SALARIO MINIMO: la ricerca della Fondazione Consulenti del Lavoro di Milano

Potito di Nunzio, Presidente del Consiglio dell’Ordine provinciale di Milano

Il 3 ottobre u.s. l’AccadeMIa della nostra Fondazione ha dato il via alla stagione di appuntamenti con i grandi temi del diritto del lavoro iniziando con il convegno “Salario minimo tra legge, contrattazione ed equità sociale: un approccio interdisciplinare”. Durante il convegno, realizzato con il patrocinio del Consiglio Provinciale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro di Milano, dell’Ancl U.p. Milano, della nostra rivista Sintesi e della rivista Lavoro Diritto Europa, è stata presentata la ricerca sul medesimo argomento realizzata dal Centro Ricerche della Fondazione milanese in collaborazione con il Politecnico di Milano – a cui vanno i nostri sinceri ringraziamenti per il lavoro svolto.

L’intera ricerca è pubblicata in questo numero di Sintesi a beneficio del dibattito, ancora in corso, che dovrebbe portare il Governo italiano a scegliere come e se dare attuazione dalla Direttiva comunitaria.

L’incontro del 3 ottobre, così come anticipato negli scorsi numeri della rivista, ha avuto come tema l’introduzione del salario minimo, processo che oscilla tra legge e contrattazione collettiva ma che ha ricadute anche sulla vita sociale ed economica del Paese.

Due le sessioni di lavoro che si sono succedute, basate su un’ampia discussione circa l’opportunità e/o la necessità di introdurre un salario minimo e, in caso affermativo, se vi debba provvedere il Legislatore o la contrattazione collettiva.

Alla luce delle diverse proposte di legge che sono state via via presentate nel tempo senza dimenticare le indicazioni contenute nella recente direttiva comunitaria in materia, diverse sono state le voci che si sono avvicendate: voci autorevoli provenienti dal mondo accademico, sindacale, imprenditoriale e ovviamente dei Consulenti del lavoro.

Oltre al parterre di eccezione, l’incontro è riuscito a sviluppare un approccio dal taglio interdisciplinare spaziando dal diritto e dalla giurisprudenza per arrivare fino a temi socio psicologici e toccando gli aspetti aziendali-organizzativi. Il dibattito, moderato da Potito di Nunzio, Presidente della Fondazione, e dal collega Andrea Asnaghi, Responsabile del Centro Studi, è stato preceduto dall’illustrazione dei risultati che sono emersi dallo studio condotto su 70 contratti collettivi nazionali di lavoro. Il collega Riccardo Bellocchio, Responsabile del Centro di Ricerca, ha presentato sinteticamente i risultati della ricerca resi disponibili, come detto, in questo numero della rivista.

IN SINTESI, CHE COSA È EMERSO DALLA RICERCA?

Innanzitutto il compito della Fondazione Consulenti del Lavoro di Milano è stato quello di analizzare la contrattazione collettiva vigente, prendendo come riferimento un campione significativo di contratti collettivi nazionali sottoscritti sia dai sindacati confederali che da altri sindacati, e di mettere in evidenza i contratti che presentano una retribuzione superiore o inferiore alla soglia economica prevista nella proposta di legge attualmente giacente in Parlamento. Chiarito il metodo di ricerca e di calcolo applicato e evidenziate le criticità rilevate nella raccolta dei dati, dall’analisi (anche grafica) emerge che rispetto al valore paga base, complessivamente 149 livelli di inquadramento di 42 Ccnl (sui 71 complessivamente analizzati) si collocano sotto la soglia dei 9 euro lordi orari (calcolo riferito alla RAL + elementi extra come identificati nella ricerca); tuttavia, la valutazione complessiva riduce il totale di 29 unità, coincidenti con i livelli dei Ccnl marittimi e navigazione aerea. In aggiunta, resta da considerare che alcuni tra i livelli più bassi sono classificati dalla stessa contrattazione collettiva come “salari di ingresso”, con una permanenza ben limitata in termini temporali all’interno il punto del livello (entro i 9 mesi, di media). E ancora, ipotizzando di utilizzare come parametro la retribuzione lorda oraria come calcolata secondo lo schema RAL + elementi extra + uno scatto di anzianità + quota annua di T.F.R. annuo, i livelli sotto soglia restano 52 (sempre escludendo il settore marittimo ed aereo), numero che rappresenta comunque quasi la metà di quelli analizzati.

CONSIDERAZIONI A MARGINE DEL CONVEGNO

Tanto premesso, nel rimandare alle riflessioni già condivise su queste pagine della rivista di Agosto 2023 e ai preziosi contributi del professor Squeglia e della dottoressa Rossetti a seguire nonché alle interviste pubblicate su Instagram (fondazione_cdl_milano), quali considerazioni si possono svolgere a margine dell’incontro?  Pur partendo da un background e da estrazioni culturali e di studio differenti, chi con l’occhio del giurista e chi con la sensibilità dello psicologo – che si chiede se l’introduzione del salario minimo contribuisca davvero a restituire dignità e giustizia nei contesti lavorativi – e chi ancora osservando il mondo produttivo – rilevando che le PMI, vera ossatura del mondo produttivo italiano, parrebbero non essere del tutto allineate alle innovazioni tecnologiche che a loro volta producono ricadute anche in termini retributivi – tutti i partecipanti al convegno, fatta salva qualche voce isolata, non ravvisano la necessità di introdurre un salario minimo e/o un salario minimo per legge. È stato però sostenuto con forza, da tutti, che bisognerebbe giungere ad una contrattazione di qualità, che eviti il blocco, a volte decennale, dei rinnovi dei Ccnl e che si spinga a garantire il salario sufficiente ex articolo 36 Cost. nelle qualifiche più basse del sistema classificatorio contrattuale stimolando così la crescita anche dei salari delle qualifiche superiori. Inoltre, anche se la popolazione dei lavoratori italiani è “coperta” quasi integralmente dalla contrattazione collettiva, le difficoltà che si innestano sulla possibilità di introdurre -per legge- il salario minimo partono da lontano e introducono necessariamente nel dibattito temi antichi e di più ampio respiro:

  • La portata dell’art. 36 Cost., che enuncia sì il principio della sufficienza retributiva ma in relazione al quale nessuna legge ha mai stabilito quale dovesse essere il limite al di sotto del quale la retribuzione diventa insufficiente per “assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa” lasciando al giudice il compito di supplire a questa assenza
  • La questione della inattuazione dell’articolo 39 della Costituzione e le sue note ricadute in termini di efficacia erga omnes dei contratti collettivi
  • La questione della identificazione del soggetto sindacale dotato della maggiore rappresentatività o del soggetto “comparativamente maggiormente rappresentativo”.

Temi, questi, spesso di “scontro” giuridico a colpi di fioretto e che si legano al fenomeno dei contratti “pirata”, che proliferano nel “brodo di coltura della illegalità”, sul quale molti relatori si sono lungamente soffermati, che privano di tutele i lavoratori e creano concorrenza sleale tra le imprese.

Ma anche qui non è sempre tutto chiaro tanto che, legittimamente, qualcuno si chiede se “contratto pirata” sia quello stipulato da parti sociali non rappresentative o se, invece, sia quello stipulato sì dal contratto maggiormente rappresentativo ma che prevede retribuzioni inferiori a quanto stabilito dall’art. 36 Cost.. Un altro fondamentale aspetto che è fortemente emerso dal dibattito ha riguardato la definizione stessa di “salario minimo”. Che cosa vi rientra? Quali sono gli elementi che compongono il salario c.d. minimo?

Agli addetti ai lavori non può sfuggire che la formazione del coacervo retributivo del salario “minimo” dispiega inevitabilmente i propri effetti nel momento in cui si prendesse a riferimento la soglia dei nove euro, soglia proposta dagli estensori della proposta di legge giacente in Parlamento e che ha trovato un’eloquente rappresentazione grafica nel lavoro del Centro ricerche. Prese dalla maggior parte dei relatori, dunque, le distanze o dalla necessità di avere un salario minimo tout court o di avere un salario minimo legale, quello che è piuttosto netto è che se salario minimo dovesse essere, vi dovrebbe provvedere la contrattazione collettiva (nazionale).

QUALE MIGLIORE INTERPRETE DI QUESTA ISTANZA, SECONDO LA GRAN PARTE DEI RELATORI?

Sicuramente un interprete che però deve evolversi, rinnovarsi, interrogarsi criticamente rispetto al ruolo socio-economico e di pacificatore sociale che deve svolgere.

Invocata la necessità di rispettare e, anzi, rinforzare il ruolo dei corpi intermedi, di preservare la libertà degli organismi sindacali. Paventata anche, di fronte alla introduzione del salario minimo per legge, una fuga dei datori di lavoro dalla contrattazione collettiva per “rifugiarsi” in una zona espropriata dalle tutele a favore dei lavoratori. Viene anche invocata l’esperienza del Patto per la fabbrica, e cioè l’Accordo sindacati – Confindustria sul nuovo modello contrattuale e di relazioni industriali per richiamare l’attenzione sulla necessità di preservare l’esistenza e l’integrità delle relazioni industriali.

Ma qualche dolente nota in merito al ruolo rivendicato dalla contrattazione collettiva va riportata. In primo luogo, sicuramente va riconosciuto che molto ha fatto la contrattazione collettiva in termini, ad esempio, di welfare contrattuale ma questo non può sostituire la necessità o l’opportunità di avere un salario minimo. Ciò che è welfare si aggiunge alla retribuzione, la integra, la arricchisce…ma non si può sostituire ad essa. In seconda battura, un altro aspetto da sottolineare è che il numero dei contratti collettivi oggi esistenti in Italia è decisamente troppo alto. Una sorta di giungla contrattuale i cui contorni e contenuti non aiutano proprio il sindacato stesso a svolgere bene il proprio ruolo. E infine non si può sottacere il fatto che in molteplici occasioni i rinnovi contrattuali che dovrebbero servire (anche) per riscrivere e attualizzare i termini retributivi approdano a conclusione delle trattative con imbarazzanti ritardi.

Un’ultima riflessione. Se la maggior parte delle voci si leva contro l’introduzione di un salario minimo (legale), tutti concordano però sul fatto che le retribuzioni oggi in Italia siano posizionate su livelli eccessivamente bassi, tanto che non si può affermare ne’ che siano in linea con il costo della vita, ne’ che siano minimamente in grado di poter contrastare il fenomeno del lavoro povero o il fenomeno delle differenze retributive legate al Gender Gap o alle dimensioni delle aziende. E il lavoro povero – ovvero quello sotto la soglia di povertà – è una realtà che non si può sottacere.

Resta inespresso, a nostro modo di vedere, un ulteriore passo che è necessario per chiudere il cerchio: lo sviluppo di soluzioni fattive ed efficaci per rispondere e risolvere la questione salariale perché alla fine, il problema che resta sul tavolo è quello del lavoro povero.


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