RISCHI INTERPOSITORI NEGLI APPALTI “TECNOLOGICI”*

Luca di Sevo, Consulente del Lavoro in Bollate (Mi)

F. Rotondi e A. Tursi analizzano il fenomeno degli “appalti tecnologici

Gli Autori del contributo in analisi si concentrano sulla questione degli “appalti tecnologici”, che sta richiamando un’attenzione sempre maggiore, anche in seguito a recenti pronunce giurisprudenziali: tali sentenze hanno messo in discussione la legittimità di alcuni modelli organizzativi basati sull’utilizzo intensivo della tecnologia. L’articolo analizza il modo in cui le trasformazioni tecnologiche e industriali stanno modificando significativamente gli assetti organizzativi degli appalti, con particolare attenzione ai rischi di interposizione illecita di manodopera. La giurisprudenza ha posto l’attenzione su casi in cui l’utilizzo di tecnologie e strumenti informatici dell’impresa committente da parte dei dipendenti dell’appaltatore ha portato a configurare ipotesi di appalto illecito o somministrazione irregolare di lavoro. La caratteristica comune a queste situazioni è individuabile in un’organizzazione del lavoro fortemente informatizzata, dove il tradizionale potere direttivo esercitato attraverso l’interlocuzione personale viene sostituito da uno strumento che mette in comunicazione diretta il responsabile con l’operatore. Gli esempi analizzati riguardano diversi settori: prendiamo ad esempio i cosiddetti “appalti endoaziendali” di servizi logistici. In questi casi il software del committente fornisce istruzioni operative e indica i quantitativi giornalieri di lavoro. Negli appalti relativi ai trasporti, il committente definisce percorsi, sequenze e orari attraverso sistemi informatici. Altri casi riguardano la logistica di magazzino, dove il committente gestisce i terminali per lo stoccaggio della merce e il controllo dei tempi di lavoro, e i servizi di contact center, in cui il programma informatico del committente programma l’attività dei lavoratori e ne definisce i turni. In queste situazioni, il ruolo dell’appaltatore viene spesso ridotto alla mera gestione amministrativa del rapporto di lavoro (fornitura di DPI, gestione ferie e permessi, elaborazione paghe), mentre l’effettiva direzione dell’attività lavorativa viene esercitata attraverso i sistemi informatici del committente. L’articolo si sofferma sul rischio che questa tendenza giurisprudenziale sovrastimi l’elemento della proprietà dei mezzi tecnologici rispetto alla reale gestione della prestazione lavorativa. Estremizzando un tale orientamento, si potrebbe arrivare a considerare potenzialmente illeciti quasi tutti gli appalti tecnologici, con conseguenze deleterie per il sistema economico. Gli Autori sottolineano la necessità di ricontestualizzare il concetto di potere direttivo alla luce delle nuove modalità si esercizio di tale potere nell’era digitale. Essi suggeriscono che non si può affermare che il potere direttivo scompaia o si confonda con il potere di controllo solo perché viene esercitato attraverso strumenti tecnologici. Ci invitano a riflettere su come occorra riconsiderare l’importanza della cosiddetta “gestione amministrativa” del rapporto di lavoro, che non può essere considerata in maniera riduttiva un’attività marginale. L’assegnazione delle mansioni, l’organizzazione dei turni, la formazione delle squadre, la gestione di ferie e permessi, la pianificazione retributiva e la gestione delle carriere rappresentano, infatti, una parte fondamentale dell’attività organizzativa del datore di lavoro, e come tale non può essere demandata alle macchine, dato che incide direttamente sugli aspetti più concreti del rapporto di lavoro. L’articolo conclude suggerendo alcune indicazioni pratiche per gestire gli appalti tecnologici in modo legittimo. Ad esempio, si può pensare alla fornitura di sistemi applicativi che consentano all’appaltatore di monitorare la produttività dei propri dipendenti, facendo attenzione al fatto che questi strumenti non siano indispensabili per l’esecuzione materiale dell’appalto. L’attività formativa del committente verso i dipendenti dell’appaltatore può essere considerata una forma legittima se risulta finalizzata al trasferimento di competenze tecniche necessarie per l’esecuzione dell’appalto. La sfida per il futuro è quella di sviluppare una visione più cooperativa dei rapporti di esternalizzazione: è necessario guardare verso il concetto di partnership e di sinergia evitando posizioni subalterne e generatrici di conflitti. Questo approccio faciliterà la conciliazione tra l’innovazione tecnologica e la tutela dei diritti dei lavoratori, evitando che la digitalizzazione dei processi produttivi si traduca in forme mascherate di interposizione illecita di manodopera.

* Sintesi dell’articolo pubblicato in D&PL 1/2025, pag. 5 dal titolo Rischi interpositori negli appalti “tecnologici”.


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