Sentenze – È illecito il licenziamento del lavoratore durante il periodo di aspettativa non retribuita per motivi di salute

Elena Pellegatta, Consulente del Lavoro in Milano

Cass., sez. Lavoro, 23 ottobre 2024, n. 27446

A fronte del giudizio di reintegra sul posto di lavoro emesso dal giudice di appello nei confronti della lavoratrice, infermiera, che aveva usufruito di un periodo di aspettativa non retribuito per malattia, si esprimono gli Ermellini della Suprema corte di Catania, giudicando in ultima analisi corretto l’esito del giudizio di secondo grado. La vicenda prendeva avvio dal licenziamento intimato alla lavoratrice nel 2018 da parte del datore di lavoro. La lavoratrice, che ricopriva la mansione di collaboratore professionale sanitario – infermiera di ruolo, aveva presentato una prima richiesta di aspettativa per malattia non retribuita a fronte di problemi di salute, allegando, per analisi della richiesta da parte dell’azienda datrice, regolare certificazione medica di malattia. Successivamente al periodo iniziale, la lavoratrice comunicava un ulteriore periodo di assenza, a seguito del quale l’azienda faceva seguire la comunicazione di licenziamento, per mancanza di ulteriore certificazione di malattia. L’azienda datrice contestava infatti alla lavoratrice di non aver comunicato alcuna attestazione di malattia a decorrere dal 06.01.2018, allorché scadeva la precedente documentazione medica relativa all’aspettativa per malattia, successivamente rigettato in sede di appello. Come argomenta il giudice di appello, che ha previsto la reintegra sul posto di lavoro, il Ccnl del Comparto sanità applicabile al rapporto, disciplina all’art. 23 le assenze per malattia, e al primo e secondo comma, prevede: “1. Il dipendente non in prova, assente per malattia, ha diritto alla conservazione del posto per un periodo di diciotto mesi. Ai fini della maturazione del predetto periodo, si sommano tutte le assenze per malattia intervenute nei tre anni precedenti l’ultimo episodio morboso in corso. 2. Al lavoratore che ne faccia tempestiva richiesta prima del superamento del periodo previsto dal comma 1, può essere concesso di assentarsi per un ulteriore periodo di 18 mesi in casi particolarmente gravi ovvero di essere sottoposto all’accertamento delle sue condizioni di salute, per il tramite della azienda sanitaria locale territorialmente competente ai sensi delle vigenti disposizioni, al fine di stabilire la sussistenza di eventuali cause di assoluta e permanente in idoneità fisica a svolgere qualsiasi proficuo lavoro”. Si sottolinea che durante il periodo di aspettativa per malattia non retribuita è indubbio che il rapporto di lavoro entra in una fase di quiescenza, e non matura l’anzianità di servizio, durante la quale l’unico diritto che residua in capo al lavoratore è quello alla conservazione del posto di lavoro per il periodo massimo di 18 mesi, e il periodo di aspettativa è concesso dal datore di lavoro solo dopo aver vagliato preventivamente la sussistenza di condizioni di salute “particolarmente gravi” e per un periodo predeterminato non oltre 18 mesi. I certificati medici giustificativi, pertanto, sono stati prodotti, come nella specie, dalla lavoratrice e vagliati dal datore di lavoro prima di concedere il diritto ad assentarsi dal lavoro con conservazione del posto. Rileva la Corte di Cassazione, nel suo giudizio meritorio, che nel caso di specie, la Corte d’Appello ha accertato che è stata la stessa Azienda a indicare alla lavoratrice la possibilità di fruire del periodo di aspettativa non retribuita per motivi di salute, aspettativa che è stata concessa con la delibera n. 81 del 21.9.2017, nella misura massima proprio in considerazione delle patologie documentate, come riportato in sentenza e non specificamente contestato: “Rilevato che dalla documentazione agli atti dell’Ufficio competente si evince la particolare gravità della fattispecie in questione e che per l’effetto può essere concesso il periodo richiesto”. Per questo motivo non occorreva che la lavoratrice trasmettesse ulteriori certificati medici per giustificare “la prosecuzione” della aspettativa nel termine massimo previsto. Nella specie, dunque è stato lo stesso provvedimento dell’amministrazione a riconoscere il diritto all’aspettativa, in presenza di particolare gravità delle condizioni di salute, e a giustificare l’assenza per tutto il periodo concesso, senza ulteriori obblighi di comunicazione a carico della lavoratrice. Correttamente, giudicano gli Ermellini, ha agito la Corte d’Appello quando ha escluso che la lavoratrice sia incorsa nell’infrazione disciplinare contestata, dell’assenza priva di valida giustificazione, perché la deliberazione di concessione dell’aspettativa non retribuita già costituiva valida giustificazione dell’assenza per il periodo di 18 mesi.


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