Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali lo scorso 12 giugno 2018 ha pubblicato sul proprio sito www.cliclavoro.gov.it il seguente aggiornamento alle FAQ in materia di procedura per le dimissioni telematiche.
Il lavoratore minorenne che vuole dimettersi deve effettuare la trasmissione delle dimissioni in via telematica, ai sensi dell’articolo 26 del decreto legislativo n. 151/2015, con l’assistenza di uno dei genitori, titolare della potestà genitoriale, o di chi ne fa legalmente le veci.
Qualora la trasmissione delle dimissioni avvenga per il tramite di uno dei soggetti abilitati ai sensi del quarto comma del citato articolo 26, tali soggetti prima di procedere alla trasmissione telematica delle dimissioni dovranno, oltre ad accertare l’identità del lavoratore minorenne, verificare che il soggetto che assiste il minore sia uno dei genitori, titolare della potestà genitoriale, o di chi ne fa legalmente le veci.
Il chiarimento non sorprende più di tanto, confermando un orientamento a suo tempo espresso dall’Inps in materia di voucher (ribadito in ambito prestazioni occasionali) che nelle proprie FAQ aveva così chiarito
La normativa vigente sul lavoro minorile richiede il certificato medico di idoneità al lavoro per i minori tra i 16 e i 18 anni. Inoltre, l’iscrizione dei lavoratori minorenni può essere effettuata solo presso le Sedi INPS, presentando, tra l’altro, la dichiarazione di disponibilità controfirmata dal genitore o da chi ne esercita la patria potestà.
Una presa di posizione che chi scrive non condivide nel modo più assoluto. Il perché lo si comprende dall’excursus della normativa vigente.
L’intervento normativo tratta la figura del genitore all’interno dei rapporti di lavoro instaurati con i minorenni in modo marginale, escludendone di fatto un intervento autorizzatorio nella stipula del contratto e, più in generale, nella sua gestione.
Tre sono i passaggi ove rileva la figura genitoriale:
… 2. La direzione provinciale del lavoro può autorizzare, previo assenso scritto dei titolari della potestà genitoriale, l’impiego dei minori in attività lavorative di carattere culturale, artistico, sportivo o pubblicitario e nel settore dello spettacolo, purché si tratti di attività che non pregiudicano la sicurezza, l’integrità psicofisica e lo sviluppo del minore, la frequenza scolastica o la partecipazione a programmi di orientamento o di formazione professionale.
… 2. Nei riguardi dei minori, le informazioni di cui all’articolo 21 del decreto legislativo n. 626 del 1994 sono fornite anche ai titolari della potestà genitoriale.
… 6. Il giudizio sull’idoneità o sull’inidoneità parziale o temporanea o totale del minore al lavoro deve essere comunicato per iscritto al datore di lavoro, al lavoratore e ai titolari della potestà genitoriale. Questi ultimi hanno facoltà di richiedere copia della documentazione sanitaria.
Come si vede nessun riferimento ad una ridotta capacità di agire del minore per cui necessiti l’intervento del genitore nella fase “genetica” del rapporto, né, tanto meno, nelle fasi successive.
L’assenso formale del titolare la potestà genitoriale è previsto esclusivamente per attività lavorative di carattere culturale, artistico, sportivo o pubblicitario e nel settore dello spettacolo. Verso costui è sì individuato un obbligo di informazione ma esclusivamente in merito ai rischi per la sicurezza e la salute e all’esito del giudizio di idoneità al lavoro.
Anche all’interno di un rapporto di lavoro domestico svolto dal minore viene contemplata la figura del genitore, ma solo per un aspetto particolare:
Il datore di lavoro che intende assumere un lavoratore minorenne dovrà farsi rilasciare, da chi esercita la patria potestà, una dichiarazione scritta e vidimata dal sindaco del Comune di residenza del lavoratore, in cui si consente al minorenne di convivere presso la famiglia del datore di lavoro. Tale dichiarazione impegna il datore di lavoro a particolare cura del minorenne per lo sviluppo e il rispetto della sua personalità fisica, morale e professionale. In caso di licenziamento il datore di lavoro è obbligato a darne preventiva comunicazione a chi esercita la patria potestà.
L’eventuale licenziamento del minore deve essere comunicato preventivamente a chi ha sottoscritto la dichiarazione di consenso.
Inutile sottolineare come il consenso scritto del genitore riguardi esclusivamente il benestare alla convivenza presso il datore e non la costituzione del rapporto. Pertanto se il rapporto di lavoro fosse in regime di non convivenza non necessiterebbe alcuna dichiarazione scritta di assenso.
Ancora più dirimente la presente questione appare la disposizione del codice civile che in materia di “Maggiore età e capacità di agire” così dispone:
La maggiore età è fissata al compimento del diciottesimo anno. Con la maggiore età si acquista la capacità di compiere tutti gli atti per i quali non sia stabilita un’età diversa.
Sono salve le leggi speciali che stabiliscono un’età inferiore in materia di capacità a prestare il proprio lavoro. In tal caso il minore è abilitato all’esercizio dei diritti e delle azioni che dipendono dal contratto di lavoro.
Come noto l’età minima per poter svolgere un lavoro alle dipendenze di una impresa è oggi fissata al compimento del 16.mo anno di età, unitamente all’assolvimento dell’obbligo scolastico.
Nonostante una formulazione non proprio felicissima che, parlando di esercizio dei diritti e delle azioni che dipendono dal contratto di lavoro, potrebbe far dubitare della capacità del minore di firmare autonomamente il contratto di assunzione, è palese la volontà di escludere il beneplacito di chi esercita la potestà genitoriale per tutti gli altri atti e fatti tipici che conseguono allo svolgimento di un rapporto di lavoro. Il minorenne è pertanto da ritenere giuridicamente titolato, ad esempio, a dare il proprio assenso a prestazioni lavorative supplementari, straordinarie o festive, incassare le retribuzioni, concordare un cambio di mansioni e più in generale pattuire modifiche al contratto iniziale, ma anche riscontrare eventuali contestazioni disciplinari, proporre impugnative, sottoscrivere sia rinunce che transazioni.
Si diceva poco sopra di possibili dubbi circa la firma del contratto individuale di assunzione, dubbi che chi scrive ritiene però risolti rileggendo la Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942 nella parte riguardante gli originari artt. 2 e 3 – il secondo oggi un tutt’uno con il primo – sostituendovi gli attuali limiti previsti per la maggiore età, 18 anni con 21, e per la capacità d’agire, 16 anni contro i 18.
L’art. 2 del c.c. riproduce le regole tradizionali sulla maggiore età [[1]] e sulla capacità d’agire. Nuova è invece la norma dell’art. 3 del c.c. [[2]]che riconosce una capacità professionale al minore pervenuto all’età di sedici diciotto anni. Si attua così una giusta differenziazione fra coloro che, pur avendo compiuto l’età sedici diciotto anni, non pongono in essere alcuna attività professionale e permangono sotto la vigilanza di chi esercita la patria potestà o la tutela e coloro che, esercitando invece un’attività lavorativa, dimostrano di aver raggiunto un grado di maturità psichica meritevole di particolare considerazione. La norma costituisce l’applicazione di un principio squisitamente politico e risponde alle precise direttive del Regime fascista, il quale intende valorizzare chiunque esplichi un’attività lavorativa e apporti un utile contributo al processo produttivo della Nazione. Data l’importanza fondamentale che nello Stato fascista ha il lavoro umano, la disposizione è stata collocata, anziché in tema di emancipazione o di contratto di lavoro, nella parte del codice che tratta della capacità della persona, per dare al principio in essa contenuto il massimo rilievo, anche nel campo giuridico. Non si è creduto conveniente di attribuire al genitore o al tutore la facoltà di opporsi alla scelta dell’occupazione effettuata dal minore. E’ ovvio che il padre o il tutore normalmente eserciterà sul minore l’autorità morale necessaria per distoglierlo da occupazioni dannose o comunque sconvenienti, onde non si vede la necessità di conferire loro un vero e proprio potere inibitorio, che in pratica potrebbe rendere vana la piena autonomia accordata al minore per quanto riflette l’attività lavorativa.
Come dimostrare il rapporto di genitorialità o di chi ne fa legalmente le veci? Stando alle regole vigenti in materia di autocertificazione e trattandosi di circostanze ricomprese nell’elenco dei casi in cui vi si può ricorrere, dovrebbe essere sufficiente una dichiarazione sostitutiva di certificazione ai sensi dell’art. 46, D.P.R. n. 445 del 28.12.2000.
Anche qui l’ennesimo appesantimento burocratico, sia per chi deve redigere la dichiarazione che per chi la dovrà necessariamente conservare agli atti.
Cosa ci aspetta dopo questa nuova presa di posizione? Se tanto ci da tanto la P.A. pretenderà la presenza di un genitore (o, nei casi previsti, di chi ne fa le veci) presso tutte le sedi delle Direzioni Provinciali del Lavoro dove il minore intenda o verrà chiamato a presentarsi: si pensi alla certificazione del proprio contratto di lavoro, all’esperimento dei tentativi (facoltativi e obbligatori) di conciliazione, alla sottoscrizione di accordi transattivi o rinunzie ed infine all’accesso alle procedure di soluzione arbitrale delle controversie in materia di lavoro.
Spiace doverlo evidenziare, ma ancora una volta la Pubblica Amministrazione di questo paese dimostra non solo di infischiarsene delle norme ma anche di non sapersi svincolare dall’atavica predisposizione all’inutile burocrazia che, nei fatti, impone – illegittimamente lo ribadiamo – ad un genitore l’onere (non certo un onore) di accompagnare il figlio/la figlia sia nella firma del contratto di assunzione che nelle procedure telematiche previste per porre termine allo stesso, riconoscendogli così un potere che diventa addirittura prevaricazione – con conseguenti dubbi di costituzionalità in riferimento alla “scelta” citata all’art. 4 Cost. – nel momento in cui si costringe il minore a proseguire in una occupazione lavorativa che più non gli aggrada.
Dall’obbligo scolastico all’obbligo di lavorare.
[1] Oggi fissata a 18 anni, allora a 21 anni.
[2] Oggi abrogato – meglio si deve dire riscritto e spostato nell’art. 2 c.c. – dalla Legge n. 39 dell’8.03.1975.