Molteplici sono le norme del D.lgs. n. 81/2008 che perseguono la tutela della parità di genere. Per cominciare, l’art. 1, comma 1, stabilisce che il TUSL garantisce l’uniformità della tutela delle lavoratrici e dei lavoratori sul territorio nazionale attraverso il rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, anche con riguardo alle differenze di genere. A sua volta, l’art. 6, comma 8, lettera l), attribuisce alla Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro il compito di promuovere la considerazione della differenza di genere in relazione alla valutazione dei rischi e alla predisposizione delle misure di prevenzione. Significativo è anche l’art. 40, comma 1, là dove si preoccupa di coinvolgere il medico competente, chiamandolo a trasmettere ai servizi competenti per territorio le informazioni, elaborate evidenziando le differenze di genere, relative ai dati aggregati sanitari e di rischio dei lavoratori, sottoposti a sorveglianza sanitaria. Ma la chiave di volta in materia sta nella norma che contempla l’obbligo determinante in materia di sicurezza del lavoro e non a caso un obbligo indelegabile del datore di lavoro: la valutazione dei rischi. Invero, l’art. 28, comma 1, non ritiene sufficiente imporre al datore di lavoro di valutare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ma si preoccupa di richiamare i rischi riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, cui quelli riguardanti le lavoratrici in stato di gravidanza, secondo quanto previsto dal Decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, nonché quelli connessi alle differenze di genere. Né si dimentichi quell’art. 408, comma 3-bis, c.p.p. in forza del quale per i delitti commessi con violenza alle persone l’avviso di archiviazione è notificato alla persona offesa a cura del P.M., ed efficacemente, nella sentenza n. 10959 del 16 marzo 2016, le Sezioni Unite Penali hanno posto in risalto che la locuzione “delitti commessi con violenza alla persona” è riferibile anche ai reati di atti persecutori e di maltrattamenti, previsti rispettivamente dagli artt. 612- bis e 572 c.p., perché l’espressione “violenza alla persona” deve essere intesa alla luce del concetto di violenza di genere, quale risulta dalle pertinenti disposizioni di diritto internazionale recepite e di diritto comunitario. Dunque, un apparato normativo di tutto rispetto. E tuttavia non possiamo trascurare un fatto che sembra invece generalmente sfuggito all’attenzione: la parità di genere continua a rimanere pressoché assente nella giurisprudenza della Cassazione Penale sul TUSL. Tanto che, pur di rinvenire comunque un punto di riferimento, finisce per suscitare a suo modo interesse anche il caso affrontato ultimamente da Cass. n. 38306 del 19 settembre 2023. La titolare di un negozio di parrucchiera tiene per anni nei confronti di una dipendente condotte vessatorie consistite in umiliazioni ed insulti alla presenza di clienti del negozio e di colleghe di lavoro della vittima; la obbliga a lavorare gratuitamente oltre l’orario previsto; la ostacola in tutti i modi a restare incinta e a portare a termine la gravidanza minacciandola altrimenti di licenziamento. La Corte Suprema annulla con rinvio l’assoluzione dell’imputata pronunciata dalla Corte d’Appello. Dal suo canto, Cass. 27 settembre 2022, n. 36538 conferma la condanna del titolare di uno studio odontotecnico che aveva alle proprie dipendenze una donna con mansioni di assistenza clienti per la violazione dell’art. 28, comma 2, lett. a), D.lgs. n. 81/2008, per non aver elaborato un congruo documento di valutazione dei rischi, omettendo di valutare i rischi per la sicurezza e la salute delle lavoratrici, in particolare quelli derivanti dall’esposizione ad agenti fisici, chimici o biologici, processi o condizioni di lavoro di cui all’allegato C del D.lgs. n. 151/2001, recante il Testo unico sulla maternità e paternità. Ci chiediamo a questo punto, se siamo ancora lontani da un’osservanza sistematica del TUSL a tutela della parità di genere, e se dunque risultino ancora carenti in materia le attività ispettive degli organi di vigilanza. E si badi: non solo del TUSL. S’illude chi a tutt’oggi ravvisa nello smart working una pur tendenziale risposta a quella criticità rappresentata per le lavoratrici dalla conciliazione tra vita lavorativa e vita privata. Da sottolineare è, infatti, la sistematica disapplicazione anche purtroppo in epoca postemergenziale delle impegnative norme dettate a tutela della sicurezza e salute dei lavoratori agili dalla Legge n. 81/2017. Tanto per fare un esempio, in quante informative scritte consegnate dal datore di lavoro al lavoratore e all’RLS sono individuati i rischi in un’ottica di genere? Certo, abbiamo visto che le Sezioni Unite penali pongono in risalto tra i “delitti commessi con violenza alla persona” i reati di atti persecutori e di maltrattamenti previsti rispettivamente dagli artt. 612-bis e 572 c.p., e affermano che l’espressione “violenza alla persona” deve essere intesa alla luce del concetto di violenza di genere. Solo che nel nostro Paese la storia del reato di stalking occupazionale non è alimentata da un’apposita, specifica norma, e tenta di rintracciare nel codice penale un reato in qualche modo adattabile. Con un risultato sorprendente: che si confrontano silenziosamente due Sezioni della Corte di Cassazione. Stando alla Sez. VI, i maltrattamenti in famiglia di cui all’art. 572 c.p., a condizione, però che “il rapporto tra datore di lavoro e dipendente assuma natura para-familiare e, cioè, sia caratterizzato da relazioni intense ed abituali, da consuetudini di vita tra i soggetti, dalla soggezione di una parte nei confronti dell’altra, dalla fiducia riposta dal soggetto più debole nel soggetto che ricopre la posizione di supremazia e che, quindi, ha obblighi di assistenza verso il soggetto più debole” (si v. da ultimo, Cass., n. 38306 del 19 settembre 2023). Stando, invece, alla Sez. V, gli atti persecutori di cui all’art. 612-bis c.p., penalmente rilevanti a prescindere dalla parafamiliarità (così ancora Cass., n. 38446 del 20 settembre 2023). Siamo, dunque, più che mai in attesa che il Parlamento decida se introdurre uno specifico reato di stalking occupazionale. Con un auspicio: che non si adotti un concetto di violenza o molestie contrastante con la Convenzione ILO n. 190 del 2019, già resa esecutiva in Italia dalla Legge 15 gennaio 2021, n. 4: un insieme di pratiche e di comportamenti inaccettabili, o la minaccia di porli in essere, sia in un’unica occasione, sia ripetutamente, che si prefiggano, causino o possano comportare un danno fisico, psicologico, sessuale o economico.