Uno degli obiettivi dell’Unione è la promozione del benessere dei suoi popoli e dello sviluppo sostenibile dell’Europa, basato su un’economia sociale di mercato altamente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale. Il diritto di ogni lavoratore a condizioni di lavoro sane, sicure e dignitose e il diritto dei lavoratori all’informazione e alla consultazione sono sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Il pilastro europeo dei diritti sociali afferma che “indipendentemente dal tipo e dalla durata del rapporto di lavoro, i lavoratori hanno diritto a un trattamento equo e paritario per quanto riguarda le condizioni di lavoro e l’accesso alla protezione sociale e alla formazione”. Comincia così la proposta di Direttiva del Parlamento e del Consiglio europeo.1
Dopo aver esposto l’attuale contesto sociale ed economico in cui si inserisce la proposta di Direttiva ed esplicitato una serie di preoccupazioni sulla possibile corsa al ribasso nelle pratiche occupazionali e sulle norme sociali a scapito dei lavoratori, vengono richiamate le direttive: − sulle condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili;
− sull’equilibrio tra attività professionale e vita familiare per i genitori e i prestatori di assistenza;
− sull’orario di lavoro;
− sul lavoro tramite agenzia interinale;
-sull’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro della sicurezza e della salute durante il lavoro;
− sull’informazione e alla consultazione dei lavoratori;
− sui salari minimi adeguati;
− sulla trasparenza delle retribuzioni; oltre
− il regolamento sul coordinamento dei sistemi nazionali di sicurezza sociale che si applicano sia ai lavoratori subordinati che ai lavoratori autonomi che lavorano mediante piattaforme digitali in una situazione transfrontaliera;
− e la raccomandazione del Consiglio sull’accesso alla protezione sociale per i lavoratori subordinati e autonomi la quale raccomanda agli Stati membri di garantire che sia i lavoratori subordinati sia i lavoratori autonomi abbiano accesso a una protezione sociale effettiva e adeguata. La raccomandazione riguarda le prestazioni di disoccupazione, malattia e assistenza sanitaria, maternità e paternità, invalidità, vecchiaia e ai superstiti e le prestazioni in caso di infortuni sul lavoro e malattie professionali.
La proposta di Direttiva esplicita poi la coerenza con le altre normative dell’Unione, quali
− il regolamento che promuove equità e trasparenza per gli utenti commerciali dei servizi di intermediazione online (“regolamento sulle relazioni piattaforme/imprese”), che mira a garantire che gli “utenti commerciali” autonomi dei servizi di intermediazione di una piattaforma online siano trattati in modo trasparente ed equo e abbiano accesso a mezzi di ricorso efficaci in caso di controversie;
− il regolamento generale sulla protezione dei dati;
− la proposta di legge sull’intelligenza artificiale che, una volta adottata, affronterà i rischi connessi all’uso di determinati sistemi di intelligenza artificiale.
A seguire una serie di ben cinquantaquattro “considerando”, tutti ovviamente molto importanti e sui quali non si pu che essere ! d’accordo. Qui di seguito ne metto in evidenza due, non perché siano i più importanti, ma perché mi danno lo spunto per proporre qualche mia riflessione e provocazione sul mondo che cambia e sulla staticità dei legislatori, comunitari e nazionali:
− sul terzo che ricorda il principio 5 del pilastro europeo dei diritti sociali, proclamato a Göteborg il 17 novembre 2017, il quale stabilisce che, indipendentemente dal tipo e dalla durata del rapporto di lavoro, i lavoratori hanno diritto a un trattamento equo e paritario per quanto riguarda le condizioni di lavoro e l’accesso alla protezione sociale e alla formazione, che, conformemente alle legislazioni e ai contratti collettivi, va garantita ai datori di lavoro la necessaria flessibilità per adattarsi rapidamente ai cambiamenti del contesto economico, che vanno promosse forme innovative di lavoro che garantiscano condizioni di lavoro di qualità, che vanno incoraggiati l’imprenditorialità e il lavoro autonomo e che va agevolata la mobilità professionale;
− sul sesto il quale ricorda che il lavoro mediante piattaforme digitali pu offrire opportunità per accedere più facilmente al mercato del lavoro, ottenere un reddito supplementare attraverso un’attività secondaria o godere di una certa flessibilità nell’organizzazione dell’orario di lavoro. Al tempo stesso il lavoro mediante piattaforme digitali comporta una serie di sfide, in quanto pu rendere più labili i confini tra il rapporto di lavoro e l’attività autonoma e tra le responsabilità dei datori di lavoro e quelle dei lavoratori. Un’errata classificazione della situazione occupazionale ha conseguenze per le persone interessate, in quanto rischia di limitare l’accesso ai diritti sociali e dei lavoratori esistenti. Essa determina inoltre disparità di condizioni rispetto alle imprese che classificano correttamente i propri lavoratori e ha implicazioni per i sistemi di relazioni industriali degli Stati membri, per la loro base imponibile e per la copertura e la sostenibilità dei loro sistemi di protezione sociale. Tali sfide, sebbene non riguardino soltanto il lavoro mediante piattaforme digitali, sono particolarmente impegnative e pressanti nell’economia delle piattaforme.
Infine, viene proposto l’articolato legislativo che consta di ventiquattro articoli suddivisi in sei capi che dovrà essere recepito entro due anni dalla data di entrata in vigore della Direttiva stessa.
Il dibattito sulla regolamentazione dei lavoratori delle piattaforme digitali entra quindi nel vivo in tutti gli Stati membri. Non che in Italia il dibattito fosse assente, anzi. Bisognerà per verificare se i nostri ragionamenti e le nostre norme saranno in linea con la Direttiva europea. Ma su questo avremo modo di ritornarci quando la Direttiva sarà pubblicata nella Gazzetta ufficiale della Unione Europea.
Come prima accennavo la lettura della Direttiva mi dà lo spunto per proporre qualche mia riflessione e provocazione. Innanzitutto, osservo come il nostro “vecchio continente” è vecchio anche nel proporre norme che si propongono di regolamentare un’attività che di per sé non è nuova ma che di nuovo ha solo gli strumenti con i quali si lavora. Infatti, l’attività svolta tramite piattaforma non è diversa da quella che si svolgeva in passato quando le piattaforme digitali non esistevano. Tutti noi ricordiamo i c.d. “messaggeri metropolitani” meglio conosciuti come “pony express” oppure i c.d. padroncini. Solo che allora si utilizzava il telefono o la centrale radio. Il problema principale rimane quello di sempre e cioè in quale fattispecie giuridica collochiamo questi lavoratori? Nell’alveo della subordinazione o in quello del lavoro autonomo? La proposta di Direttiva non prende una posizione specifica e molto spesso utilizza termini che ben si configurano nel rapporto di lavoro subordinato anche se, come si legge nelle premesse, nei “considerando” e nello stesso articolato, la proposta di Direttiva lascia ampio spazio di decisione al legislatore nazionale tenuto conto della contrattazione collettiva e del- ! la giurisprudenza formatasi sull’argomento. La proposta di Direttiva, invece, si preoccupa di introdurre una serie di presunzioni (cose complicatissime che incrementano le sfumature di grigio) per identificare se l’attività debba considerarsi svolta tramite piattaforma e se si tratta di un rapporto di lavoro, indipendentemente se esso sia autonomo o subordinato. Peccato che tutte le presunzioni sono tipiche per sussumere la fattispecie nella subordinazione. La proposta di Direttiva lascia poi la possibilità di confutare la presunzione legale a cura delle parti.
E qui arriva la mia prima provocazione: ma credete, cari lettori, che sia giunto il momento di preoccuparsi meno della qualificazione giuridica del rapporto di lavoro? Non è giunto il momento di riconoscere, come sostiene il terzo considerando che “indipendentemente dal tipo e dalla durata del rapporto di lavoro, i lavoratori hanno diritto a un trattamento equo e paritario per quanto riguarda le condizioni di lavoro e l’accesso alla protezione sociale e alla formazione”? Non sarebbe il caso di smetterla di pensare che per avere maggiori tutele bisogna necessariamente varcare la soglia del “fortino” del lavoro subordinato? In una società moderna c.d. “fluida” o “liquida” fatta di rapporti brevi dobbiamo pensare a dare ad ogni forma di lavoro una uguale tutela. Solo così la smetteremmo di alimentare le fratture che esistono nel mondo del lavoro fatto di lavoratori dipendenti e finti dipendenti, autonomi e finti autonomi, di imprenditori e finti imprenditori. Ma se sempre nello stesso terzo “considerando” si afferma che vanno incoraggiati l’imprenditorialità e il lavoro autonomo e che va agevolata la mobilità professionale, perché non prendiamo la palla al balzo (questa è la mia seconda provocazione) e facciamo diventare “piccoli imprenditori” tutti i lavoratori autonomi lasciando il lavoro autonomo soltanto per professionisti ordinistici? Visto anche il sesto “considerando” che esprime il timore che il lavoro tramite piattaforma pu rendere più labili i confini tra il rapporto di lavoro e l’attività autonoma e tra le responsabilità dei datori di lavoro e quelle dei lavoratori? Ci che conta, a mio parere, è riconoscere a chiunque presti una attività di lavoro una base comune di tutela nel caso di impossibilità sopravvenuta temporanea per malattia, maternità, infortunio ecc.. E non solo: bisogna anche prevedere un compenso minimo inderogabile e una tutela sul numero massimo di ore di lavoro da espletare. Ma perché mai un piastrellista dipendente deve poter lavorare un massimo di quarantotto ore settimanali e un piastrellista autonomo non deve avere alcun limite di orario? E la stessa cosa vale per qualsiasi tipo di attività, compreso i lavoratori delle piattaforme digitali. Ricordo che il nostro art. 36 Cost. fa riferimento ai lavoratori e non soltanto ai lavoratori subordinati. Non è forse giunto il momento di gettare il cuore oltre l’ostacolo (anche se qualche attore – e non mi riferisco ai lavoratori o imprenditori – dovrà modificare il suo essere attore) e andare verso un modello giuridico che preveda uno statuto dei lavori, lasciando più libere le parti di meglio disciplinare il proprio rapporto di lavoro avendo il legislatore cura di assicurare a tutti uguali tutele di base.
Oggi abbiamo un mercato del lavoro in sofferenza anche per l’alto costo del lavoro (si badi bene, non alto costo delle retribuzioni). E proprio l’Unione Europea dovrebbe cercare di armonizzare le politiche occupazionali perché il costo del lavoro non deriva soltanto dalle retribuzioni e dagli oneri sociali ma da tutti gli altri istituti legali e contrattuali tipici del rapporto di lavoro subordinato. Faccio un esempio per tutti: in Italia i datori di lavoro che occupano più di cinquanta dipendenti hanno l’obbligo di assumere il sette per cento di personale appartenente a categorie protette (che personalmente ritengo cosa buona e giusta). In Spagna soltanto il due per cento. In Italia il massimale annuo di retribuzione ai fini contributivi per chi non ha contribuzione ante 1996 è pari a 105.014,00, in Spagna supera di poco i 45.000,00. In una gara internazionale chi pensiate potrebbe avere la meglio?
* Pubblicato su Lavoro Diritti Europa, 1/2022
1. COM (2021) 762 final 2021/0414 (COD) Bruxelles 9 dicembre 2021.