Sentenze – Il licenziamento legittimo non può escludere la valutazione delle condotte di “bossing”, ovvero l’illecito mobbing verticale

Angela Lavazza, Consulente del Lavoro in Milano

Cass., sez. Penale, 19 settembre 2023, n. 38306

Riapre la controversia la decisione della Corte di Appello di assolvere una datrice di lavoro, titolare di un negozio di parrucchiera, dal reato di maltrattamenti fisici e morali, aggravati dalla condizione di gravidanza della dipendente, commessi nel corso del rapporto di lavoro. Il Tribunale del lavoro di Perugia aveva dichiarato legittimo il licenziamento per giusta causa, intimato alla dipendente dopo che un investigatore privato, appositamente assunto dalla titolare del negozio, aveva accertato che la dipendente avesse iniziato a lavorare in prova presso un altro negozio concorrente, diversamente, il Tribunale non aveva ritenuto vincolanti le dichiarazioni dei testimoni della parte offesa circa le condotte vessatorie della titolare. La Corte di Appello, in base al medesimo materiale probatorio, ha assolto la datrice di lavoro per insussistenza del fatto, ritenendo le dichiarazioni della parte offesa incongruenti visto che i testimoni non avevano confermato le dichiarazioni della stessa. La lavoratrice propone ricorso per cassazione, avverso ai soli effetti civili della sentenza di appello, ai sensi dell’art. 576 c.p.p., adducendo un vizio di motivazione della sentenza impugnata per l’erroneo riferimento al delitto di “atti persecutori” e non a quello di “maltrattamenti”. Inoltre, la sentenza, facendo propri gli argomenti dell’atto di appello, aveva valutato inattendibile la lavoratrice in quanto la sua denuncia era stata presentata con profondo ritardo ed era strumentale perché successiva al licenziamento per giusta causa. La Suprema Corte invece ritiene che il ricorso sia fondato, annulla la sentenza e rinvia per il giudizio alla Corte di Appello, specificando che il licenziamento per giusta causa, presuppone condotte gravemente inadempienti del lavoratore che ledono irrimediabilmente la fiducia del datore di lavoro e restano confinate nella relazione tra le parti private, mentre il delitto di maltrattamenti, nella sua accezione di mobbing verticale, è un illecito penale di mera condotta, perseguibile d’ufficio che si consuma con l’abituale prevaricazione ed umiliazione commessa dal datore di lavoro nei confronti del dipendente, approfittando della condizione subordinata di questi e tale da rendere i comportamenti e le reazioni della vittima, irrilevanti ai fini dell’accertamento della consumazione del delitto.


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