Sentenze – Confermata la legittimità del licenziamento comunicato con raccomandata ritornata per compiuta giacenza al mittente
Elena Pellegatta, Consulente del Lavoro in Milano
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Cass., sez. Lavoro, 22 maggio 2025, n. 13687
La vicenda oggetto di esame prende avvio dalla comunicazione effettuata con raccomandata del 28.3.2019, e restituita al mittente per compiuta giacenza, con la quale il 17.5.2019, il Consorzio G. intimava al dipendente V.M., assunto con mansioni di autista, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo per soppressione del posto per la cessazione dell’appalto cui era addetto. Il dipendente impugnava il provvedimento di recesso, ma in primo ed in secondo grado la Corte giudicante confermava la correttezza della gestione e del licenziamento ad opera del datore di lavoro. Si attivava quindi il lavoratore proponendo ricorso per Cassazione, adducendo quattro motivi principali. Con il primo motivo denunciava che la Corte territoriale, da un lato, aveva errato nell’affermare che il ricorrente non aveva provato di essere stato, senza sua colpa, nell’impossibilità di avere notizia del provvedimento di licenziamento intimato dalla società, essendo detenuto nella casa Circondariale di Poggioreale e non essendo obbligato a delegare ad altri il ritiro della posta, e aveva inoltre omesso di rilevare che la lettera di licenziamento era stata inviata dall’azienda ad un indirizzo diverso da quello comunicato al momento dell’assunzione. Con il secondo motivo eccepiva, in modo più specifico, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio: la Corte di Appello non aveva considerato che il processo notificatorio della raccomandata contenente la lettera di licenziamento del 28.3.2019 non si era neanche perfezionato in quanto la lettera de qua era stata inviata non al domicilio del lavoratore ma ad altro indirizzo. Con il terzo motivo sosteneva la mancata applicazione dell’obbligo del repêchage, per avere errato la Corte territoriale nel ritenere infondati i rilievi sulla sussistenza del giustificato motivo oggettivo e per violazione dell’obbligo di repêchage, spettando solo al datore di lavoro di dimostrare tali presupposti e non avendo il Consorzio G. assolto tale onere probatorio. Con il quarto motivo si obietta che il Consorzio G. non aveva provato né il fatto posto a base del licenziamento né l’impossibilità di ricollocare il dipendente in altre posizioni pur essendo un’azienda che aveva numerosi appalti per la raccolta di rifiuti solidi urbani in vari comuni ed occupava più di mille addetti. Gli Ermellini analizzano i primi due motivi congiuntamente e li trovano non fondati, in quanto il principio di diritto, cui fare riferimento, è costituito da quanto affermato dalla Corte di Cassazione (Cass., n. 6256/2016; Cass., n. 13087/2009) secondo cui, in tema di licenziamento individuale, qualora la comunicazione del provvedimento di recesso, spedita al domicilio del dipendente, non sia consegnata per assenza del destinatario e di altra persona abilitata a riceverla, essa si presume conosciuta dal momento della consegna del relativo avviso di giacenza presso l’ufficio postale, in virtù della presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 c.c., sicché da quella data decorre il termine per impugnare, spettando al destinatario l’onere di dimostrare di essersi trovato senza colpa nell’impossibilità di acquisire la conoscenza dell’atto. E se in astratto è possibile che lo stato di detenzione possa essere un valido motivo per ritenere che il lavoratore, senza colpa, non abbia potuto avere avuto notizia dell’atto recettizio, nella fattispecie in esame, la Corte di merito aveva svolto un accurato esame di merito in virtù del quale aveva appurato che: a) la comunicazione fu inviata all’indirizzo indicato all’atto dell’assunzione; b) nessun certificato anagrafico successivo, comportante una modifica o una variazione, era stato depositato; c) la società, che aveva avuto notizia dell’avvenuto arresto del lavoratore nell’aprile 2018, non poteva sapere se, al marzo 2019, fosse intervenuta qualche variazione delle modalità di detenzione personale (per esempio arresti domiciliari); d) il dipendente comunque era in grado, sebbene detenuto, di potere comunicare all’azienda i propri nuovi recapiti o, in caso vi fosse stata qualche persona convivente, di incaricarla di ricevere l’atto o addirittura di ritirarlo. Pertanto, la Suprema Corte ritiene che i giudici di appello abbiano hanno ritenuto colposo il comportamento del lavoratore e correttamente interpretato i principi statuiti in sede di legittimità, e confermano che le denunciate violazioni di legge non sussistono. Gli Ermellini analizzano anche il terzo ed il quarto motivo congiuntamente e li trovano inammissibili. Nel licenziamento individuale, il giustificato motivo oggettivo ex art. 3 della Legge n. 604 del 1966 viene determinato dalla necessità di procedere alla soppressione del posto o del reparto cui era addetto il singolo lavoratore, ed ai fini della legittimità dello stesso, sul datore di lavoro incombe la prova della concreta riferibilità del licenziamento a iniziative collegate ad effettive ragioni di carattere produttivo – organizzativo sussistenti all’epoca della comunicazione del licenziamento, e della impossibilità di utilizzare il lavoratore in altre mansioni compatibili con la qualifica rivestita, in relazione al concreto contenuto professionale dell’attività cui il lavoratore stesso era precedentemente adibito. L’accertamento di tali presupposti costituisce valutazione di merito, insindacabile in sede di legittimità ove adeguatamente motivata (cfr. per tutte, Cass., n. 14815/2005). Essendo provati in appello i fatti controversi, accertato che il Consorzio aveva puntualmente documentato sia la cessazione dell’appalto, cui era addetto il ricorrente, sia la situazione degli altri cantieri ove, a parte ogni considerazione sul carattere pubblico dei relativi appalti, erano già presenti tutte le figure professionali (autisti, qualifica rivestita dal dipendente, ma anche operai e netturbini) in una misura da ritenersi necessaria e sufficiente per la corretta esecuzione del singolo appalto secondo l’organizzazione aziendale, né risultavano ulteriori e successive assunzioni, veniva valutato dagli Ermellini che la Corte distrettuale aveva correttamente confermata la valutazione sul giustificato motivo oggettivo del recesso, e dell’impossibilità di collocare altrove il lavoratore. Alla stregua di quanto esposto, il ricorso veniva rigettato.