Cass., sez. Lavoro, 2 novembre 2023, n. 30464
Con sentenza del 2 novembre 2023 la Corte di Cassazione si è espressa in merito al licenziamento del lavoratore inquadrato come dirigente. Il caso di specie riguardava una lavoratrice licenziata a seguito di reiterate assenze alle visite mediche di controllo da parte dell’Inps nei giorni 6, 10, 15 e 18 agosto 2016. La lavoratrice aveva impugnato il licenziamento deducendo che lo stesso fosse illegittimo poiché i suddetti controlli erano avvenuti in luogo diverso da quello in cui la ricorrente abitava. In entrambi i giudizi di merito il ricorso è stato rigettato. La tesi della ricorrente si basava sul fatto che per accedere alla propria abitazione vi fossero due accessi, uno dei quali con citofoni non funzionanti da oltre vent’anni e che il medico avesse utilizzato unicamente quest’ultimo. Dalla ricostruzione dei fatti è, però, emerso che la versione fornita dalla lavoratrice non corrispondeva a verità; infatti in occasione delle due ultime visite – avvenute in data 15 e 18 agosto 2016 – il medico aveva utilizzato il secondo accesso e, non avendo trovato la lavoratrice, aveva lasciato nella cassetta postale della stessa l’invito a recarsi presso l’Inps per sottoporsi alla visita di controllo. Invito a presentarsi a cui l’appellante non aveva adempiuto. La lavoratrice ha poi presentato ricorso dinanzi la Corte di Cassazione deducendo che, diversamente da quanto addebitatole con la contestazione disciplinare, ella non si era resa irreperibile, né risultava sconosciuta all’indirizzo, tanto che in occasione delle visite del 15 e del 18 agosto il medico incaricato era riuscito a lasciare l’avviso a presentarsi presso l’Inps e, quindi, – a suo dire – il fatto storico utilizzato sarebbe diverso da quello posto a base del licenziamento, rimasto non provato dalla resistente. La Corte d’Appello aveva rigettato l’impugnazione ritenendo “dato acquisito ed incontestato che per ben quattro volte il medico incaricato della verifica non ha potuto effettuare la visita, non essendo riuscito a reperire l’abitazione indicata dall’interessata” ed imputando alla dirigente di non aver eliminato le difficoltà di ordine pratico ostative al controllo da parte del medico inviato dall’Inps. Secondo la Corte, infatti, l’irreperibilità è anche quella “in concreto” e temporanea, configurabile nel caso in cui l’indirizzo sia effettivamente quello di residenza, ma la destinataria non sia reperibile in quel luogo ed in quel momento. Per la Corte d’Appello tale circostanza è sufficiente a far ritenere giustificato il licenziamento sulla base di una condotta di irreperibilità quale quella oggetto di contestazione disciplinare. Principio confermato anche in Cassazione. La ricorrente lamentava, inoltre, la mancanza di proporzionalità tra il fatto contestato e la sanzione espulsiva adottata, specie alla luce del fatto che i primi due tentativi di visita (ovverosia quelli espletati in data 6 e 10 agosto 2016) si erano rivelati infruttuosi per negligenza – a suo dire – non sua, bensì del medico incaricato dall’Inps. Anche tale motivo è stato ritenuto infondato dalla Suprema Corte, poiché in tema di licenziamento del dirigente, la nozione di “giustificatezza” non coincide con quelle di “giusta causa” e di “giustificato motivo”, proprie dei rapporti di lavoro delle altre categorie di lavoratori subordinati. Nel caso di lavoratore inquadrato come dirigente, come già ribadito in altre pronunce della Suprema Corte, il licenziamento non deve rappresentare un’extrema ratio, da attuarsi solo in presenza di situazioni così gravi da non consentire la prosecuzione neppure temporanea del rapporto e soltanto qualora ogni altra misura risulti inefficace, ma può conseguire ad ogni infrazione che incrini l’affidabilità e la fiducia del datore di lavoro nei confronti del dirigente. Stante il ruolo apicale rivestito dal dirigente, difatti, ai fini della legittimità del licenziamento, è sufficiente che lo stesso si riveli non pretestuoso o arbitrario e che sia la conseguenza di comportamenti che abbiano, di fatto, incrinato l’affidabilità e la peculiare fiducia che il datore di lavoro deve poter riporre nel dirigente, quale suo alter ego. Aggiunge la Suprema Corte che, ai fini della “giustificatezza” del licenziamento del dirigente, non è neppure necessaria un’analitica verifica dei fatti, ma è sufficiente una valutazione globale, tale da escludere l’arbitrarietà e la pretestuosità del recesso datoriale. La verifica di proporzionalità è, dunque, del tutto superflua, poiché l’accertamento compiuto dalla Corte territoriale esclude l’arbitrarietà e la pretestuosità del licenziamento e tanto basta a far ritenere il recesso datoriale assistito dalla “giustificatezza”. Per questi motivi, alla luce dei suindicati principi di diritto, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.