Cass., Sez. Penale, 30 ottobre 2023, n. 43708
Con la sentenza in commento, la sezione Penale della Corte di Cassazione conferma la sentenza di condanna per omicidio colposo del datore di lavoro per un infortunio mortale di un proprio dipendente avvenuto mentre stavano allestendo in una zona boschiva una linea teleferica per l’esbosco. Durante tali lavori un proprio lavoratore, privo di esperienza specifica del settore, si è trovato in una zona pericolosa dei lavori (non a caso definita come “angolo della morte”) e, a seguito della rottura del cavo che stavano tirando, ha subito un incidente mortale. La Corte ha confermato che il giudice di merito ha correttamente riscontrato che il datore di lavoro non aveva dotato il cantiere di alcun presidio di prevenzione e sicurezza, non aveva predisposto il documento di valutazione dei rischi, non aveva fornito al lavoratore – privo di esperienza specifica nel settore – adeguate istruzioni e specifico addestramento né lo aveva adeguatamente informato sui rischi connessi all’attività in esecuzione, collocando fra l’altro il lavoratore a sorreggere con un bastone la fune affinché i cavi non si sovrapponessero, in una posizione pericolosa. Inoltre, veniva appurato che la fune utilizzata era, per tipologia, non idonea a reggere le forze azionate e che le indicazioni fornite dal costruttore non prevedevano che l’escavatore condotto dall’imputato venisse utilizzato come strumento di traino. Il datore di lavoro, nel ricorso presentato, tentava di sostenere che la sentenza non avesse tenuto presente né la posizione del lavoratore che non si era allontanato dalla zona delle operazioni nonostante l’indicazione impartita (se si spezza il cavo è un casino avrebbe detto) e soprattutto lamentava l’eccessività della pena inflitta rispetto al comportamento tenuto. La Corte invece rigettava i ricorsi presentati perché riteneva il comportamento del datore di lavoro connotata da una grave carenza di sicurezza, consistente nella omessa predisposizione del documento di valutazione dei rischi e nella mancanza di presidi di sicurezza individuale, il tutto aggravato da una situazione di evidente deficit di informazione e formazione dei lavoratori utilizzati, tanto che, l’unica indicazione fornita a tutti i presenti sarebbe stata quella di tenersi lontani dalla zona in cui si trovava il cavo da porre in tensione, perché, qualora si fosse spaccato, “sarebbe stato un casino”. Peraltro, al di là della evidente insufficienza di una simile indicazione a fini informativi/formativi, è stato pacificamente accertato che il lavoratore, nel momento in cui la fune si è spezzata, si trovava nella zona di maggior pericolo, situata in corrispondenza dell’angolo delle forze interessate, non a caso indicata come “angolo della morte”. Tale circostanza ha logicamente rafforzato, si legge nella sentenza, il convincimento della Corte territoriale in ordine al debito di sicurezza imputabile all’imputato quale parte datoriale del lavoratore deceduto a seguito dell’infortunio. In questa prospettiva, inoltre, i giudici di primo grado hanno legittimamente riscontrato l’insussistenza di una condotta abnorme del lavoratore, nonché ritenuto privo di rilievo un eventuale comportamento imprudente del medesimo, sulla scorta del costante insegnamento di questa Corte di legittimità, secondo cui il datore di lavoro che non adempie agli obblighi di informazione e formazione gravanti su di lui e sui suoi delegati risponde, a titolo di colpa specifica, dell’infortunio dipeso dalla negligenza del lavoratore che, nell’espletamento delle proprie mansioni, ponga in essere condotte imprudenti, trattandosi di conseguenza diretta e prevedibile della inadempienza degli obblighi formativi, nè l’adempimento di tali obblighi è surrogabile dal personale bagaglio di conoscenza del lavoratore. Infine, la Corte confermava che l’aggravamento della pena rispetto al minimo edittabile era stato motivato non solo per le ragioni di gravità del fatto, valorizzando la mancanza totale di qualsivoglia forma di formazione sul posto di lavoro, ma anche per la negativa personalità dell’agente, in relazione al comportamento da questi tenuto dopo l’incidente (è emerso che l’imputato non aveva allertato immediatamente i soccorsi, ma aveva dato disposizioni affinché il corpo del lavoratore venisse spostato in altro luogo, dichiarando in seguito ai primi operanti sopraggiunti di non conoscere la vittima, asserendo di essersi imbattuto per puro caso nel corpo).