Non finiremo mai di ripetere – sperando ardentemente che ci sia un momento in cui i fatti ci smentiscano – che il mercato del lavoro di questo Paese è ampiamente drogato da una serie di contratti illeciti ed abusati.
Ciò che particolarmente colpisce è il fenomeno delle estesissime somministrazioni illecite o appalti fittizi, quale espediente per diminuire (in modo truffaldino e, talvolta, illusorio, perché il committente spesso non è conscio di ciò che rischia comunque) il costo del lavoro e diversi oneri e doveri datoriali connessi al lavoro subordinato.
Il fenomeno si sviluppa già a partire dalla fine degli anni ’70 e a poco o nulla sono valsi i vari interventi normativi volti a regolare (attraverso l’introduzione del lavoro interinale, prima, e poi della somministrazione) la flessibilità buona di un’intermediazione di manodopera garantita, senza contare un’incomprensibile lassismo (non comprenderemo mai se per insipienza o per preciso indirizzo) verso la repressione di fenomeni così alla luce del sole e diffusi che anche un cieco potrebbe percepirli agevolmente.
Né possiamo dirci particolarmente soddisfatti se il novello Decreto Dignità ha reintrodotto la fattispecie penale della somministrazione fraudolenta (maldestramente abrogata dal Jobs Act), dato che tale reintroduzione appare a sé sante e staccata da un disegno sistematico volto all’intercettazione seria del fenomeno interpositorio; e ciò sia perché nel medesimo Decreto nel frattempo si penalizza, almeno in parte, la somministrazione, sia perché non si valorizza una diversa esposizione della fattispecie, la quale purtroppo è stata riproposta nella formulazione sostanzialmente identica alla precedente (anzi, con un carico sanzionatorio minore!), un testo che obiettivamente qualche problema interpretativo ed applicativo in passato l’aveva dato.
Ma nell’ottimismo costruttivo che ci porta a vedere la parte mezza piena del bicchiere, è comunque un primo passo avanti il fatto che l’interposizione fraudolenta di manodopera torni ad avere attenzione sotto il versante penale.
Sennonché si pongono alcuni problemi di gestione dell’apparato sanzionatorio di non facile soluzione, a cavallo di una norma prima depenalizzata e poi nuovamente individuata quel reato.
Non solo, ma anche in costanza della norma precedente, come detto, poca (quantomeno, non sufficiente) attenzione pare – a chi scrive – sia stata posta da parte del versante ispettivo per intercettare e reprimere in maniera coerente ed efficace il fenomeno.
Vorremmo pertanto proporre una possibile soluzione, che ricalca in parte la logica dell’art. 54 del D.lgs. n. 81/2015, per mettere un punto fermo e, per così dire, di ripartenza: una sanatoria sulla somministrazione illecita.
Quando si parla di sanatoria, condono, emersione, stabilizzazione et similia, spesso si rende l’impressione di un patetico colpo di spugna, una resa di fronte all’illegalità, quasi un “premio” verso chi ha fino ad allora abusato ed ora, con comodità, può mettersi a posto. Tuttavia è anche chiaro che una sanatoria può costituire un messaggio forte, un punto di svolta, quasi l’ultima spiaggia offerta prima di conseguenze peggiori, certo un indice anche di debolezza (per non essere riusciti ad intervenire diversamente sul fenomeno) ma insieme una possibilità di emersione tanto più efficace quanto più emerga la volontà e la possibilità di non ripetere gli errori del passato e di non concedere gli stessi spazi di manovra prima tollerati.
Immaginiamo perciò una sanatoria sulla somministrazione illecita e tutti i fenomeni ad essa connessi (appalti o distacchi fittizi, ad esempio – ricordiamo che il distacco è frequentissimamente utilizzato anche nel settore pubblico per aggirare il divieto di subappalto), con alcuni passaggi obbligatori:
Una transazione con il singolo lavoratore in una sede conciliativa ex artt. 410 e segg c.p.c. o presso una commissione di certificazione ex art. 76 e segg. D.lgs. n. 276/2003, che sani tutti gli aspetti eventualmente connessi all’interposizione fittizia, con il pagamento al lavoratore di una somma di almeno 100 euro in ragione di anno o frazione di anno (in questi termini, completamente esente sotto il profilo fiscale e previdenziale) ed il contemporaneo versamento di una somma di pari importo (100 euro in ragione di anno o frazione) a titolo forfettario sanzionatorio1.
La transazione deve inoltre prevedere l’assunzione del lavoratore, a tempo indeterminato e con un orario esattamente uguale alla prestazione del lavoratore (e comunque per un part-time non inferiore al 40 %) e l’impegno del datore di lavoro a non recedere dal rapporto per un periodo di 12 mesi dall’assunzione, se non per giusta causa o giustificato motivo soggettivo.
Una contestuale (entro 5 giorni dalla transazione) denuncia di emersione, in cui il datore di lavoro (pseudo-committente) segnali il rapporto sanato, compresi gli estremi della conciliazione e del datore di lavoro interposto (o somministratore fittizio).
La denuncia di cui al punto precedente deve inoltre prevedere l’impegno, come clausola sostanziale, del datore di lavoro, per un periodo di 5 anni a partire dalla data della transazione, a non incorrere in violazioni per attività riguardanti la somministrazione illecita, l’appalto o il distacco fittizi o altre forme di irregolare intermediazione di manodopera.
A fronte degli adempimenti integrali di cui ai punti precedenti, che devono intervenire spontaneamente prima dell’avvio di un’attività ispettiva, di un accertamento formale o di una denuncia di qualsiasi tipo agli Enti competenti, si prevedrebbe l’abbuono di ogni sanzione amministrativa o penale riguardante l’intermediazione illecita e fraudolenta relativamente a ciascun lavoratore regolarizzato.
La regolarizzazione in argomento dovrebbe infine avere una data precisa di scadenza (e non essere aperta ad libitum), ipotizzabile nell’arco di tre/sei mesi dall’eventuale approvazione di una simile norma, in modo da costituire una sorta di esperibilità una-tantum di condono e non una possibilità sempre aperta.
Lo scopo della proposta è quello di far emergere rapporti costituiti magari nel tempo e di difficile sistemazione; non è infrequente che il datore di lavoro (certo, non sempre così “innocente”) sia addirittura ricattabile dall’interpositore o quantomeno inserito in un circolo vizioso da cui parrebbe difficile altrimenti uscire.
Del resto, il dilagare di soggetti che hanno offerto sul mercato manodopera in maniera fittizia ha creato non poche vittime fra i datori, certo non solo per ignoranza (inescusabile, peraltro) della norma; ma sicuramente a tale situazione ha non poco contribuito l’apparente validità formale di tali soggetti, dotati di “regolari” posizioni Inps ed Inail, con il Durc in ordine (cosa che significa poco o nulla, come ben sanno gli addetti ai lavori), con tanto di iscrizione al registro imprese e che operano alla luce del sole, magari anche con certificazioni di qualità o qualche “presentazione autorevole”. La domanda velenosa su cui molti imprenditori sono caduti è infatti la seguente: “ma se tutto ciò è vietato, come mai lo fanno tutti e in maniera così palese?” (Domanda a cui ci piacerebbe che desse risposta chi doveva e poteva reprimere simili fenomeni).
Dello svantaggio di una qualsiasi soluzione di sanatoria abbiamo già detto.
Vediamo invece quali sarebbero i possibili vantaggi di una proposta simile:
La sanatoria darebbe la possibilità a chi ha sbagliato – sono le aziende e gli imprenditori, la parte (tendenzialmente) sana e propulsiva della nostra economia – di sanare integralmente la propria posizione, con il preciso impegno di non “ricaderci” più nel presente e nell’immediato futuro. In un periodo di leggera ripresa dell’economia, pare apprezzabile la possibilità di mettersi a posto con una somma esigua (rispetto al diverso e ben più alto rischio in caso di verifica o contenzioso).
La sanatoria sarebbe rivolta alle sole imprese committenti, senza alcuno sconto sanzionatorio per i soggetti interpositori (o falsi appaltatori che dir si voglia). Quindi verso coloro che hanno lucrato o intendono continuare a lucrare sull’affitto illecito di manodopera, che non hanno alcuna scusante, vi sarebbe un atteggiamento giustamente inflessibile e repressivo. Non solo, la denuncia del rapporto, compreso il nome del soggetto somministratore, farebbe emergere in modo chiaro i nomi di chi elude in modo sistematico la legge, costruendo catene di sfruttamento. Senza contare, a questo proposito, “l’effetto domino”: l’emersione infatti avrebbe un effetto trascinante, in quanto anche chi non fosse particolarmente convinto di aderire alla sanatoria subirebbe il pesante e concreto rischio di essere colpito dagli accertamenti “di ritorno” che verrebbero subitamente effettuati verso i somministratori fraudolenti emersi.
La regolarizzazione del rapporto di lavoro permetterebbe ai lavoratori impiegati nelle somministrazioni illecite di acquisire una maggiore stabilità occupazionale, nonché di fruire dei medesimi trattamenti degli altri addetti dell’azienda: non di rado, infatti, la somministrazione illecita si accompagna a trattamenti retributivi (e conseguenti contribuzioni) depressi o viziati da poste elusive (trasferte e rimborsi fittizi, ad esempio, oppure denuncia di orari di lavoro minimi). È vero che con la conciliazione avverrebbe una rinuncia, per il passato, al ristoro di retribuzioni o trattamenti percepiti quasi sicuramente inferiori al dovuto, ma è altrettanto vero che tali azioni in di ardua praticabilità (senza contare che, in ogni caso, i lavoratori che non ritenessero di conciliare conserverebbero la piena facoltà di recupero dei propri diritti interamente).
Con i versamenti delle sanzioni forfettarie si costituirebbe un piccolo fondo che andrebbe ad incrementare le risorse da destinare all’attività ispettiva. Per fare dei numeri, diciamo che se 200.000 lavoratori (un’esigua parte di quelli impiegati in tali modalità fraudolente) venissero regolarizzati a questo modo (con una media di due anni cadauno, quindi con un versamento di 200 euro a testa) ci sarebbe un introito di 40 milioni di euro, in pratica ci si potrebbero impiegare – a occhio e croce – 160/200 ispettori per un quinquennio (una piccola task-force dedicabile, in prima battuta, ad estirpare il fenomeno della falsa somministrazione?), oppure potenziare gli strumenti della forza ispettiva attuale.
Se si raggiungesse una certa massa critica, l’afflusso di risorse contributive e fiscali ora sottratte allo Stato permetterebbe una manovra complessiva di alleggerimento del costo del lavoro.
In definitiva, se a prima vista una sanatoria potrebbe tale ipotesi sembrare una “resa” (tuttavia, sarebbe così diversa dalla resa a cui purtroppo assistiamo quotidianamente verso tale malaffare?) in realtà potrebbe costituire, per un Esecutivo che volesse davvero mettere mano in modo serio alla repressione del fenomeno e mantenere un atteggiamento coerente, un vero punto di svolta.
1 Le somme esposte sono puramente indicative e servono a mero scopo esemplificativo: si dovrebbe in ogni caso trattare di somme minimali tali da non scoraggiare la presa in considerazione della possibilità di sanare il passato.