PROPORZIONALITÀ DEL LICENZIAMENTO PER GIUSTA CAUSA e considerazioni sul rinvio effettuato dalla Corte

Riccardo Bellocchio, Consulente del Lavoro in Milano

Nel procedere ad analizzare il caso di un licenziamento per giusta causa attuato prima della riforma dell’art. 18 a cura della Legge n. 92/2012, la Suprema Corte (Cass., sez. Lavoro, Ordinanza 1 marzo 2024, n. 5588) esprime due principi interessanti. Il primo è legato alla vicenda impugnata, e successivamente rimandata al tribunale di secondo grado per un ulteriore giudizio, di un lavoratore licenziato nel 2010 per giusta causa per assenza ingiustificata di mezza giornata per aver prima richiesto un permesso per assistere la figlia di due anni malata e successivamente essersi presentato, nella stessa giornata, alla manifestazione sindacale presso il sito produttivo della società. La vicenda subiva parecchi colpi di “scena”; in primo grado la Corte di Appello di Campobasso dava ragione alla società in merito al licenziamento per giusta causa del lavoratore e soprattutto riteneva corretta la proporzionalità tra sanzione disciplinare e il fatto ricostruito. Il lavoratore procedeva in Cassazione e la Suprema Corte riformava la sentenza, rimandandola al tribunale di Napoli per valutare la gravità dei fatti addebitati al lavoratore e la proporzionalità con il procedimento espulsivo. Quest’ultimo confermava quindi l’illegittimità del procedimento proprio per violazione del principio di proporzionalità condannando la società alla reintegra e al pagamento dell’indennità fino alla effettiva reintegra. La società, quindi, adiva alla Corte affinchè valutasse correttamente il comportamento del lavoratore che era improntato all’infingimento, al sotterfugio ed al raggiro, col tentativo di lucrare la retribuzione giornaliera non spettante utilizzando, allo scopo, una certificazione medica contraddetta dal suo stesso comportamento e dalla conclamata evidenza dei riscontri che lo documentavano. Inoltre, per la società erano palesi l’abuso, la speculazione e la mistificazione posta in essere dal lavoratore tale da rendere impossibile il prosieguo dell’attività lavorativa. La Corte, nel rigettare il ricorso, ha richiamato il consolidato insegnamento di legittimità, secondo cui la giusta causa di licenziamento deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro e, in particolare, dell’elemento fiduciario, verificata la concretizzazione della giusta causa di licenziamento quale clausola generale, anche in riferimento al requisito di proporzionalità, che esige valutazione non astratta dell’addebito, ma attenta ad ogni aspetto concreto del fatto, alla luce di un apprezzamento unitario e sistematico della sua gravità, rispetto ad un’utile prosecuzione del rapporto di lavoro, assegnandosi rilievo alla configurazione delle mancanze operata dalla contrattazione collettiva, all’intensità dell’elemento intenzionale, al grado di affidamento richiesto dalle mansioni, alle precedenti modalità di attuazione del rapporto, alla durata dello stesso, all’assenza di pregresse sanzioni, alla natura e alla tipologia del rapporto mede simo. Nel caso di specie, la Corte territoriale correttamente aveva inquadrato e perimetrato l’oggetto del giudizio di rinvio e aveva giustificato il proprio convincimento secondo lo schema esplicitamente enunciato nella sentenza di annullamento, in coerenza, oltre che con la sentenza rescindente, con il principio più volte affermato dalla Corte che, sebbene in tema di licenziamento per giusta causa non sia vincolante la tipizzazione contenuta nella contrattazione collettiva, rientrando il giudizio di gravità e proporzionalità della condotta nell’attività sussuntiva e valutativa del giudice, avuto riguardo agli elementi concreti, di natura oggettiva e soggettiva della fattispecie, tuttavia la scala valoriale formulata dalle parti sociali deve costituire uno dei parametri cui occorre fare riferimento per riempire di contenuto la clausola generale dell’art. 2119 c.c. (cfr. Cass., n. 16784/2020; cfr. Cass., n. 17231/2020; v. anche Cass,. n. 1665/2022, n. 13865/2019, n. 2518/2023), essendo precluso al datore di lavoro di irrogare un licenziamento disciplinare quando questo costituisca una sanzione più grave di quella prevista dal Ccnl applicato al rapporto in relazione ad una determinata infrazione (Cass., n. 6165/2016, n. 9223/2015; cfr. anche Cass., n. 2830/2016). Il secondo principio richiamato dalla Corte riguarda il cosiddetto carattere chiuso del giudizio di rinvio effettuato dalla Corte stessa. La ricostruzione ampiamente consolidata della natura del giudizio di rinvio evidenzia che quest’ultimo non costituisce la rinnovazione o la prosecuzione del giudizio di merito, bensì la fase rescissoria rispetto a quella rescindente del giudizio di cassazione; il giudizio di rinvio si presenta, quindi, come una prosecuzione del processo di Cassazione, nel corso del quale il giudice di merito ha il compito di svolgere quelle attività necessarie a conformarsi al principio di diritto enunciato dalla S.C. ai sensi dell’art. 384 c.p.c.; pertanto il giudice del rinvio, riassunta la causa, dovrà innanzitutto individuare l’oggetto del giudizio attraverso un’attenta ricostruzione delle censure accolte dalla Cassazione, per poi adoperarsi nell’espletamento delle attività conseguenti. Il ricorso per cassazione avverso la sentenza del giudice di rinvio può, dunque, essere fondato soltanto sulla deduzione dell’infedele esecuzione dei compiti affidati con la precedente pronuncia di annullamento, ed il sindacato della S.C. in questa sede si risolve nel controllo dei poteri propri del suddetto giudice di rinvio, per effetto di tale affidamento e dell’osservanza dei relativi limiti; infatti, non costituendo il giudizio di rinvio la rinnovazione o la prosecuzione del giudizio di merito, ma la fase rescissoria rispetto a quella rescindente del giudizio di cassazione, in quella fase non possono formare oggetto di discussione tutte le questioni che costituiscono presupposti, esplicitamente o implicitamente, decisi nella pronuncia della Corte di Cassazione (cfr. Cass. S.U., n. 28544/2008).


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