PRESCRIZIONE DEI CREDITI DALAVORO già in costanza di rapporto*

Potito di Nunzio e Laura Antonia di Nunzio, Consulente del lavoro in Milano e Avvocato giuslavorista

Con un’interessante sentenza di segno opposto rispetto al più recente orientamento della Cassazione in materia di prescrizione dei crediti retributivi, il Tribunale di Bari, sezione lavoro, con sentenza 6 settembre 2023, n. 2179, ha offerto diverse motivazioni per le quali i rapporti di lavoro tutelati dall’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, come da ultimo modificato dalla Riforma Fornero del 2012, debbano intendersi rapporti stabili e, come tali, la prescrizione quinquennale dei credito retributivi decorrerebbe già in costanza di rapporto e non dalla cessazione dello stesso. I giudici della Suprema Corte – con più pronunce, tutte molto recenti (Cass. civ., Sez. lavoro, Sent., 20/10/2022, n. 30957; Cass. civ., Sez. lavoro, Ord., 13/02/2023, n. 4307; Cass. civ., Sez. lavoro, Ord., 23/03/2023, n. 8403) – ritengono che l’impianto di tutele offerto tanto dall’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, come modificato dalla legge n. 92 del 2012, quanto dalla disciplina delle c.d. tutele crescenti, non consentano al lavoratore di conoscere, con anticipo e certezza, l’esatta tutela apprestatagli dalla legge in caso di licenziamento illecito. Le due normative infatti prevedono una pluralità di fattispecie di licenziamento invalido e conseguentemente un ventaglio di tutele applicabili, solo alcune ripristinatorie del rapporto di lavoro.

Secondo la Suprema Corte mancherebbe il presupposto essenziale per sostenere la reale stabilità dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato, ossia la certezza della sanzione reintegratoria in caso di recesso invalido, al contrario di quanto accadeva in vigenza della vecchia versione dell’art. 18, che garantiva sempre la reintegrazione in ogni ipotesi di licenziamento giudicato invalido dal giudice. Se dunque la legge non garantisce con certezza la riammissione in servizio in caso di licenziamento invalido, non può ragionevolmente essere preteso che il lavoratore faccia valere, in costanza di rapporto, i propri diritti retributivi, col rischio di essere ritorsivamente licenziato. Per questa ragione i giudici di legittimità sostengono che il termine di prescrizione quinquennale dei diritti retributivi decorrerebbe sempre dalla cessazione del rapporto di lavoro e mai in costanza dello stesso. A questa posizione si sono tuttavia contrapposte molte corti di merito (Corte d’Appello di Milano, 89/2019; Trib. di Napoli, Sent. 12/11/2019, n. 7343), tra le quali il Tribunale di Bari nella sentenza in commento, che ha esposto molto chiaramente i motivi per i quali ritiene non condivisibile l’approdo dei magistrati di legittimità. Il Giudice pugliese ha dapprima sottolineato come la Riforma Fornero (L. n. 92/2012), nel riformulare le tutele di cui all’art. 18 nell’ottica di una loro differenziazione a seconda della gravità dei motivi di invalidità del recesso, abbia per la prima volta enucleato una specifica disciplina per i casi di licenziamento determinato da motivo illecito ex art. 1345 c.c., riconoscendo per tali ipotesi al lavoratore – qualunque sia la dimensione occupazionale di parte datoriale – il diritto alla reintegrazione e al pagamento di tutte le retribuzioni decorrenti dalla data di illecita espulsione a quella di effettivo reintegro, senza neppure la possibilità di detrarre da tale posta risarcitoria il c.d. aliunde percipiendum.

Si tratta, invero, della stessa tutela che la precedente formulazione dell’art. 18 offriva in tutti i casi di licenziamento, pertanto – secondo il magistrato del lavoro barese – il rapporto di lavoro a tempo indeterminato deve ritenersi stabile ed inesistente il c.d. metus del lavoratore, ossia il timore di esercitare un proprio diritto per paura di subire una ritorsione che porti alla cessazione del suo rapporto di lavoro. Eliminato dunque il metus, la prescrizione non può che seguire la regola ordinaria secondo cui la stessa decorre dal giorno in cui il diritto di credito può essere fatto valere, dunque anche in corso del rapporto di lavoro. A nulla rileverebbe l’esistenza di tante fattispecie diverse di invalidità del recesso, perché all’unica fattispecie di recesso ritorsivo consegue per espressa previsione di legge la sola sanzione della reintegrazione. Un’ulteriore argomentazione a sostegno della stabilità del rapporto a tempo indeterminato rientrante nell’alveo di tutela apprestata dall’attuale art. 18 dello Statuto dei Lavoratori è il rilievo della piena conoscibilità ex ante della stabilità del rapporto da parte del lavoratore, in quanto è la legge stessa a prevedere la sanzione della reintegrazione in caso di licenziamento ritorsivo.

Dunque il lavoratore è in condizione di sapere sin dal momento della sua assunzione qual è la tutela che l’ordinamento gli appresta in caso di ritorsione a fronte del legittimo esercizio di un suo diritto. Sulla base di queste riflessioni il magistrato del lavoro barese ha sollevato dubbi di legittimità costituzionale degli articoli del codice civile che disciplinano l’istituto della prescrizione (artt. 2948, n. 4, 2955, n. 2 e 2956 n. 1 c.c.) per come interpretati dalla giurisprudenza della Cassazione, nella parte in cui viene negata la decorrenza della prescrizione dei crediti di lavoro in costanza di rapporto anche se si tratta di un rapporto connotato da adeguata stabilità. In particolare, vi sarebbe contrasto con l’art. 3 della Carta costituzionale ove si consideri che tale interpretazione produrrebbe un’irragionevole differenziazione di trattamento per i crediti di lavoro già estinti per prescrizione alla data di entrata in vigore della L. n. 92/2012 rispetto ai crediti di lavoro sorti successivamente a tale data, il cui termine di prescrizione decorrerebbe dalla cessazione del rapporto e ciò nonostante il rapporto di lavoro abbia sempre avuto carattere stabile, sia prima che dopo il 2012.

Tale interpretazione giurisprudenziale inoltre creerebbe una irragionevole disparità di trattamento tra crediti da lavoro non già prescritti alla data di entrata in vigore della L. n. 92/2012 inerenti a rapporti di lavoro privati e i crediti di lavoro inerenti al rapporto di lavoro pubblico (che si prescrivono in costanza di rapporto), nonostante entrambi i rapporti siano parimenti dotati di stabilità. Ancora, tale interpretazione contrasterebbe con il principio di eguaglianza sostanziale laddove si applicherebbe lo stesso regime di prescrizione per rapporti stabili (come quelli assistiti dalle tutele di cui all’art. 18 dello Statuto) e per rapporti che invece stabili non sono perché la relativa disciplina a tutela del licenziamento invalido non ricollega espressamente al provvedimento ritorsivo la sanzione della nullità (come nel caso dei contratti a tutele crescenti).

Le argomentazioni della sentenza in commento sono senz’altro condivisibili, atteso che l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori nella più recente novella appresta una stabilità di tutela in grado di cancellare ogni effetto al provvedimento espulsivo motivato unicamente da ragione ritorsiva. L’inerzia del lavoratore nel far valere i propri diritti sorti in costanza del rapporto di lavoro non può che portare all’estinzione degli stessi, a salvaguardia della certezza del diritto, al pari di ciò che accade a tutti gli altri diritti. Non può parlarsi infatti di metus del prestatore di lavoro laddove – quand’anche vittima di atteggiamenti ritorsivi – egli ha tutti gli strumenti per ricevere tutela dalla legge.

(*) Pubblicato in Corriere delle Paghe, 11, 2023.


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