Le Piccole Medie Imprese sono da sempre l’ossatura portante del nostro paese, costituiscono infatti il 95% della nostra economia. Oltre l’85% delle PMI italiane sono a gestione familiare ed impiegano circa il 90% della forza lavoro. Di queste solo il 25% sopravvive alla seconda generazione, una percentuale che cala ulteriormente se si parla della terza generazione. Un dato che sicuramente fa riflettere soprattutto se si pensa che nei prossimi anni potremo assistere ad un numero massiccio di successioni aziendali: il 43% dei leader d’impresa è ultrasessantenne e la generazione di “baby boomers”, che hanno fondato o ereditato il loro business nella seconda parte del ventesimo secolo, si troverà a tramandare l’impresa alla generazione successiva di “millennials”. In questo contesto il passaggio generazionale gioca un ruolo fondamentale non solo per la sopravvivenza di molte di queste aziende, ma soprattutto per quanto riguarda la realizzazione di un business che sia sostenibile nel tempo. Il passaggio generazionale è quel momento in cui una generazione di gestori e amministratori succede alla precedente, nella gestione organizzativa e strutturale dell’impresa. In genere, questa si realizza con la successione tra padre e figlio: è un momento cruciale per la continuità e la crescita dell’azienda stessa, è un processo che coinvolge la successione dei dirigenti e dei lavoratori anziani da parte dei giovani, che porteranno avanti il lavoro dell’azienda nel futuro.
Le implicazioni sono molteplici, soprattutto in termini di know how aziendale e, per evitare problemi e fallimenti, è indispensabile che il processo venga gestito con cura e attenzione da parte di chi è coinvolto. In questa sede, mi limiter a fare cenno solo ad alcuni aspetti, soprattutto sul piano psicologico e comportamentale, che entrano in gioco nel passaggio.
LA PIANIFICAZIONE
La preparazione del passaggio generazionale è un processo lungo e complesso: i dirigenti anziani decidono di iniziare a considerare la successione e a prepararsi per il loro ritiro dalla consueta attività professionale, almeno così come l’hanno sempre svolta. Tale preparazione può includere, fra le altre, diverse attività quali la selezione e la formazione dei successori, la definizione dei ruoli e delle responsabilità che verranno affidate ai posteri, la pianificazione finanziaria volta ad assicurare continuità e stabilità all’azienda nel futuro.
La pianificazione complessiva del passaggio è un elemento fondamentale di tale processo: senza una chiara e definita pianificazione, si rischia di incorrere in situazioni che possono generare un clima di instabilità ed insicurezza, percepito sia dai clienti che dai componenti interni all’azienda. Uno dei rischi possibili è quello di perdere competenze e conoscenze importanti, che potrebbero essere determinanti per il successo futuro e di subire interruzioni del business dannose sia sul piano dei costi che sul piano dell’immagine aziendale. Inoltre, la mancanza di una pianificazione adeguata e di una strategia chiara pu ostacolare la fluidità del processo generando incomprensioni e conflitti tra i membri della famiglia.
Cosa significa esattamente pianificare il passaggio? Significa anzitutto fare una mappatura molto precisa della situazione aziendale presente (processi, ruoli, responsabilità, risorse, know-how…), vuol dire dipingere un quadro chiaro delle aspirazioni e delle aspettative di chi gestisce oggi e di chi dovrà gestire in futuro l’azienda, significa precisare l’obiettivo finale che si vuole unanimemente perseguire e individuare tutte le fasi intermedie che occorre attraversare per raggiungerlo in un lasso temporale definito e ragionevole. Nella mia esperienza di psicologa e facilitatrice di questo processo, una delle difficoltà più frequenti che ho incontrato è stata proprio quella di trasmettere ai miei interlocutori questo “senso del percorso”, inteso come qualcosa che è possibile realizzare in fasi successive ed in un tempo che richiede investimento di attenzione, risorse e ritmi non sempre velocissimi. Sorprendentemente, mi sono spesso imbattuta in approcci più “ideologici” che “pragmatici” da parte dei miei clienti. Per esempio, mi è accaduto più volte di avere a che fare da una parte con il genitore che afferma di voler realizzare il passaggio, ha la sincera intenzione di farlo, ma poi fa fatica ad accettare di dover cedere alcune aree di presidio al figlio che, dall’altra, vuole prendere in mano la situazione senza pero’ di fatto accettare di fare i passi necessari per acquisire le competenze utili e funzionali all’assunzione del nuovo ruolo.
In sostanza, l’intenzione positiva che spinge il genitore a voler realizzare il passaggio si scontra talvolta con la difficoltà da parte del genitore stesso a “lasciare andare” una parte di sé (che spesso ha a che fare con la propria identità di leader, di imprenditore, di “capo”) e cozza anche con un’errata convinzione del figlio che ritiene che per assumere il nuovo ruolo in azienda non sia necessario acquisire le competenze utili seguendo un iter prestabilito, fatto di “immersione sul campo” mediante osservazione, affiancamento ed esecuzione di compiti operativi con relativa supervisione.
PAURA DELL’IGNOTO E IDENTITÀ
Un ulteriore elemento che talvolta non facilita il passaggio è la “paura dell’ignoto” ovvero quell’ansia che deriva dalla percezione di incertezza rispetto al futuro, alimentata dal dubbio sulla capacità di adattarsi agli inevitabili cambiamenti che verranno. In particolare, da parte del genitore, oltre al timore di perdere il controllo sulle proprie aree di presidio in azienda, c’è quello di non poter essere, via via, più utile come professionista e la paura di dover assistere alla realizzazione del business futuro nella “propria” azienda in maniera distonica rispetto alle proprie aspettative. Da parte dei figli c’è spesso il disagio riguardo al peso delle responsabilità che immaginano di dover assumere nel tempo, alimentato dall’idea di dover gestire un’azienda di cui non hanno ancora la piena padronanza.
Per facilitare il superamento della paura dell’ignoto, è importante che gli imprenditori anziani addestrino e guidino i giovani successori, aiutandoli a comprendere la storia dell’azienda, le sue risorse, le sue competenze e la sua cultura, condividendo informazioni ed esperienze creando un ambiente di fiducia e di rispetto reciproco. È inoltre utile che i giovani successori vengano coinvolti fin dall’inizio nel progetto di passaggio, così da sentirsi partecipi del progetto e co-responsabili del futuro dell’azienda. Lavorare insieme per raggiungere obiettivi comuni aiuta a superare la paura dell’ignoto e a creare senso di appartenenza e di continuità.
Durante la fase di transizione è auspicabile che i figli assumano gradualmente le responsabilità loro affidate, per esempio mediante la partecipazione a riunioni e progetti chiave, essendo facilitati nella presa di decisioni strategiche sotto la supervisione dei dirigenti anziani. Questo sia per evitare sovraccarico e stress sia per scongiurare errori che potrebbero inficiare lo sviluppo del business.
Possiamo dire che gli aspetti psicologici implicati nel processo di passaggio generazionale coinvolgono, fra gli altri, il tema dell’identità intesa come la percezione che l’individuo ha di sè stesso in relazione con altri individui. È una costruzione complessa e mutevole che si sviluppa nel corso del tempo e può variare in base al contesto e alle circostanze. Specificamente, l’identità professionale ha a che fare col ruolo lavorativo di un soggetto, in base al “come” egli si “riconosce” attraverso la propria carriera lavorativa. Frequentemente i membri della famiglia si identificano con uno dei ruoli professionali assunti in azienda che li fa sentire appartenenti ad un sistema preciso con una precisa funzione; in coincidenza col passaggio generazionale puo’ accadere, per esempio, che il padre si preoccupi di dover perdere la propria importanza risultando irrilevante agli occhi dei figli e degli altri membri dell’azienda, sentendo quindi minacciata la propria identità di leader; puo’ inoltre accadere che egli si trovi a dover affrontare una sorta di lutto legato al ruolo che stava svolgendo e alle responsabilità che sta via via cedendo. Non è sempre facile per un padre imprenditore cedere attività che ha portato avanti per una vita con lungimiranza e profitto: la perdita di potere e controllo rappresenta per lui un cambiamento forte sia sul piano operativo che su quello emotivo. Inoltre, l’inevitabile revisione dei ruoli all’interno dell’azienda, può richiedere un sensibile adattamento a nuove dinamiche familiari e lavorative. In tal senso, un tema che merita particolare attenzione è quello della leadership: se l’imprenditore anziano è sempre stato considerato un punto di riferimento chiave a cui i dipendenti e i vari interlocutori aziendali si sono nel tempo rivolti con fiducia per affrontare problemi e dirimere criticità (e quindi è sempre stato percepito come un referente solido ed affidabile), sarà necessario procedere con molta attenzione nel formare opportunamente l’“erede” affinché possa guadagnarsi in breve tempo altrettanta fiducia e seguito. La cura della formazione dei figli, per prepararli adeguatamente ad affrontare il passaggio, è un aspetto fondamentale. La formazione deve riguardare non solo il piano operativo (per mettere i figli nella condizione di saper svolgere efficacemente determinati compiti imprenditoriali), ma deve coinvolgere soprattutto il piano del “saper essere”, del “modo di porsi”, deve sollecitare nei figli la capacità di continuare ad affermare i valori aziendali di successo, mettendoli in grado di saper tramandare i punti forti che hanno rappresentato il valore aggiunto dell’azienda nel tempo. In questo senso, la sfida dei figli “eredi” sta nell’abilità di saper coniugare tradizione e novità mediante la gestione del cambiamento in maniera efficace e consapevole. Ho avuto modo di incontrare figli animati dal forte desiderio, una volta avvenuto il passaggio, di cambiare tutto il prima possibile, fortificati dall’ingenua convinzione che la mera applicazione di modelli teorici, strategie e visioni acquisiti durante percorsi di studio blasonati (master in business school particolarmente famosi in Italia o all’estero) sia sufficiente a garantire la sopravvivenza dell’azienda familiare ereditata. Un approccio pericoloso, che può rischiare di portare al fallimento l’impresa perché, come sappiamo, i modelli teorici vanno sempre relativizzati ed adattati alla situazione di riferimento per evitare che risultino traumatici o addirittura dannosi.
MANTENIMENTO DEI VALORI DI RIFERIMENTO E GESTIONE DEL CAMBIAMENTO
La consapevolezza dei figli è qualcosa che va costruita nel tempo, con la gradualità necessaria, mediante il coinvolgimento e l’inserimento progressivo dell’erede designato nel contesto organizzativo, ed attraverso una supervisione attenta da parte del manager anziano. Va sottolineato che la preparazione dei figli a ricevere il nuovo mandato deve riguardare in particolar modo i costrutti valoriali, aspetto ancora troppo spesso trascurato nella cura del passaggio. Un contributo illuminante, in questo senso, ci arriva da Bert Hellinger (scrittore e psicologo -1925-2019) che ha enfatizzato l’importanza di “onorare” e rispettare il passato, compresi gli antenati e le generazioni precedenti, anche nel contesto del passaggio generazionale. Secondo Hellinger, ogni generazione è connessa con quelle che l’hanno preceduta e il rispetto per le generazioni passate implica riconoscere i doni, le sfide, le sofferenze e i successi di coloro che sono venuti prima di noi. Questo rispetto può contribuire a costruire un senso di continuità e di radici familiari, aiutando le persone a comprendere meglio la propria storia e a integrarla nella loro identità. Hellinger ha evidenziato la necessità di trovare un equilibrio tra la ricerca dell’indipendenza personale e la connessione con le radici familiari. Secondo il suo pensiero, è importante per le persone sviluppare la propria identità e perseguire i propri obiettivi, ma l’indipendenza dovrebbe essere bilanciata con un senso di continuità con la famiglia d’origine: troppo distacco potrebbe portare a una mancanza di legame con le radici e un senso di isolamento, mentre un attaccamento eccessivo potrebbe ostacolare la crescita personale; i discendenti dovrebbero trovare un equilibrio tra la loro indipendenza e la continuità con la famiglia d’origine e questo bilanciamento può variare da individuo a individuo e dipende dalle dinamiche familiari specifiche. Hellinger incoraggia le persone a esplorare le loro relazioni familiari e a considerare come possono mantenere un collegamento sano con la loro famiglia di origine senza essere oppressi o limitati dalle aspettative o dagli schemi disfunzionali pregressi. Questo significa saper prendere decisioni autonome e costruire la propria vita, pur mantenendo un legame salutare con le radici familiari. In generale, le teorie di Hellinger suggeriscono che la comprensione delle dinamiche familiari, l’accettazione dell’eredità e il rispetto per le generazioni precedenti possono contribuire a creare relazioni più sane e più appaganti. Gestire il cambiamento mantenendo un sano legame con le proprie radici nella logica della continuità: si tratta sicuramente di un approccio sfidante richiesto agli attori coinvolti!
Da parte degli anziani, così come da parte dei giovani, è importante che vengano acquisite abilità di gestione del cambiamento. I genitori possono percepire il cambiamento in atto come una sorta di “perdita” di abitudini consolidate, di potere, di sicurezza, di una leadership forte. Per i giovani la gestione del cambiamento puo’ implicare la sfida di nuovi apprendimenti, l’acquisizione di nuove competenze, l’adattamento ad un nuovo contesto dove le aspettative sono alte. Cambiare richiede sforzo, adattamento e apprendimento di un nuovo modi di “stare al mondo”, il che richiede, per tutte le persone coinvolte, una uscita dalla propria zona di comfort. Tuttavia, il cambiamento è facilitato se funziona il processo di comunicazione tra genitori e figli e viceversa. Va specificato che parlarsi non significa necessariamente comunicare efficacemente. In alcune sessioni di counseling di facilitazione al passaggio generazionale ho avuto modo di assistere a dinamiche comunicazionali assolutamente disfunzionali: padre e figlio sostenevano le loro rispettive opinioni senza reciprocamente ascoltarsi, talvolta senza neppure guardarsi in faccia. In questi casi l’intervento di un terzo, di un consulente appunto, è indispensabile perché il rischio è che gli interlocutori coinvolti vadano avanti a parlare per ore senza mai riuscire a raggiungere un punto di accordo, sconfinando spesso nella critica e nell’accusa reciproca. Una comunicazione aperta e trasparente tra i membri della famiglia, volta a chiarire punti di vista, idee, perplessità (e soprattutto aspettative) per evitare incomprensioni, fraintendimenti e frustrazioni, è un aspetto importantissimo. La comunicazione fra i membri delle diverse generazioni funziona se è fondata sull’ascolto e sul rispetto reciproco (pur nella differenza d’opinione), se è tesa a raggiungere una visione condivisa del futuro dell’azienda e a definire gli obiettivi e il percorso per realizzarla, individuando le priorità su cui agire. Quando la comunicazione è autentica, inevitabilmente emergono i nodi conflittuali da dirimere (e ben vengano!).
SUPERAMENTO DEL CONFLITTO
Si sa che il confitto interpersonale è una dinamica relazionale che si crea in situazioni di interessi, obiettivi, bisogni e punti di vista diversi tra due o più persone; genera uno stato di tensione in chi lo vive e determina dispendio di tempo, energie, risorse, ma va affrontato. Tipicamente i conflitti possono riguardare le divergenze sulla nuova definizione dei ruoli, le diverse visioni strategiche e dei modi di fare impresa, gli stili di gestione; oppure possono essere più critici e coinvolgere la mancanza di fiducia reciproca, la divergenza di valori, la presenza di situazioni emotive pregresse aventi a che fare con temi quali gelosia, aspettative disattese, rancore, rabbia.
Quest’ultima categoria di conflitti (quelli emotivi) possono riguardare esperienze pregresse relative alla vita famigliare e inevitabilmente si ripercuotono sulla vita relazionale e professionale. Per dirimere i conflitti si puo’ ricorrere ad alcune strategie quali, per esempio, chiarire le aspettative di tutti i soggetti coinvolti (per creare un clima di trasparenza e di fiducia), definire correttamente i ruoli relativi alla gestione dell’azienda, condividere le conoscenze ed esperienze (per generare un’atmosfera d’orientamento all’apprendimento e alla collaborazione reciproca). Spesso i figli hanno conoscenze innovative acquisite attraverso master o percorsi di studio universitario e i genitori un bagaglio di conoscenze ed esperienze derivate prevalentemente dall’attività “sul campo”. La messa in comune di tali reciproche competenze può essere utile per definire il futuro dell’azienda. Il riconoscimento dell’esperienza dei genitori e della storia dell’azienda (da parte dei figli) e l’apertura verso le idee innovative dei figli (da parte dei genitori) può aiutare a creare un clima di rispetto reciproco e di scambio fruttuoso. Il ! processo di passaggio puo’ realizzarsi in maniera fluida se i genitori, durante il graduale inserimento in azienda dei figli, sostengono lo sviluppo delle competenze dei loro successori mediante la formazione e il supporto nella gestione dell’impresa, monitorando il loro operato (anche dando feedback circostanziati e costruttivi) e dando loro fiducia e se i figli, a loro volta, dimostrano la capacità di apprendere dalle esperienze dei genitori e di assimilare con passione e coinvolgimento le competenze utili a gestire l’azienda. Diverso è per i conflitti di carattere emotivo derivante da esperienze pregresse che producono rancori ed impliciti desideri di riscatto: si tratta di conflitti che richiedono l’intervento di un consulente esterno. Molti conflitti emergono nella fase di realizzazione del progetto, quando cioè dalla fase studiata a tavolino si passa alla pratica. Uno dei nodi più critici è rappresentato dalla delega. La delega progressiva di compiti ed attività è importante che avvenga gradualmente in maniera tale che i figli possano acquisire l’esperienza necessaria ed avere il tempo utile per ricoprire i nuovi ruoli ed assumere le relative responsabilità che, come si è detto, devono essere definite con precisione a priori in maniera che ciascun membro del sistema azienda/famiglia sappia cosa ci si aspetta da loro. Inoltre, la delega va gestita da parte degli anziani verso i figli in maniera tale che ci possa essere la disponibilità dei primi ad effettuare delle supervisioni quando necessario, senza peraltro interferire nella realizzazione del processo mediante ingerenze inutili del genitore sull’operato del figlio: quello che conta sono i risultati (che è bene vengano monitorati costantemente) e non l’identica riproduzione, adottata nel passato, delle modalità di realizzazione di un compito.
Se la delega è stata ben riposta, cioè prima di realizzarla è stata fatta una corretta valutazione delle competenze, del potenziale e delle aspirazioni del figlio che l’ha accolta, le condizioni di successo sono già presenti ed il risultato non tarderà ad arrivare.
CONCLUSIONI
In sintesi, i suggerimenti comportamentali per creare le condizioni favorevoli al passaggio generazionale possono essere così di seguito riassunti.
Per i genitori:
Pianificare la transizione investendo energie e risorse per definire chiaramente i ruoli e le responsabilità di ciascun membro della famiglia, unitamente alle reciproche aspettative.
Aprirsi alla collaborazione con i figli mediante il loro progressivo coinvolgimento nelle decisioni aziendali e l’accoglienza costruttiva delle loro idee e proposte, mantenendo un dialogo aperto in modo da evitare eventuali malintesi ed incomprensioni.
Trasmettere le proprie competenze ai figli attraverso la condivisione della propria esperienza, al fine di aiutarli ad acquisire le conoscenze necessarie per gestire l’azienda.
Individuare il team di professionisti a cui affidarsi per attuare con successo il processo di passaggio.
Per i figli:
Cercare di acquisire tutte le conoscenze e le competenze necessarie per gestire l’azienda, mediante l’affiancamento degli anziani, i corsi di formazione, ma anche facendo esperienze lavorative al di fuori dell’azienda di famiglia per acquisire nuove prospettive e competenze.
Mantenersi aperti al cambiamento mediante lo sviluppo di nuove idee e l’accoglienza di nuove sfide e opportunità.
Attivare una comunicazione trasparente ed autentica interagendo costruttivamente con gli altri membri della famiglia, esprimendo questioni, perplessità, contributi nel rispetto delle altrui opinioni e nella ricerca di soluzioni di reciproca soddisfazione, lavorando insieme per una transizione fluida.
Mantenere vivi i valori dell’impresa di famiglia facendoli propri, dando continuità all’identità e alla tradizione dell’azienda.
Il consulente del lavoro e gli altri professionisti esperti (avvocati, psicologi, commercialisti), ciascuno in base alle proprie competenze, possono avere un ruolo importante nell’aiutare imprenditori ed aziende a gestire con efficacia tale passaggio. Il lavoro in team fra famiglia e professionisti rappresenta la chiave del successo di tale operazione. Gli imprenditori che si trovano a dover affrontare tale passaggio non sempre sono consapevoli della complessità del processo e spesso si avvalgono in maniera discontinua e parcellizzata di professionisti per risolvere unicamente mere questioni legali. Ma, in questo modo, rischiano di rimanere molti fronti aperti, tematiche implicite mai venute alla luce, problemi incancreniti e rimossi che nel tempo possono compromettere il buon esito dell’operazione. Per questo è auspicabile che il consulente del lavoro sappia indirizzare in maniera pertinente il cliente che si trova nella condizione di affrontare il passaggio, informandolo opportunamente delle varie sfaccettature che tale tematica comporta e che richiedono di essere affrontate con la necessaria attenzione e dedizione.
BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO
https://www.michaelpage.it/news-research/studi/family-business-italia-successo-imprese-familiari
https://www.assolombarda.it/media/comunicati-stampa/guida-per-i-passaggi-generazionali
Carlo Federico Montecamozzo, Guida al passaggio generazionale nelle Pmi, Ipsoa, 2012.
Bert Hellinger, Gli ordini del Successo, Tecniche nuove, 2011.