Sentenze – Computo del periodo di comporto in caso di assenze dovute a malattie professionali

Clara Rampollo, Consulente del Lavoro in Pavia

Cass., sez. Lavoro, 9 gennaio 2025, n. 463

La vicenda ha per oggetto un’ordinanza della Corte Suprema di Cassazione riguardante il computo del periodo di comporto in caso di assenze dovute a malattia professionale. Si riassume, brevemente, che una società per azioni licenzia un suo dipendente per superamento del periodo di comporto; il Tribunale di Milano dichiara illegittimo il licenziamento e ordina la reintegrazione con sentenza n. 2974/2021. La Corte d’Appello di Milano conferma l’illegittimità della risoluzione del rapporto di lavoro con parziale modifica dell’indennità risarcitoria con queste argomentazioni: gli articoli 1 e 2 del Ccnl Metalmeccanica Industrie, applicato dal datore di lavoro, stabiliscono un trattamento differenziato per la conservazione del posto in base alla natura della malattia; il posto è conservato per un periodo pari a quello di percezione dell’indennità Inail per inabilità temporanea (malattia professionale) e la circostanza che il lavoratore licenziato ha percepito l’indennità Inail per un periodo di assenza successivo al licenziamento non fa che confermare la natura professionale della malattia (riconoscimento Inail). La Corte d’Appello interpreta il Ccnl Industria metalmeccanica nel senso che la conservazione del posto è legata all’erogazione dell’indennità Inail, non alla prova della responsabilità del datore di lavoro (art. 1) e che, in caso di malattia professionale, il posto è conservato per un periodo pari a quello di percezione dell’indennità Inail per inabilità temporanea tant’è che all’art. 2 si stabilisce che in caso di infortunio, il posto è conservato fino alla guarigione clinica comprovata dal certificato medico definitivo dell’Inail. La società presenta ricorso contro la sentenza della Corte d’Appello con i seguenti motivi: 1. Violazione degli articoli 115 e 116 c.p.c. per non aver considerato le dichiarazioni testimoniali del giudizio sul mobbing che avrebbero provato la natura non professionale della malattia; 2. Omesso esame di un fatto decisivo relativo al verbale delle testimonianze nel giudizio di mobbing; 3. Violazione degli articoli 115 e 116 c.p.c. per non aver considerato la sentenza del Tribunale di Milano che escludeva la responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 c.c.; 4. Violazione degli articoli 2087, 2110 e 2697 c.c. sulla prova della riconducibilità della malattia a eziologia professionale: la Corte d’Appello ha erroneamente ritenuto sufficiente il provvedimento Inail per provare l’eziologia professionale della malattia, senza indagare sulla colpa del datore di lavoro. La Corte di Cassazione ha così risposto: 1. il motivo in oggetto non si misura con la disciplina contrattuale del comporto su cui si fonda la sentenza impugnata; 2. il motivo è inammissibile in quanto denuncia l’esistenza del vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c. in una ipotesi preclusa dalla ricorrenza di una c.d. “doppia conforme”. 3. il motivo non si misura con la disciplina contrattuale del comporto; 4. come al precedente punto che il motivo non si misura con la disciplina contrattuale del comporto e non coglie la ratio decidendi della Corte d’Appello. È utile ribadire ai fini dell’interpretazione di questa sentenza della Corte di Cassazione che l’indennità Inail è dovuta anche in assenza di colpa del datore di lavoro, salvo dolo o rischio elettivo e che l’erogazione dell’indennità Inail si basa sui presupposti stabiliti dal T.U. n. 1124/65, non sulla responsabilità civile del datore di lavoro. È sufficiente, pertanto, che esista l’origine professionale della malattia, correlata alla prestazione lavorativa secondo le regole dell’assicurazione obbligatoria. La differenza tra indennizzo Inail e risarcimento civile è che il primo resta svincolato dalla sussistenza di un illecito contrattuale o aquiliano del datore di lavoro e può essere disposto indipendentemente dall’elemento soggettivo e dalla responsabilità di chi ha causato il danno; il secondo, invece, richiede l’accertamento del fatto illecito e della responsabilità del soggetto obbligato e ha lo scopo di rimuovere le conseguenze dell’illecito nella sfera giuridica del danneggiato. Le assenze di un lavoratore sono computabili se la malattia ha origine, anche in termini di concausa, in fattori di nocività lavorativa, la malattia cioè deve essere collegata allo svolgimento dell’attività lavorativa; il datore di lavoro può contestare e dimostrare l’origine non professionale della patologia riconosciuta dall’Inail ma la contestazione deve riguardare i presupposti di operatività della tutela assicurativa, non la responsabilità civile del datore. La Corte di Cassazione con questa sentenza ha ribadito che non è necessario dimostrare la responsabilità civile del datore di lavoro; inoltre, in base all’articolo 2110 c.c. che rinvia alla contrattazione collettiva per la disciplina del comporto, il Ccnl Metalmeccanica Industrie ha scelto puntualmente di legare il comporto all’erogazione dell’indennità Inail, non alla responsabilità civile dell’azienda. Conclusioni della Corte di Cassazione: la Corte rigetta complessivamente il ricorso presentato dalla società e viene confermata l’interpretazione del Ccnl data dalla Corte d’Appello riaffermando la validità della disciplina contrattuale che lega il comporto all’erogazione del risarcimento da parte dell’ente assicurativo: i lavoratori godono di maggiore tutela in caso di malattia professionale, con la conservazione del posto che resta legata all’indennità Inail.


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