A pochi mesi di distanza dall’attesa pronuncia del Tribunale di Torino relativa al caso dei fattorini di Foodora1 è arrivata la seconda decisione italiana in materia di qualificazione del rapporto di lavoro dei rider.
Con sentenza n. 1853 del 10 settembre 2018 il Tribunale di Milano ha respinto la domanda di accertamento della natura subordinata del rapporto promossa da un fattorino nei confronti della società tramite cui opera in Italia la piattaforma spagnola Glovo, uno dei più importanti player nel settore della consegna immediata via app di beni, non solo alimentari (con Glovo è infatti possibile farsi recapitare prodotti di ogni genere, anche se è stata soprattutto la recente partnership con un gigante come McDonalds a consolidare la sua presenza nel settore).
Il ricorrente – che, al contrario dei fattorini di Foodora, effettuava le consegne utilizzando la propria automobile – era stato assunto dalla piattaforma con un contratto di collaborazione coordinata e continuativa avente ad oggetto la propria disponibilità a rispondere alle richieste di consegna formulate dagli utenti tramite l’applicazione installata sullo smartphone. Dopo la scadenza del contratto, il lavoratore aveva continuato a prestare la propria attività e aveva subito un infortunio sul lavoro. Al termine del periodo di inabilità temporanea, il lavoratore aveva chiesto di essere reimmesso in servizio ma la società aveva opposto un rifiuto.
Il ricorrente chiedeva quindi al giudice di accertare la natura subordinata del rapporto e, in seconda battuta, di dichiarare l’illegittimità dell’estromissione dal servizio, da qualificarsi in termini di licenziamento intimato in forma orale, come tale radicalmente nullo con diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro (art. 2, D.lgs. n. 23/2015).
Anche il contratto di collaborazione predisposto da Glovo, come il contratto Foodora, conteneva una clausola c.d. independent contractor clause che sottolineava l’autonomia del collaboratore. Quest’ultimo, infatti, avrebbe prestato la propria attività «senza alcun obbligo di reperibilità e senza alcun obbligo di prestazione minima giornaliera, settimanale o annuale … nella più ampia autonomia ed ogniqualvolta lo vorrà», collegandosi di volta in volta all’applicazione «per segnalare la sua disponibilità ad effettuare un servizio».
Il giudice milanese, tuttavia, non si è arrestato al rilievo del nomen iuris indicato nel contratto e ha ricostruito nei dettagli le concrete modalità di esecuzione del rapporto, valendosi delle risultanze dell’istruttoria testimoniale. Da esse è risultato che attraverso l’applicazione il fattorino poteva indicare liberamente i giorni e le ore in cui rendersi disponibile a effettuare le consegne, “prenotandoli” sul calendario on-line accessibile mediante l’applicazione. Al fattorino era quindi garantita la libertà di decidere in quali giorni, per quante ore e in quali fasce orarie (c.d. slot) rendersi disponibile a rispondere alle chiamate, senza che fossero previste penalizzazioni in caso di inattività.
Tuttavia, il mancato collegamento alla piattaforma o la mancata accettazione delle richieste di consegna pervenute durante gli slot già prenotati, ovvero la richiesta di riassegnazione di un ordine già accettato, avrebbero comportato l’abbassamento dell’indice di «fedeltà» del lavoratore – un valore numerico espressivo della reputazione del lavoratore, sul modello del discusso sistema di rating a «cinque stelle» adottato da Uber – da cui derivavano alcune penalizzazioni rispetto alla possibilità di prenotare in futuro gli slot disponibili secondo le proprie preferenze.
Così ricostruito il modello organizzativo adottato dalla piattaforma, la sentenza riconosce la sussistenza, in capo al lavoratore, della libertà di decidere se e quando lavorare, rilevando che «in fase di prenotazione degli slot, infatti, egli non aveva vincoli di sorta nella determinazione dell’an, del quando e del quantum della prestazione».
Ad avviso del giudicante, tale libertà di autodeterminare la quantità e la collocazione temporale della prestazione lavorativa, i giorni di lavoro e quelli di riposo e il loro numero, rappresenta un elemento incompatibile con il vincolo della subordinazione, come già affermato dal Tribunale di Torino in riferimento ai rider di Foodora e dalla giurisprudenza francese in riferimento a quelli di Deliveroo2.
La subordinazione, infatti, implica«l’inserimento del lavoratore nella organizzazione imprenditoriale del datore di lavoro mediante la messa a disposizione, in suo favore, delle proprie energie lavorative (operae) ed il contestuale assoggettamento al potere direttivo di costui»3, mentre la libertà di autodeterminare a piacimento il tempo di lavoro esclude che si possa parlare di un inserimento stabile del lavoratore nell’organizzazione d’impresa.
La sentenza precisa poi che non sarebbe neppure possibile ravvisare nella fattispecie un numero significativo di indici sussidiari, che la giurisprudenza individua nella continuità del rapporto, nell’assenza di rischio in capo al prestatore, nell’osservanza di un determinato orario, nella corresponsione a cadenze fisse di un compenso predeterminato. Gli indici riscontrabili nel caso di specie erano rappresentati infatti solo dal carattere continuativo della prestazione e dall’utilizzo di alcuni strumenti di lavoro forniti dalla società (la app, il contenitore termico per i cibi e un caricabatteria portatile). Nel senso dell’autonomia del rapporto deponevano invece il fatto che le consegne venivano effettuate con un mezzo proprio (nel caso di specie, l’automobile) e che il lavoratore non percepiva un corrispettivo mensile fisso e predeterminato, ma un compenso variabile in funzione del numero e della tipologia di consegne effettuate, correlato dunque ai risultati conseguiti e non al tempo di messa a disposizione delle energie lavorative.
Anche la circostanza che la piattaforma possa penalizzare i rider attraverso un sistema reputazionale non sarebbe assimilabile all’esercizio del potere disciplinare, posto che «tale sistema non dà luogo all’applicazione di sanzioni afflittive, limitative dei diritti del prestatore, ma solo ad una rimodulazione delle modalità di coordinamento in funzione dell’interesse del committente ad una più efficiente gestione dell’attività». Il sistema a cinque stelle di Uber, al contrario, era stato profondamente valorizzato dalla giurisprudenza britannica ai fini della riqualificazione del rapporto di lavoro dei driver4.
Nel suo complesso, la sentenza in commento si allinea all’orientamento già espresso dal Tribunale di Torino nel solco giurisprudenza maturata sin dagli anni ’80 del secolo scorso in riferimento ai pony express5.
Su un punto, tuttavia, la pronuncia milanese parrebbe discostarsi, quantomeno nelle premesse, dall’orientamento espresso dal Tribunale di Torino.
Quest’ultimo, infatti, aveva escluso in radice l’applicabilità della nuova disciplina in materia di collaborazioni organizzate dal committente «anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro» (art. 2, D.lgs. n. 81/2015) – che era stata invocata in via subordinata dai lavoratori ricorrenti – sulla base del rilievo che tale disposizione «non ha un contenuto capace di produrre nuovi effetti giuridici sul piano della disciplina applicabile alle diverse tipologie di rapporti di lavoro», finendo anzi per avere un ambito di applicazione addirittura più ristretto di quello dell’art. 2094 c.c..
Il giudice, pur non investito della domanda, ha ritenuto comunque necessario verificare d’ufficio l’eventuale sussistenza dell’elemento dell’etero-organizzazione spaziale e temporale, che viene comunque esclusa, ancora una volta, in ragione libertà di determinare autonomamente la collocazione temporale della prestazione. Ad avviso del Tribunale, infatti, «le modalità di esecuzione della prestazione, per quanto precedentemente evidenziato, non possono ritenersi “organizzate dal committente con riferimento ai tempi […] di lavoro”, poiché la scelta fondamentale in ordine ai tempi di lavoro e di riposo era rimessa all’autonomia del ricorrente, che la esercitava nel momento in cui manifestava la propria disponibilità a lavorare in determinati giorni e orari e non in altri».
Nulla viene detto, invece, circa l’elemento dell’etero-organizzazione spaziale, che forse avrebbe potuto configurarsi in ragione del fatto che gli itinerari di consegna vengono predisposti dall’applicazione. La circostanza, tuttavia, sarebbe stata comunque inidonea a determinare da sola l’applicazione del citato art. 2, che richiede, secondo la lettura prevalente, che l’etero-organizzazione riguardi sia i tempi che il luogo di lavoro.
Nella pendenza dei procedimenti giudiziali cui si è fatto riferimento non sono mancate iniziative volte ad apprestare una serie di tutele a favore dei rider applicabili indipendentemente dalla qualificazione del rapporto.
Sull’onda dell’esperienza della Loi travail francese del 2015 – che ha attribuito alcuni diritti di natura sindacale ai «travailleurs indépendants recourant, pour l’exercice de leur activité professionnelle, à une ou plusieurs plateformes de mise en relation par voie électronique» (artt. Legge n. 7341-1 e ss. del Code du travail) – nella passata legislatura erano stati presentati alcuni progetti di legge di provenienza parlamentare, intesi a promuovere forme di tutela mutualistica e sindacale a favore dei rider6.
A livello locale, poi, deve essere menzionato il progetto avviato dall’amministrazione comunale di Bologna, che ha promosso una «Carta dei diritti fondamentali dei lavoratori digitali nel contesto urbano»7, sottoscritta dalla Riders Union Bologna e da alcune società attive nel settore (ma non dalle piattaforme più importanti). I diritti della Carta, infatti, vengono attribuiti a tutti i rider «indipendentemente dalla qualificazione dei rapporti di lavoro» (art. 1).
Che la promozione delle forme di tutela collettiva dei riders costituisca una linea di intervento particolarmente significativa lo ha dimostrato l’esperienza di SMart, piattaforma di auto-organizzazione cooperativa di lavoratori autonomi operativa in nove paesi europei8, che in Belgio è arrivata a negoziare un accordo collettivo con Deliveroo9.
Sul versante del mondo del lavoro subordinato va invece fatto riferimento all’iniziativa assunta dalle parti sociali sottoscrittrici del Ccnl Logistica e Trasporti, che, con accordo del 18 luglio 201810, hanno introdotto due nuovi livelli contrattuali destinati a ricomprendere i lavoratori addetti alla «distribuzione di merci con cicli, ciclomotori e motocicli (c.d. riders)», a favore dei quali vengono stabilite alcune misure di tutela, con particolare riferimento all’orario di lavoro. L’iniziativa, pur lodevole, parrebbe scontare tuttavia l’inesigibilità delle pattuizioni contrattual-collettive nei confronti delle principali piattaforme operative sul mercato italiano, le quali non hanno aderito all’accordo e continuano a inquadrare i riders secondo lo schema contrattuale della collaborazione autonoma.
Un discorso diverso deve essere invece svolto per quanto concerne le iniziative che potrebbero – il condizionale è d’obbligo – provenire dal legislatore nazionale.
In particolare, nell’ambito delle vicende che hanno visto l’affermazione di un’inedita maggioranza parlamentare e l’insediamento di un nuovo titolare del dicastero del lavoro, all’inizio della scorsa estate è circolata tra gli addetti ai lavori una bozza di decreto recante «norme in materia di lavoro subordinato anche tramite piattaforme digitali, applicazioni e algoritmi»11.
Tali disposizioni, che prevedevano un intervento diretto sull’art. 2094 c.c., avrebbero consentito di qualificare agevolmente la gran parte dei lavoratori della gig economy (ma non solo) come lavoratori subordinati. In particolare, l’art. 1 della bozza di decreto prevedeva espressamente che «è considerato prestatore di lavoro subordinato, ai sensi dell’art 2094 del codice civile, chiunque si obblighi, mediante retribuzione, a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale, alle dipendenze e secondo le direttive, almeno di massima e anche se fornite a mezzo di applicazioni informatiche, dell’imprenditore, pure nei casi nei quali non vi sia la predeterminazione di un orario di lavoro e il prestatore sia libero di accettare la singola prestazione richiesta, se vi sia la destinazione al datore di lavoro del risultato della prestazione e se l’organizzazione alla quale viene destinata la prestazione non sia la propria ma del datore di lavoro».
Il testo, che mirava anche a realizzare l’integrale abrogazione dell’art. 2, D.lgs. n. 81/2015, non è stato poi trasfuso nel corpo del c.d. decreto dignità (D.l. 12 luglio 2018, n. 87, convertito dalla Legge 9 agosto 2018, n. 96), sicché ad oggi non è dato sapere se il Governo sia ancora intenzionato a coltivare la strada dell’intervento “hard” ovvero se abbia mutato avviso dopo aver saggiato le reazioni di alcune piattaforme come quella di Foodora, che ha prima diffuso una sorta di controproposta12 e poi annunciato l’intenzione di abbandonare del mercato italiano13.
In attesa di vedere come si muoverà il legislatore, può per il momento essere conclusivamente rilevato che, in assenza di interventi normativi come quello appena menzionato, l’indirizzo interpretativo espresso dai giudici di Torino e di Milano sembrerebbe destinato a consolidarsi.
1 Ne abbiamo parlato in Torino vs. Londra. Il lavoro nella gig economy tra autonomia e subordinazione, in Sintesi, maggio 2018, cui si rinvia per l’esame della decisione torinese, che nel frattempo è stata pubblicata integralmente in RIDL, 2018, n. 2, II, p. 283, con nota di P. Ichino.
2 Cour d’Appel de Paris 22 novembre 2017, n. 16/12875, in RIDL, 2018, n. 1, II, p. 46, con nota di A. Donini, che ha escluso la sussistenza di une relation salariale una volta accertato che il lavoratore godeva di una «libertà totale di lavorare o meno, che gli permetteva, senza doversi giustificare, di scegliere ogni settimana i giorni di lavoro e il loro numero, senza vincoli di durata minima della prestazione».
3 Così, da ultimo, Cass. 14 giugno 2018, n. 15631, richiamata in sentenza.
4 Cfr. Employment Tribunal, Central London, 26 ottobre 2016, Caso n. 2202551/2015, Aslam, Farrar et al. vs. Uber et al., in DRI, 2017, n. 2, p. 575 ss., con nota di D. Cabrelli; Employment Appeal Tribunal, England and Wales, 10 novembre 2017, Case n. UKEAT/0056/17/DA, Uber et al vs. Aslam, Farrar et al., in RIDL, 2018, n. 1, II, p. 46 ss., con nota di A. Donini.
5 Cfr. Trib. Milano 10 ottobre 1987, in RIDL, 1987, II, p. 688, con nota redazionale; Cass. 10 luglio 1991, n. 7608; in Riv. it. dir. lav., 1992, II, p. 370, con nota di B. Viganò; Cass. 25 gennaio 1993, n. 811, in Riv. it. dir. lav., 1993, II, p. 425, con nota redazionale. Da ultimo Cass. 20 gennaio 2011, n. 1238, in DeJure.
6 V. la rassegna in E. Dagnino, Le proposte legislative in materia di lavoro da piattaforma: lavoro, subordinazione e autonomia, in G. Zilio Grandi, M. Biasi (a cura di), Commentario breve allo statuto del lavoro autonomo, cit., p. 207 ss., ove riferimenti alla proposta Ichino di integrazione dello Statuto del lavoro autonomo (progetto di legge n. 2934/2017).
7 Testo reperibile in http://www.comune.bologna.it/sites/default/files/documenti/CartaDiritti3105_web.pdf. Per approfondimenti sulla Carta, v. F. Martelloni, Individuale e collettivo: quando i diritti dei lavoratori digitali corrono su due ruote, in Labour & Law Issues, 2018, n. 1, pag. 16 ss.
8 L’esperienza viene dettagliata da S. Graceffa, Rifare il mondo… del lavoro. Un’alternativa alla uberizzazione dell’economia, DeriveApprodi, Roma, 2017.
9 Lo riporta anche P. Ichino, Le conseguenze dell’innovazione tecnologica sul diritto del lavoro, in Riv. it. dir. lav., 2017, n. 4, I, p. 529.
10 Testo reperibile in Il giuslavorista, 23 luglio 2018, con nota redazionale Riders: siglato l’accordo tra le parti del CCNL Logistica e Trasporti che disciplina l’attività dei fattorini della Gig economy.
11 Testo reperibile in http://www.rivistalabor.it/decreto-dignita-tutele-riders/.
12 Foodora ha giocato d’anticipo rispetto alla bozza di decreto pubblicando a sorpresa una propria «carta dei diritti», imperniata tuttavia sulla contrattualizzazione mediante collaborazione autonoma: cfr. L. Zorloni, Foodora presenta la sua contro-carta dei diritti dei fattorini, in wired.it, 29 giugno 2018.
13 Lo riporta tra gli altri R. Piol, Foodora lascia l’Italia: “mercato difficile, meglio vendere”, in huffingtonpost.it, 3 agosto 2018.