datore di lavoro ex artt. 2043 e 2087 (responsabilità aquiliana e responsabilità oggettiva) per non aver impedito che l’ambiente di lavoro divenisse logorante al punto tale da compromettere la salute psicofisica dei propri lavoratori. Il datore di lavoro avrebbe, quindi, colposamente omesso di “mettere in atto tutte le misure che secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, erano necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del lavoratore”.


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