Sentenze – Il datore di lavoro è tenuto ad adottare misure di protezione collettiva in via prioritaria rispetto a misure di protezione individuale

Angela Lavazza, Consulente del Lavoro in Milano

Cass., sez. Penale, 1° dicembre 2023, n. 48046

Il fatto oggetto del procedimento è quanto accaduto ad un dipendente, distaccato temporaneamente presso un’altra società e da questa inviato in un cantiere, condotto in appalto, da un’altra società. Mentre il dipendente si trovava sul tetto del fabbricato per effettuare un lavoro di rifacimento guaine, dopo aver sfondato un lucernaio in plexiglass, precipitava al suolo da un’altezza di 4 metri e, stante l’assenza di reti di protezione sottostanti che potessero impedire le cadute, rovinava al suolo. Trasportato al Pronto Soccorso, gli venivano diagnosticate una serie di fratture e un trauma cranico con inabilità lavorativa Inail per complessivi 312 giorni. Il lavoratore aveva dichiarato che dovendosi spostare sulla copertura del tetto, a seguito di inciampo, era caduto sul lucernaio in plexiglass che aveva ceduto sfondandosi, provocando la sua precipitazione al suolo. Né lui né gli altri dipendenti indossavano la cintura di sicurezza da collegare alla linea vita installata sulla copertura. Il giudice di primo grado aveva ritenuto fondati gli addebiti colposi nei confronti del responsabile R.N. della società presso cui era distaccato, per non aver scelto le attrezzature più idonee a garantire condizioni di lavoro sicure nei lavori in quota; al responsabile M.M. della società subappaltatrice dei lavori per non aver verificato le condizioni di sicurezza dei lavori affidati e l’applicazione delle previsioni del PSC; al coordinatore C.L. delle disposizioni del PSC per non aver imposto l’installazione di soluzioni atte a ridurre al minimo il rischio di caduta e per non aver rivelato l’inidoneità delle soluzioni previste dalle imprese esecutrici. Tutti ritenuti responsabili del reato di lesioni personali colpose gravi, aggravate dalla violazione della normativa di prevenzione infortunistica, con condanna a 2 mesi di reclusione ciascuno; la pena detentiva inflitta a M.M. e C.L. sostituita successivamente con la corrispondente pena pecuniaria di euro 12.000 di multa ciascuno. Avverso la sentenza d’Appello hanno proposto ricorso per cassazione, con separati atti, il responsabile della società presso cui era distaccato il lavoratore e il coordinatore C.L. delle disposizioni del PSC. La Suprema Corte ha ritenuto inammissibili i ricorsi proposti dagli imputati, ribadendo che nel giudizio di appello che l’acquisizione di una prova documentale, pur non implicando la necessità di una formale ordinanza di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, necessita di rilevanza e decisività rispetto al quadro probatorio in atti e deve introdotta assicurando il contradditorio fra le parti, a pena di inutilizzabilità ai fini della deliberazione, ai sensi dell’art. 526 c.p.p., comma 1. Prosegue la Suprema Corte nel precisare che la gestione del rischio di caduta dall’alto è affidato dalla legge a due principali forme di presidio: collettivo e individuale. La prima disposizione prevede che debba essere data priorità alle misure di protezione collettiva rispetto alle misure di protezione individuale perché i dispositivi di protezione collettiva sono atti ad operare indipendentemente dal fatto che il lavoratore abbia imprudentemente omesso di utilizzare il dispositivo di protezione individuale. La seconda disposizione consente al datore di lavoro di scegliere il tipo più idoneo tra i sistemi di accesso ai posti di lavoro temporanei in quota. Un’ulteriore disposizione prevede che il datore di lavoro possa disporre l’impiego di sistemi di accesso e di posizionamento mediante funi, solamente nelle circostanze in cui risulti che l’impiego di un’altra attrezzatura di lavoro, considerata più sicura, non sia giustificato dalla breve durata di utilizzo. L’intero corpo di regole cautelari individuate dal legislatore per i lavori in quota indica che i dispositivi di protezione collettiva sono da considerare lo strumento di maggior tutela per la sicurezza dei lavoratori, sia in quanto indicati come prioritari tra i criteri da seguire nella scelta delle attrezzature di lavoro, sia in quanto l’adozione di attrezzature di protezione individuale o di sistemi di accesso e posizionamento mediante funi è indicata quale scelta subordinata nel caso in cui, per la durata dell’impiego e per le caratteristiche del luogo, non sia logico adottare un’attrezzatura di lavoro più sicura. Pertanto, la Corte territoriale ha fatto una corretta applicazione del principio già affermato dalla Suprema Corte, secondo cui in tema di sicurezza dei lavoratori che devono eseguire lavori in quota, il datore di lavoro, ai sensi del D.lgs. 9 aprile 2088, n.81, art.111 è tenuto ad adottare misure di protezione collettiva in via prioritaria rispetto a misure di protezione individuale perché, le prime sono atte ad operare anche in caso di omesso utilizzo da parte del lavoratore del dispositivo individuale. Infine, correttamente la Corte territoriale ha valutato le norme connesse alla particolarità del lavoro da svolgere, che richiedeva la realizzazione di numerose aperture nella pavimentazione prospicienti il vuoto, la predisposizione di misure di sicurezza collettiva, quali l’applicazione di reti anticaduta sotto il piano di calpestio del tetto o l’installazione di sottoponti, era doverosa. Da ultimo la Suprema Corte ribadisce che il contestato vizio di travisamento della prova, desumibile dal testo del provvedimento impugnato, è ravvisabile ed efficace solo se l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione, per l’essenziale forza dimostrativa dell’elemento frainteso o ignorato. I ricorsi sono dichiarati inammissibili e i ricorrenti sono condannati al pagamento delle spese processuali.


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