Sentenze – Condotte extralavorative del dipendente: sì al licenziamento solo se connotate da gravità
Alice Pattonieri, Consulente del Lavoro in Milano
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Il caso in analisi vede protagonista una dipendente delle Poste Italiane S.p.a., condannata dalla Corte d’Appello ad una pena di 2 anni di reclusione e 4.000,00 euro di multa per detenzione a fini di spaccio di sostanze stupefacenti in ingenti quantità. La società era venuta a conoscenza dell’arresto della dipendente dai quotidiani locali e della condanna irrevocabile in Appello solo in seguito ad una specifica richiesta di accesso agli atti alla cancelleria del tribunale. All’epoca dei fatti criminosi, la lavoratrice era assente dal servizio per maternità anticipata. La lavoratrice aveva già subito una condanna in primo grado, ma l’aver presentato ricorso aveva escluso la possibilità per il datore di lavoro di procedere momentaneamente con qualsiasi azione disciplinare, dato che il CCNL applicato prevedeva la possibilità di ricorrere al licenziamento disciplinare solo a seguito di condanne passate in giudicato. Pertanto, la società aveva intimato alla dipendente il licenziamento per giusta causa, solo dopo aver appreso la notizia della condanna irrevocabile.
La lavoratrice aveva poi impugnato il provvedimento, ottenendo in primo grado l’annullamento del licenziamento e la reintegra nel posto di lavoro, nonché un’indennità risarcitoria. La decisione era stata poi confermata dalla Corte d’Appello.
Poste Italiane Spa presentava, dunque, ricorso presso il giudice di legittimità, sulla base del fatto che l’illecito penale nonché disciplinare commesso dalla lavoratrice in costanza di rapporto di lavoro, comportava una violazione degli obblighi di fedeltà e diligenza tale da provocare la lesione del rapporto fiduciario tra dipendente e datore di lavoro. Inoltre, la società si era avvalsa della disciplina prevista dall’articolo 54 co. VI lett H del CCNL applicato, già precedentemente accennato, il quale prevedeva che il licenziamento potesse essere comminato solo a seguito di una sentenza di condanna passata in giudicato.
Di fatto, la Suprema Corte ha riconosciuto che una condotta illecita mantenuta in ambito extralavorativo comporta riflessi sul piano disciplinare dato che “il lavoratore è tenuto non solo a fornire la prestazione richiesta ma anche, quale obbligo accessorio, a non porre in essere, fuori dall’ambito lavorativo, comportamenti tali da ledere gli interessi morali e materiali del datore di lavoro o compromettere il rapporto fiduciario con lo stesso”. Siffatte condotte possono anche portare all’irrogazione del licenziamento disciplinare, qualora siano caratterizzate da una particolare gravità.
Nonostante il principio riconosciuto, l’illecito commesso dalla lavoratrice è stato ritenuto, nell’ambito del giudizio penale, “di lieve entità”. La condotta della dipendente, dunque, non presentava caratteristiche che legittimassero il recesso per giusta causa.
Altri aspetti, non di secondaria importanza, hanno gravato sulla decisione della Corte, primo fra tutti il fatto che la lavoratrice non avesse mai subíto in precedenza addebiti disciplinari. Inoltre, nelle more del procedimento, la stessa aveva svolto le sue mansioni in maniera irreprensibile. Infine, è stato considerato che il ruolo rivestito dalla dipendente fosse “di natura meramente esecutiva e privo di visibilità”, dunque la vicenda non avrebbe generato una risonanza tale da ledere l’immagine aziendale.
In conclusione, la Corte ha respinto il ricorso della società, riconoscendo in tal modo che non vi è alcun automatismo tra procedimento in sede penale e procedimento in sede disciplinare ma esistono altri fattori da passare al vaglio prima di poter giungere ad una conclusione.