PENSIONI 2025: PER UNA VOLTA NESSUNA NUOVA (NO) BUONE NUOVE

Mario Verità , Consulente Previdenziale in Milano e Legnano ·

Come succede ormai dal 2013, le novità in materia previdenziale sono portate dalla Legge di Bilancio. Legge di Bilancio che non dovrebbe occuparsi di previdenza se non per piccoli aggiustamenti, ma che di volta in volta attinge anche dal risparmio del capitolo pensioni le risorse necessarie per far quadrare i conti. E come ogni anno le voci si rincorrono durante l’estate e l’autunno paventando di volta in volta rivoluzioni o cambiamenti significativi, ma deludendo frequentemente le aspettative, sia per coloro che si attendono un allentamento delle regole (si è parlato per lungo tempo di una “cancel Fornero”) sia per i catastrofisti che si aspettano una permanenza al lavoro sine die. Questo 2025 non fa eccezione e, se confrontato con il 2024, ha ancora meno novità o modifiche da proporci, tanto che potrei chiudere qui dando appuntamento al 2026. Tuttavia, questo deserto previdenziale favorisce qualche considerazione più approfondita proprio sulla direzione che il percorso previdenziale sta intraprendendo; non mancheremo di svolgere il compito di segnalare quali sono i provvedimenti nuovi o che prorogano norme in scadenza, ma si rileverà che gran parte del discorso sarà una riflessione sulla strategia del governo in tema di pensioni; ci sarà una prima parte di cronaca ed una seconda di commento.

CIÒ CHE POSSIAMO CHIAMARE NOVITÀ

• Viene introdotta per la prima volta la variabile Pensione Complementare per consentire l’accesso alla pensione: in particolare e SOLO per i cosiddetti “nuovi iscritti” cioè coloro che hanno il primo versamento a partire dal 01/01/1996 è consentito utilizzare la rendita maturata presso le forme di previdenza complementare per raggiungere il requisito di soglia minima di accesso. Ricordiamo che le pensioni contributive oltre all’età anagrafica e all’anzianità contributiva hanno un terzo requisito che è la soglia minima di assegno che varia a seconda dell’età; quindi dal 2025 per coloro che, raggiunti i 67 anni di età anagrafica, con un’anzianità contributiva di almeno 20 anni sarà richiesto un valore di pensione (importo soglia) pari almeno all’assegno sociale. Questo importo potrà essere la somma di quanto maturato presso Inps e di quanto versato (montante) alla previdenza complementare. Stesso ragionamento per coloro che potranno accedere alla pensione contributiva a 64 anni di età con almeno 25 anni di contribuzione (novità) ed un importo soglia di 3 volte l’assegno sociale che potrà essere composto dalla somma di rendita Inps e rendita Pensione Complementare.

• Trattenimento in servizio dei lavoratori degli enti pubblici anche oltre il limite dei 65 anni per coloro che a questa età abbiano maturato il diritto alla pensione anticipata.

LE CONFERME O PROROGHE

Erano in scadenza alcuni provvedimenti che sono stati prorogati, in particolare:

• Quota 103 consente a coloro che compiono, nel 2025, 62 anni e sono titolari di almeno 41 anni di anzianità contributiva di accedere alla pensione calcolata col metodo interamente contributivo ed un assegno al massimo pari a 4 volte il trattamento minimo; l’erogazione della prestazione ha una finestra di 7 mesi per il comparto privato e 9 mesi per i dipendenti pubblici.

• Opzione donna per le lavoratrici che nel 2024 (avevano) compiuto 61 anni (o 60 con un figlio o 59 con due figli) con 35 anni di contributi esclusivamente da lavoro e una condizione soggettiva di invalidità, caregivers o licenziate da aziende in crisi

• Ape sociale confermata fino al 31/12/2025 con le medesime caratteristiche del 2024 che prevedono l’accesso al sostegno al reddito per coloro che hanno almeno 30 anni di contribuzione e 63 anni e 7 mesi di età anagrafica e che sono in condizione soggettiva analoga a quella vista per opzione donna. Naturalmente è giusto aspettare a consuntivo i numeri, ma è difficile pensare che questi ritocchi abbiano un effettivo impatto sulle uscite anticipate; come è successo nel recente passato per la stretta su opzione donna o la nuova quota 103, le domande di pensione su queste fattispecie saranno nell’ordine delle unità. La bontà delle leggi non si misura con i numeri, ma i numeri sono il segnale dell’impatto che le norme hanno sulla vita dei cittadini. Scorrendo anche solo brevemente queste indicazioni, ricordando quanto modificato con la Legge di Bilancio per il 2024, pare chiaro che la linea di condotta sia di impedire per quanto possibile l’accesso alla pensione prima dell’età della vecchiaia che ancora per il biennio 2025/2026 è di 67 anni. È una direzione che annulla le istanze di flessibilità in uscita che parevano essere un obbiettivo gradito anche e soprattutto a coloro che hanno potenzialmente assegni alti. Solo qualche tempo fa pareva che la leva fosse la mitigazione del peso delle quote retributive sul valore delle pensioni, o la loro completa eliminazione; ma gli ultimi due interventi dimostrano invece una volontà di smantellare la legge Dini, che in cambio di un calcolo interamente contributivo per gli iscritti a partire dal 01/01/1996, aveva eliminato l’adeguamento al minimo delle pensioni di vecchiaia che ancora oggi grava su centinaia di migliaia di trattamenti. Bene è rimasto il calcolo contributivo, non c’è adeguamento al minimo (posso accomodarmi in pensione a 67 anni con il valore della sociale magari grazie anche all’aiutino della previdenza complementare) e a 64 anni mi trovo la pensione con un taglio arbitrario per un limite massimo a 5 volte il trattamento minimo. Nessun intervento sul modello positivo, a parere di chi scrive, della revisione dei coefficienti di rivalutazione delle quote retributive come posto in essere per i dipendenti pubblici proprio nel 2024. Nessun incentivo ad utilizzare meglio la previdenza complementare innalzando la deducibilità ferma in valore assoluto da quando si usavano i sesterzi. In pratica ci si è resi conto che la base della riforma del 2011 era valida e che il suo obiettivo di sostenibilità a medio periodo si è rivelato realizzabile. Il cambio di marcia atteso è stato ancora rimandato e il peso di queste indecisioni lo porterà le prossime generazioni che, la stessa mano che carica il loro futuro di incertezza, indica come vittime del sistema, che però nessuno pare voglia veramente cambiare.


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