Sentenze –  Aspettativa non retribuita: divieto per l’azienda di imporla unilateralmente

Alice Pattonieri , Consulente del Lavoro in Milano

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Cass., sez. Lavoro, 14 luglio 2025, Ordinanza n. 19405

Nel caso in questione, la Corte d’Appello di Genova, in contrasto con il Tribunale di primo grado, condannava una società al pagamento della retribuzione relativa alle prime quattro mensilità dell’anno 2014 (oltre ad oneri accessori), in favore di un dipendente con mansioni di operatore ecologico. Il dipendente in questione era stato posto in aspettativa non retribuita alla fine dell’anno 2013, su decisione unilaterale dell’azienda, in seguito alla decisione del medico competente. Questi si era espresso in merito alle condizioni di salute del lavoratore, affermando la sua idoneità parziale allo svolgimento delle mansioni di assunzione, con prescrizioni e limitazioni. La società, d’altra parte, non aveva possibilità di ricollocare in alcun modo l’operaio il quale, nel frattempo, aveva proposto ricorso contro la decisione del medico competente. In seguito a nuovi accertamenti svolti nel marzo 2014 e conclusisi con esito diverso rispetto al precedente giudizio di idoneità parziale, veniva dichiarato idoneo allo svolgimento della propria prestazione con limitazioni differenti rispetto a quelle precedentemente emerse. A questo punto il dipendente rientrava regolarmente in servizio. La Cassazione, a cui ricorreva la società, confermava la sentenza di appello per le seguenti ragioni: è escluso che il datore di lavoro possa imporre unilateralmente l’aspettativa non retribuita ad un dipendente, dal momento che ciò risulta contrastare con il principio dell’immodificabilità unilaterale del contratto di lavoro nonché con quanto previsto dal CCNL applicato, che prevede la concessione dell’aspettativa non retribuita solo se richiesta del lavoratore. Secondo i principi del diritto civile, le condizioni che legittimano la mancata corresponsione della retribuzione sono quelle previste dagli artt. 1463 e 1464 c.c., ossia l’impossibilità dello svolgimento della prestazione lavorativa totale o parziale (condizioni che tra l’altro devono essere dimostrate dal datore di lavoro). Il dipendente, al contrario, non è tenuto in tali casi a provare di aver messo a disposizione le sue energie lavorative, verificandosi una situazione di “mora del creditore”, la quale si realizza quando il creditore (in questo caso il datore di lavoro) rifiuta ingiustificatamente di ricevere la soddisfazione del proprio credito mediante la prestazione offerta dal debitore (in questo caso, il lavoratore). Pertanto, la Suprema Corte riconosceva che il dipendente conserva il diritto alla retribuzione e procedeva a rigettare il ricorso presentato dalla società.

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