All’interno di un progetto ambizioso come quello tratteggiato dal PNRR presentato dal governo Draghi, l’uguaglianza di genere è la priorità e lo dimostra la scelta di campo di destinare ingenti risorse, del valore di sette miliardi di euro, alla promozione di un’effettiva cultura della parità in ognuna delle missioni del Piano stesso1.
Considerando il contrasto al divario di genere quale necessità comune a ciascun ambito di intervento, il Piano è un passo in avanti significativo in una cultura come la nostra nella quale le perduranti disparità di genere hanno origini profonde e non sono mai state recise nel percorso normativo2.
Il nostro ordinamento è infatti contraddistinto da stereotipi culturali di netta dicotomia dei ruoli all’interno del nucleo familiare, nella quale all’uomo spetta il compito di sostenere economicamente la famiglia e alla donna quello di occuparsi della cura domestica, e nella quale il tentativo di armonizzare il ruolo di donna lavoratrice con quello di madre è stato per lungo tempo declinato soltanto al femminile. Oggi, anche su impulso dell’esperienza maturata da remoto nel corso della pandemia, è
fondamentale caldeggiare efficaci forme di conciliazione dei tempi di vita-lavoro, per favorire anche nel nostro ordinamento i valori di inclusione e uguaglianza di genere perseguiti dalla Generation Equality Campaign delle Nazioni Unite e dalla Strategia Europea per la parità di genere 2020/2025.
Obiettivo dell’Autrice è sondare le modalità attraverso cui, nella normalità post Covid, le organizzazioni pubbliche e private, i lavoratori e i sindacati valorizzeranno l’opportunità offerta dal PNRR per contrastare le disuguaglianze di genere e la marginalizzazione del lavoro femminile e per promuovere la parità genitoriale nei compiti di cura della famiglia3.
L’evoluzione di una nuova cultura della parità è indubbiamente determinata dal contesto economico e occupazionale in cui la stessa è destinata a svilupparsi.
In tema di politiche per la parità di genere l’Italia si colloca attualmente al quattordicesimo posto, tra i 27 Paesi dell’Unione Europea, con un punteggio pari a 63,8 su 100 dell’indice sull’uguaglianza di genere calcolato dallo
European Institute for Gender Equality (c.d. EIGE). Questi dati incidono in maniera significativa anche sulla situazione occupazionale nazionale, dalla quale emerge che lavorano circa 53 donne italiane su 100 nella fascia tra i 20 ed i 64 anni (a fronte di una media europea che si attesta su 67 lavoratrici su 100) e che il tasso di occupazione totale si ferma a 62 lavoratori su 100, mentre la media europea si aggira intorno a 734.
Il percorso verso la parità è dunque ancora lungo e tortuoso: i divari di genere persistono nel mondo del lavoro, a livello di retribuzioni, di assistenza e di pensioni, nonché nell’accesso alle discipline STEM5 e nelle posizioni dirigenziali. D’altra parte, sotto il profilo giuslavoristico, il legislatore nazionale nel corso dell’ultimo ventennio è sovente intervenuto per garantire tutele sempre più ampie alla parità di genere, prendendo atto dell’inevitabile mutamento nella concezione di famiglia e riscoprendo la centralità del ruolo del padre lavoratore, un diritto autonomo del padre, aggiuntivo e indipendente rispetto a quello della madre, a godere di un periodo obbligatorio di astensione dal lavoro. Si sta a poco a poco affermando una visione di famiglia più moderna e paritaria, in cui la madre ha uguali chance lavorative rispetto al padre, il quale, a sua volta, riveste un ruolo di primo piano all’interno della famiglia, in cui i compiti di cura e le relative tutele toccano in misura equa entrambi i genitori.
In questo contesto, la previsione della parità di genere quale priorità trasversale del PNRR può senza dubbio rappresentare un’opportunità unica per l’empowerment economico e sociale delle donne, e in particolare di quelle lavoratrici.
Infatti, i progetti a ciò deputati riguardano: la promozione delle materie STEM, contenuta nella missione “Istruzione e ricerca”, l’introduzione di un sistema nazionale di certificazione della parità di genere a titolarità del Dipartimento per le Pari Opportunità e la creazione di impresa femminile nell’ambito della missione “Inclusione e coesione”, in collaborazione con il Ministero dello Sviluppo Economico. Sono i primi embrionali, ma importanti, interventi tesi verso una nuova cultura della parità di genere che, a partire dal contrasto al divario retributivo tra uomini e donne, promuovono quella valorizzazione del lavoro femminile e, contestualmente, quella condivisione dei ruoli familiari che in Italia, molto più che in altri Paesi, stenta ancora ad affermarsi.
I propositi e le misure in tema di parità di genere contenuti nel PNRR hanno come obiettivo che l’Italia, entro il 2026, raggiunga un incremento di circa 5 punti percentuali del tasso di occupazione femminile, così come previsto dalla Strategia per la parità di genere 20212026, di cui il PNRR sviluppa le priorità con le sue sei Missioni, al fine di collocare l’Italia in linea con le statistiche occupazionali degli altri Paesi membri dell’Unione Europea. In particolare, la Strategia per la parità di genere, adottata su impulso della Gender Equality Strategy 2020-2025 dell’Unione Europea, si inserisce tra gli interventi del PNRR finanziato dal programma Next Generation EU, in cui l’emancipazione femminile e il contrasto alle discriminazioni di genere non sono affidati a singoli interventi, ma sono obiettivi trasversali di tutte le sei Missioni.
All’interno della Strategia, la priorità “Lavoro” mira a creare un mondo del lavoro maggiormente equo tramite misure di supporto alla partecipazione femminile, quali la promozione delle forme di conciliazione dei tempi di vita-lavoro e la valorizzazione dell’imprenditoria femminile, utilizzando precisi indicatori di riferimento al tasso di occupazione femminile, specialmente quello riguardante le lavoratrici con figli, e all’implementazione del numero di imprese femminili. Vengono così previsti importanti obiettivi: incremento del tasso di occupazione femminile, attraverso la riduzione di almeno 3 punti percentuali del divario con quello maschile; contrazione, a meno di 10 punti percentuali, della differenza tra il tasso di occupazione delle donne con figli rispetto a quello delle donne senza figli (attualmente pari a 12 punti, a fronte di una media europea di 9-9,5 punti); aumento fino al 30%, rispetto all’attuale 22%, della percentuale di imprese femminili rispetto al totale delle imprese attive. Le misure contenute nella Strategia sono inoltre connesse al progetto di riforma contenuto nella Legge n. 32/2022, il c.d. Family Act, di delega al Governo per l’adozione di misure di sostegno e valorizzazione della famiglia quali: il potenziamento del sistema del Welfare, l’introduzione dell’assegno unico e universale, la revisione dei congedi parentali e il sostegno ai percorsi educativi dei figli, nonché le misure di sostegno al lavoro femminile e di sicurezza lavorativa.
Affinché gli obiettivi individuati nella Strategia per la parità di genere 2021-2026 vengano raggiunti, e le relative misure adottate, il PNRR riprende e sviluppa le priorità lungo due direttrici: da un lato, la valorizzazione della partecipazione femminile al lavoro e, dall’altro, l’implementazione della formazione, sin dall’età scolastica, nella prospettiva delle pari opportunità. Le misure previste in favore della parità di genere sono in prevalenza dirette a promuovere una maggiore partecipazione della componente femminile al mondo del lavoro attraverso, da un lato, interventi diretti a sostegno dell’occupazione e dell’imprenditorialità femminile e, dall’altro, interventi rivolti in particolare al potenziamento dei servizi educativi per i bambini e ad alcuni servizi sociali, che potrebbero incoraggiare un aumento dell’occupazione delle donne. La pandemia ha inoltre svelato tutti i danni che le tradizionali riluttanze culturali alla parità di genere hanno provocato: basti pensare che in Italia nel 2020 il calo occupazionale si è concentrato quasi esclusivamente sulle lavoratrici, con una diminuzione di 101 mila unità lavorative di cui 99 mila ricoperte dalle donne6.
Per questo, nel corso della pandemia il legislatore dell’emergenza si è mostrato particolarmente attento alla necessità di realizzare un migliore equilibrio tra vita professionale e vita familiare e personale, riconoscendo centralità al principio della bigenitorialità e di cura della famiglia (in particolare dei figli), attraverso il lavoro da remoto.
Al medesimo scopo mirano anche le previsioni contenute nel PNRR che, facendo tesoro dell’esperienza maturata nel corso del lockdown, ha introdotto trasversalmente una serie misure, di potenziamento del Welfare ma anche di supporto alle famiglie, nelle diverse missioni di cui si compone.
Grazie a tali misure, nella prospettiva di lungo periodo (terminato il quinquennio di finanziamenti richiesti all’Unione Europea in attuazione del Next Generation EU), l’Italia dovrà dimostrare di aver raggiunto una crescita economica e una progressione sociale quanto meno allineate a quelle degli altri Paesi più virtuosi7.
Tra gli interventi normativi sulle pari opportunità tesi a condizionare l’esecuzione dei progetti del Piano all’assunzione di (giovani e) donne, di particolare rilievo è l’art. 47 del D.l. n. 77/2021, convertito con modifiche nella Legge n. 108/2021, di disegno del sistema di governance del PNRR, che prevede importanti misure “per perseguire le finalità relative alle pari opportunità, generazionali e di genere e per promuovere l’inclusione lavorativa delle persone disabili”. Sono interventi accomunati dall’introduzione di obblighi, anche di assunzione, a carico degli operatori economici che operino nell’ambito delle procedure di gara relative agli investimenti pubblici finanziati, in tutto o in parte, con le risorse del PNRR e del Piano nazionale per gli investimenti complementari al PNRR, il c.d. PNC, di cui all’art. 1, D.l. n. 59/2021. Innanzitutto, al comma 2, si prevede che gli operatori economici tenuti alla redazione del rapporto sulla situazione del personale, ai sensi dell’art. 46 del D.lgs. n. 198/2006 , debbano produrre a pena di esclusione, al momento della presentazione della domanda di partecipazione e dell’offerta, il rapporto sulla situazione del personale di sesso maschile e femminile, mentre i successivi commi 3, 3 bis e 4 prevedono a carico degli altri operatori con specifiche dotazioni di organico l’obbligo di consegnare alla stazione appaltante, entro sei mesi dalla conclusione del contratto, la relazione di genere per ciascuna professione, nonché la certificazione relativa all’adempimento di quanto disposto dalla normativa vigente in materia di collocamento obbligatorio. Di particolare interesse è il comma 4 dell’art. 47, in virtù del quale, al fine di perseguire gli obiettivi attesi in termini di occupazione femminile entro il 2026, le stazioni appaltanti sono tenute a prevedere nei bandi di gara, negli avvisi e negli inviti specifiche clausole dirette all’inserimento di criteri orientati a promuovere, tra l’altro, la parità di genere, con l’obbligo (come requisito essenziale dell’offerta), di assicurare, in caso di aggiudicazione del contratto, una quota pari ad almeno il 30% delle assunzioni, necessarie per l’esecuzione, all’occupazione (giovanile e) femminile. L’introduzione di una quota percentuale, seppur realizzi una misura positiva “volta ad accelerare la realizzazione di una partecipazione e rappresentanza equilibrate in termini di genere tramite la definizione di una proporzione (percentuale) o di un numero prestabiliti di posti”, solleva alcune criticità8.
Una su tutte, l’insufficienza della previsione di vincoli con riferimento alla composizione del personale dipendente dall’operatore economico datore di lavoro, trascurando così tutte quelle ipotesi in cui il numero di lavoratrici già assunte sia tale da consentire comunque all’operatore economico di eseguire le attività oggetto della gara.
Per porre rimedio, si potrebbe interpretare estensivamente la disposizione, sino a ritenere rispettato il requisito obbligatorio di condizionalità anche nelle ipotesi in cui l’operatore economico virtuoso sia in grado di assicurare la quota del 30% di lavoratrici adibite all’esecuzione del contratto pur in assenza di nuove assunzioni. Il mancato rispetto delle previsioni di cui all’art. 47, commi 3, 3 bis e 4, è punito con l’applicazione di penali commisurate alla gravità della violazione e proporzionali all’importo o alle prestazioni del contratto, nel rispetto di un tetto massimo complessivo previsto nell’art. 51.
Nel caso in cui invece la violazione si sostanzi nel mancato rispetto di consegnare, entro sei mesi dalla conclusione del contratto, la relazione di genere, è prevista la sanzione aggiuntiva dell’impossibilità di partecipare per un periodo di dodici mesi a ulteriori procedure di affidamento afferenti a investimenti pubblici finanziati, in tutto o in parte, con le risorse del PNRR e del PNC.
Vi sono poi le ipotesi in cui il legislatore ha preferito premiare l’operatore economico che rispetti alcune condizioni (individuate nel successivo comma 5 dell’art. 47), tramite l’assegnazione di un punteggio aggiuntivo, cioè qualora: nei tre anni antecedenti la data di scadenza del termine di presentazione delle offerte non risulti destinatario di accertamenti relativi ad atti o comportamenti discriminatori); utilizzi specifici strumenti di conciliazione tra vita-lavoro per i propri dipendenti, anche tramite innovative modalità di organizzazione del lavoro; si impegni ad assumere una quota eccedente il 30% di donne, e altre categorie indicate, per l’esecuzione del contratto; abbia adottato nell’ultimo triennio specifiche misure di promozione della parità di genere e generazionale; presenti per ciascun esercizio finanziario una dichiarazione volontaria ai sensi dell’art. 7, D.lgs. n. 254/2016. Infine, il comma 8 dell’art. 47 prevede, tra le misure di contrasto alle disuguaglianze di genere, l’adozione di specifiche linee guida, avvenuta con Decreto del 7 dicembre 2021, contenenti gli orientamenti necessari in merito alle modalità e ai criteri applicativi di quanto previsto nei precedenti commi dell’art. 47, insieme all’indicazione delle misure premiali e dei modelli di clausole da inserire nei bandi di gara, differenziati per settore, tipologia e natura del contratto o del progetto.
Stupisce l’assenza di riferimenti significativi al lavoro da remoto, l’unica modalità di lavoro in grado di coniugare, nel contesto emergenziale, le esigenze di continuità produttiva delle aziende con quelle di tutela della salute delle lavoratrici e dei lavoratori.
Eppure, l’emergenza Covid ha contribuito in maniera significativa a valorizzare, anche tramite il ricorso al lavoro da remoto, il principio di parità di genere nello svolgimento dei compiti di cura della famiglia: la legislazione di emergenza in tema di smart working ha riconosciuto in favore di entrambi i genitori un vero e proprio diritto al lavoro agile, oltre a un congedo specifico finalizzato a soddisfare le esigenze di cura familiari imposte dall’emergenza sanitaria9.
Un’adeguata programmazione degli interventi finalizzati a “normalizzare” il ricorso al lavoro da remoto avrebbe potuto contribuire a implementare la parità retributiva e a diffondere una nuova cultura del risultato, superando quelle prassi, principalmente legate ai tempi di permanenza in azienda, che hanno storicamente favorito gli uomini e nociuto alle donne, incaricate anche dei compiti di cura della famiglia.
* Sintesi dell’articolo pubblicato in Giurisprudenza Italiana, 11, 1 novembre 2022, p. 2528 dal titolo PNRR e lavoro: prospettive di trasformazione per l’Italia, domani – PNRR e contrasto alle disuguaglianze di genere.
1. Sugli interventi in tema di lavoro contenuti nel PNRR si veda M. Martone, Il lavoro nel PNRR, in questo numero di Giurisprudenza Italiana.
2. Per approfondimenti sull’evoluzione normativa a tutela della lavoratrice vedi M.V. Ballestrero, Dalla tutela alla parità. La legislazione italiana sul lavoro delle donne, Il Mulino, Bologna, 1979 nonché i contributi di R. Pessi, Lavoro e discriminazione femminile, in Giorn. Dir. Lav. Rel. Ind., 1994, 3,
413 e segg.; M. Brollo, Misure per l’occupazione femminile tra tutele e incentivi, in Lav.
Giur, 2013,2,113 e segg.; R. Del Punta, La nuova disciplina dei congedi parentali, familiari e formativi, in Riv. It. Dir. Lav., 2000, I, 149 e segg.
3. Sul punto si rimanda a E. De Marco, Congedo di paternità e riduzione del premio di risultato alla prova della bigenitorialità, in Arg. Dir. Lav., 2021, 5, 1249 e segg.
Dir. Lav., 2021, 5, 1249 e segg.
4. I dati riportati sono stati raccolti ed elaborati da Eurostat con riferimento al 2021 e sono disponibili sul sito https://ec.europa.eu/eurostat
5. Acronimo per Science, Technology, Engineering e Mathematics.
6. L’Istat ha rilevato che, nel mese di dicembre 2020, gli occupati in Italia sono calati di 101 mila
unità, di cui 99 mila donne. Per ulteriori approfondimenti si rinvia alle statistiche sull’occupazione pubblicate sul sito https://www.istat.it.
7. Sul punto si rinvia a D. Gottardi, Recovery plan e lavoro femminile, in Diritti, lavori, mercati, 2021,
2, 261 e segg.
8. La definizione di “quote di genere” è reperibile su https://eige.europa.eu/it/taxonomy/term/1203. Sulla tecnica della condizionalità come azione positiva e sulla sua innovatività rispetto alle dinamiche tradizionali del mercato del lavoro si veda V. Cardinali, PNRR. La clausola di condizionalità all’occupazione di giovani e donne: azione positiva o azione mancata? in INAPP WP, 2022, 92, 4 e segg
9. Per ulteriori approfondimenti sul ricorso al lavoro da remoto nel contesto emergenziale si rinvia al volume collettaneo curato da M. Martone, Lavoro da remoto e bigenitorialità: come cogliere nella crisi epidemiologica un’opportunità di modernizzazione sociale, in Id. (a cura di), Il lavoro da remoto. Per una riforma dello smart working oltre l’emergenza, Piacenza, La Tribuna, 2020.