“[…] in tema di rapporto di lavoro a tempo indeterminato, la rinuncia del datore di lavoro al periodo di preavviso, a fronte delle dimissioni del lavoratore, non fa sorgere il diritto di quest’ultimo al conseguimento dell’indennità sostitutiva, attesa la natura obbligatoria del preavviso, dovendo peraltro escludersi che alla libera rinunziabilità del preavviso possano connettersi a carico della parte rinunziante effetti obbligatori in contrasto con la disciplina delle fonti delle obbligazioni di cui all’art. 1173 c.c.” – Cassazione, sez. Lavoro n. 6782/2024.
IL RECESSO DAL RAPPORTO DI LAVORO E IL DIRITTO AL PREAVVISO
Secondo quanto disciplinato dall’articolo 2118 del codice civile, rubricato “Recesso dal contratto a tempo indeterminato”, ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto di lavoro a tempo indeterminato, dando il preavviso nel termine e nei modi stabiliti dalle norme corporative, dagli usi o secondo equità. I contratti collettivi nazionali di lavoro comparativamente più rappresentativi a livello nazionale stabiliscono il periodo di preavviso che la parte recedente è tenuta a rispettare. La maggior parte di questi differenzia il periodo di preavviso in base all’anzianità di servizio e al livello di inquadramento assegnato al lavoratore al momento del recesso dal rapporto di lavoro:
Altri, invece, oltre all’anzianità di servizio e al livello di inquadramento, diversificano il periodo di preavviso anche in ragione della tipologia di recesso dal rapporto di lavoro:
La disciplina contenuta nell’articolo 2118 del codice civile prosegue stabilendo che, in mancanza di preavviso, il recedente è tenuto verso l’altra parte a un’indennità equivalente all’importo della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso. Anche in tal caso, la contrattazione collettiva interviene definendo la modalità di calcolo dell’indennità spettante:
I contratti collettivi, tuttavia, non si sono limitati solo alla definizione della modalità di esercizio del diritto al preavviso, ma, in alcuni casi, hanno anche disciplinato gli effetti derivanti dalla rinuncia all’esercizio a tale diritto, con riferimento all’ipotesi in cui sia il datore di lavoro a rinunciarvi nel caso di dimissioni da parte del lavoratore:
TUTELA REALE VS TUTELA OBBLIGATORIA
Seppur la contrattazione collettiva abbia assicurato l’esercizio del preavviso, al fine di garantire a pieno il diritto alla “libertà di recesso” derivante dall’art. 2118 c.c., anche la giurisprudenza è intervenuta su tale istituto, domandandosi quale fosse l’efficacia da attribuire all’istituto del preavviso. Nel tempo si è infatti stratificata una copiosa giurisprudenza che ha dato vita a due orientamenti di natura differente: un primo orientamento che associa all’istituto del preavviso un’efficacia c.d. “reale”, un altro che attribuisce un’efficacia di natura “obbligatoria”. Con efficacia c.d. “reale” si intende che il contenuto dell’obbligazione prevista dall’art. 2118 c.c. si intrinseca nell’obbligo di preservare tutti i diritti che sarebbero maturati nel corso del periodo di preavviso lavorato. In tal caso, sussiste il diritto della parte recedente alla prosecuzione del rapporto di lavoro e l’impossibilità per la parte non recedente di rinunziarvi. L’efficacia, invece, obbligatoria, configura il preavviso come mero obbligo accessorio e alternativo dell’esercizio del recesso e quindi del tutto “insensibile” agli eventi che sarebbero sopravvenuti durante il preavviso, se fosse stato lavorato. In tale ipotesi, la parte non recedente possiede un diritto di credito liberamente rinunziabile, senza che su di esso possano connettersi effetti obbligatori in contrasto con le fonti delle obbligazioni. Su tale contrapposizione si è espressa la Corte di Cassazione, sezione Lavoro, con la sentenza n. 6782 del 13 marzo 2024, con riferimento alla tutela applicabile nell’ipotesi di rinuncia al preavviso da parte del datore di lavoro in caso di dimissioni del lavoratore.
LA SENTENZA OGGETTO DI DISCUSSIONE
Il caso di specie riguarda la rinuncia da parte del datore di lavoro al preavviso da parte del lavoratore che ha presentato dimissioni e la mancata erogazione a quest’ultimo della relativa indennità sostitutiva. Il dipendente, vistosi privato della relativa indennità sostitutiva, presentava apposito ricorso avverso il datore di lavoro. I giudici di primo grado condannavano il datore di lavoro al pagamento della relativa indennità sostitutiva del preavviso, avendovi il datore di lavoro espressamente rinunciato. In linea con la pronuncia del Tribunale di Firenze, i giudici di secondo grado respingevano l’appello presentato dal datore di lavoro, sostenendo l’efficacia reale attribuita al preavviso: il datore di lavoro, secondo i giudici di merito, si trova in una posizione di soggezione rispetto al diritto potestativo del lavoratore dimissionario di scegliere tra la cessazione immediata del rapporto oppure la prosecuzione dello stesso durante il preavviso. In quest’ultimo caso, il datore di lavoro può esonerare il dipendente dimissionario dalla prestazione lavorativa durante il periodo di preavviso, ma non può sottrarsi dall’onere di corrispondere l’equivalente importo della retribuzione che sarebbe spettata al lavoratore nel caso di preavviso lavorato. I giudici di legittimità, con tale sentenza, ribaltano completamente la posizione dei giudici di merito, accogliendo i due motivi di ricorso presentati dal datore di lavoro: – violazione e falsa applicazione dell’articolo 2118 c.c.. – La rinuncia è un esercizio di una delle facoltà che integrano il diritto del creditore, senza che l’esercizio di tale suo diritto possa trasformarla in parte obbligata. – violazione e falsa applicazione degli articoli 1285 e 1286 c.c.. – La configurazione di un’obbligazione alternativa, implicitamente affermata dalla Corte di merito, non determina la privazione della parte non recedente della sua facoltà di rinunciare al proprio diritto. Secondo la Corte di Cassazione l’istituto del preavviso adempie alla funzione economica di attenuare, per la parte che subisce il recesso, le conseguenze pregiudizievoli della cessazione del contratto. L’istituto del recesso adempie, quindi, ad una funzione destinata a variare a seconda della parte non recedente: in caso di licenziamento, il preavviso ha la funzione di garantire al lavoratore la continuità della percezione della retribuzione in un certo lasso di tempo, al fine di consentirgli il reperimento di un altro posto di lavoro; in caso di dimissioni, il preavviso ha la finalità di assicurare al datore di lavoro il tempo necessario a operare la sostituzione del lavoratore recedente. La Corte ritiene che, alla stregua di una interpretazione letterale e logico-sistematica dell’art. 2118 c.c., nel contratto di lavoro a tempo indeterminato il preavviso non ha natura reale ma obbligatoria. Attribuendo tale efficacia, la parte che recede ha la facoltà di interrompere il rapporto con effetto immediato, con l’unico obbligo di corrispondere l’indennità sostitutiva, a meno che, nell’esercizio di un suo diritto potestativo, acconsenta, avendone interesse, alla continuazione del periodo di preavviso. Per quanto riguarda, invece, la parte non recedente, laddove decida di rinunziare al preavviso della parte recedente, nulla deve alla controparte, la quale non può vantare alcun diritto legato alla prosecuzione del rapporto fino al termine del preavviso nonché al conseguimento della relativa indennità sostitutiva. Secondo la Corte, la libera rinunziabilità del preavviso esclude che a essa possano connettersi a carico della parte rinunziante effetti obbligatori in contrasto con la disciplina delle fonti delle obbligazioni di cui all’art. 1173 c.c.
CONCLUSIONI
Pienamente discutibile la posizione presa dalla Corte di Cassazione. Potrebbe infatti apparire iniqua in termini di tutele e garanzie. La Corte fonda la propria tesi sulla funzione attribuita al preavviso che, nel caso di dimissioni, è quella di assicurare al datore di lavoro il tempo necessario a operare la sostituzione del lavoratore recedente. Quindi, seppur il lavoratore abbia garantito al datore di lavoro la piena fruibilità di tale funzione, secondo la Corte, allorché il preavviso ha natura obbligatoria e non reale, qualora il datore di lavoro non senta l’esigenza di beneficiare della funzione attribuita al preavviso (tempo necessario per sostituire il lavoratore recedente), lo stesso può rinunziarvi, senza che la rinuncia determini un’obbligazione (il pagamento dell’indennità sostitutiva) da parte di quest’ultimo nei confronti del lavoratore. Tale pronuncia, però, non tiene conto delle conseguenze che il lavoratore, comportatosi correttamente nei confronti del datore di lavoro, potrebbe subire qualora si veda privato della relativa indennità sostitutiva, presentando così uno scarso bilanciamento degli interessi contrapposti. Quanto sopra, anche alla luce del fatto che la stessa contrattazione collettiva non solo prevede il diritto in capo al lavoratore a ricevere durante il preavviso lo stesso trattamento economico percepito durante il rapporto di lavoro, ma garantisce tale diritto anche laddove il datore di lavoro, unilateralmente, decida di rinunziare al preavviso che il lavoratore, in correttezza e buona fede, ha deciso invece di rispettare.