RECESSO DEL LAVORATORE: DAL CODICE CIVILE ALLE DIMISSIONI PER FATTI CONCLUDENTI*

Antonella Rosati, Ricercatrice del Centro Studi Fondazione Consulenti del Lavoro di Milano

P. Staropoli si confronta con le novità del Collegato Lavoro

L’ Autore illustra la nuova disciplina sulle dimissioni per fatti concludenti del lavoratore, applicabile dall’entrata in vigore del Collegato Lavoro 2025. L’introduzione della qualificazione del comportamento del lavoratore quale espressione della sua effettiva volontà di cessare il rapporto di lavoro garantisce, senza indebolire le tutele dei lavoratori coinvolti, un recupero di simmetria di sistema, sollevando il datore di lavoro e l’ordinamento da oneri impropri (procedimento di licenziamento, contributo solidaristico per il licenziamento, trattamento NASpI), che finivano per configurare, quale conseguenza di un effetto visibilmente distorsivo, un vero e proprio ossimoro giuridico, determinato da un licenziamento, necessitato dalla volontà del lavoratore.

DALLE DIMISSIONI “IN BIANCO” A QUELLE “TELEMATICHE”

In origine la disciplina delle dimissioni si è rivelata piuttosto fiacca. L’unica norma di riferimento era l’art. 2118 del Codice civile che non prescrive alcuna indicazione di forma e impone al lavoratore subordinato che vuole recedere dal rapporto di lavoro soltanto la concessione del periodo di preavviso, che in ogni caso può essere in alternativa trattenuto, salvo il caso delle dimissioni per giusta causa. Tale ampiezza è stata sempre giustificata dalla considerazione che le dimissioni rappresentano per il lavoratore subordinato il riconoscimento di un essenziale momento di libertà. Questa chiave di lettura è stata messa in crisi dalla pratica esecrabile delle c.d. “dimissioni in bianco”, consistente nella costrizione del lavoratore, al quale venivano fatte firmare delle dimissioni senza l’apposizione della data al momento dell’assunzione stessa, in modo da potersene liberare facilmente e in maniera assolutamente illecita. Per ovviare a tali pratiche sono state introdotte prescrizioni formali per la rassegnazione delle dimissioni, prima fra tutte la Legge n. 188/2007 che per la prima volta ha imposto, ai fini della validità delle dimissioni, che queste venissero formulate su appositi moduli predisposti dal Ministero del Lavoro. L’evoluzione normativa ha poi visto l’introduzione di ulteriori formalità rigorose con la Legge n. 92/2012 fino alla disciplina attualmente vigente delle dimissioni telematiche prescritta dall’art. 26 del D.lgs. n. 151/2015: le dimissioni devono essere rese obbligatoriamente attraverso un procedimento informatizzato, che introduce un vincolo di forma scritta qualificato (la modalità telematica) e consente di riconoscere alla espressione della volontà del la voratore dimissionario l’effetto concreto della risoluzione del rapporto di lavoro. Ciò a pena di inefficacia. Tuttavia l’assenza di qualsiasi valida soluzione alternativa all’adozione della procedura telematica per le dimissioni ha creato, non di rado, situazioni di stallo. Ogni qual volta un lavoratore abbandonava sua sponte il posto di lavoro senza dare notizie di sé, il datore di lavoro era costretto a provvedere al licenziamento, con diseconomie organizzative e oneri impropri: – l’adozione di un procedimento disciplinare; – il rischio del buon fine delle comunicazioni connesse e l’attesa degli esiti; – l’onere del c.d. “ticket licenziamento”, contributo con fini solidaristici, previsto dalla Legge n. 92/2012 in occasione di ogni licenziamento. A ciò si aggiunge la maturazione del diritto alla indennità di disoccupazione, così che un soggetto che ha intenzionalmente interrotto il proprio rapporto di lavoro, si vedrà destinatario di una misura di sostegno, posta a carico della collettività, prevista invece per lo stato di disoccupazione involontaria. L’attuale quadro normativo pativa pertanto gli evidenziati effetti distorsivi che, in assenza della possibilità di valorizzare l’effettiva volontà di risolvere il rapporto di lavoro, si traducevano immediatamente in costi per i singoli e per il sistema.

NOVITÀ IN MATERIA DI RISOLUZIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO

L’intervento, risoltosi nella introduzione del comma 7-bis all’art. 26 del D.lgs. n. 151/2015, assolverà dalla sua entrata in vigore proprio a queste esigenze di recupero di quegli effetti distorsivi della disciplina obbligatoria delle dimissioni telematiche, evitando stagnazioni altrimenti dannose per il sistema e foriere di incertezza. La possibilità di ritenere l’espressione della volontà di dimettersi per comportamento concludente è subordinata a due concomitanti condizioni: che il lavoratore sia assente e che l’assenza sia ingiustificata, oltre che protratta nel tempo. L’assenza deve essere ingiustificata, quindi va intesa ragionevolmente in senso materiale e perciò associata al silenzio del lavoratore che non si presenta al lavoro e non dà notizie di sé. Corollario della natura ingiustificata è la durata dell’assenza: superiore a quella individuata dal contratto collettivo nazionale applicato al rapporto di lavoro o, in mancanza dell’applicazione di un contratto collettivo, superiore a quindici giorni. La fattispecie contemplata perciò è quella di un inadempimento grave (assenza dal posto di lavoro senza fornire alcun tipo di giustificazione, a prescindere dalla potenziale fondatezza) e rilevante perché oltretutto protratto in maniera significativa nel tempo. La necessità di intercettare l’effettiva volontà del lavoratore contempla la previsione di un ulteriore momento necessario, previsto a protezione del diritto alla conservazione del posto di lavoro: una volta accertati i requisiti di ingiustificatezza e durata dell’assenza il datore di lavoro, prima di procedere alla formalizzazione della cessazione del rapporto per volontà del lavoratore, deve dare comunicazione di tali circostanze di fatto alla sede territoriale dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro che può verificare la veridicità della comunicazione medesima. Le finalità di tutela sono peraltro confermate dalla considerazione che la comunicazione di cui è onerato il datore di lavoro è condizione necessaria per la realizzazione degli effetti previsti dalla norma stessa.

NORMA DI CHIUSURA

Il lavoratore è tradizionalmente considerato il contraente debole e perciò destinatario di particolari tutele: la presunzione delle dimissioni non opera, e il rapporto di lavoro non può intendersi risolto, se il lavoratore dimostra l’impossibilità di comunicare i motivi che giustificano la sua assenza per causa di forza maggiore o per fatto imputabile al datore di lavoro. Qualora il lavoratore dimostri, anche in un momento successivo, che non ha potuto rendere le proprie giustificazioni per cause a lui non imputabili, l’effetto risolutivo non si compie.

COMPATIBILITÀ DI SISTEMA

Alla luce dell’analisi premessa, la previsione qui brevemente commentata appare oggettivamente un recupero di ragionevolezza e si presenta compatibile e organica al sistema perché prevede norme di chiusura che consentono al lavoratore, anche in un secondo momento, di dimostrare la sua diversa volontà, secondo l’affermazione del principio generale della imputabilità dell’eventuale inadempimento delle giustificazioni. Si confermano perciò erronee, oltre che ingenerose, quelle critiche che hanno voluto speciosamente associare alla norma delle dimissioni per fatto concludente la reintroduzione delle dimissioni in bianco, considerato che quella pratica, per quanto è possibile osservare anche da una disattenta lettura, si conferma tangibilmente inattuabile.

* Sintesi dell’articolo pubblicato in D&PL, 2/2025, pag. 98 dal titolo Dimissioni telematiche: recuperato equilibrio e finalità della norma.


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