NUOVI ORIENTAMENTI in materia di stress da lavoro correlato*

Luca di Sevo, Consulente del lavoro in Bollate (Mi)

Danilo Volpe analizza il fenomeno, in crescita, dei danni biologici occorsi ai lavoratori correlati allo stress

I danni biologici denunciati dai lavoratori per stress lavoro correlato sono sempre più frequenti: la sentenza in commento (Cass. civ. Sez. lavoro Ord., 28 febbraio 2023, n. 6008) ha una duplice peculiarità, in quanto, da un lato, ribadisce la responsabilità gravante sul datore di lavoro in forza dell’art. 2087 c.c. e, dall’altro, attenua e mitiga l’onere probatorio incombente sul lavoratore, escludendo che quest’ultimo debba provare elementi attinenti all’organizzazione del lavoro che, come tali, sono estranei alla sua pronta disponibilità. Il caso in commento riguarda il danno sofferto da un dirigente medico di primo livello in ortopedia e traumatologia che, vittima di infarto, portava in giudizio l’ASL richiedendo il risarcimento del danno biologico. Il Tribunale di Lanciano, in primo grado, respingeva la domanda, per accertata insussistenza di responsabilità ai sensi dell’art. 2087 c.c. dell’ASL, in quanto la stessa non era in condizione di aumentare l’organico di ortopedici, né rifiutare ricoveri e prestazioni ai pazienti. Anche in appello, la richiesta veniva respinta. Il ricorso per cassazione, al contrario è stato accolto. Negli ultimi anni sono aumentate le richieste per danni psicologici o danni fisici connessi al c.d. stress lavoro correlato, di cui il c.d. superlavoro costituisce una tipizzazione frequente. La norma ha cercato fin dagli albori di individuare dei limiti di orario di lavoro, massimi, giornalieri e settimanali, e le relative pause e riposi fisiologici, atti a tutelare la salute del lavoratore. Alla base dell’analisi dell’autore viene posto l’art. 2087 c.c. considerato “l’architrave dell’apparato normativo di tutela, essendo una norma generale che impone il dovere del datore di lavoro di adottare ogni misura di prudenza e diligenza necessaria per la tutela dell’integrità fisica e della personalità morale del lavoratore, prescindendo dalla concreta presenza ed esistenza di specifiche norme di prevenzione”. Accanto ad esso, il D.lgs. n. 81/2008, completa gli obblighi a carico del datore di lavoro. Infatti, proprio l’art. 28, ex D.lgs. n. 81/2008 impone “la valutazione di tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, compresi quelli collegati allo stress lavoro-correlato e, soprattutto, la conformazione dell’organizzazione del lavoro tenendo conto delle esigenze di prevenzione, mirate altresì ad evitare anche il lavoro stressante, monotono e ripetitivo”. Tale norma istituisce e dà un notevole peso al documento di valutazione dei rischi, che deve comprendere anche i rischi relativi allo stress lavoro-correlato. Il primo aspetto dell’organizzazione del lavoro da considerare a fini della prevenzione è l’orario di lavoro: eventuali inadempimenti ai limiti sull’orario di lavoro, ferie o riposi, infatti, possono ledere la tutela della salute e della personalità morale del lavoratore. L’ulteriore questione giuridica affrontata dalla Suprema Corte è quella del riparto dell’onere probatorio tra lavoratore e datore di lavoro: sul punto, la giurisprudenza è pressoché univoca nel ritenere che il riparto degli oneri probatori nella domanda di danno da infortunio sul lavoro si pone negli stessi termini dell’art. 1218 c.c., stabilendo che il lavoratore che lamenti di aver subito un danno, deve allegare e provare l’esistenza dell’obbligazione lavorativa, l’esistenza del danno ed il nesso causale tra quest’ultimo e la prestazione, mentre il datore di lavoro deve provare la dipendenza del danno da causa a lui non imputabile. Le ultime tendenze giurisprudenziali vanno ad alleggerire il carico probatorio che deve fornire il prestatore di lavoro in tema di stress da lavoro correlato. La giurisprudenza più recente ha avuto modo di ribadire che “il dipendente se gravato della prova della lesività dell’ambiente di lavoro (oltreché del danno e del nesso causale), con specifico riguardo al caso del superlavoro, è esentato dall’onere di dimostrare la violazione di ben determinate norme di sicurezza, essendo invece il datore di lavoro a dover provare che i carichi di lavoro fossero normali, congrui e tollerabili o che si sia verificata una diversa causa che rendeva l’accaduto non imputabile al datore medesimo”. “Conseguentemente il datore sarà ritenuto responsabile per danni alla salute derivanti da superlavoro non soltanto quando imponga prestazioni intollerabili (condotta commissiva) ma anche quando violi il dovere di impedire che il lavoratore, quantunque spontaneamente, esegua il lavoro con modalità lesive della propria integrità psicofisica (condotta omissiva)”. La sentenza in commento a parere dell’autore, “senza stravolgere l’impostazione tradizionale del riparto dell’onere probatorio, lo va a specificare, all’esclusivo fine di evitare di svilire l’azione giudiziaria promossa da un lavoratore danneggiato, il quale – laddove fosse onerato anche della prova della violazione di specifiche norme di sicurezza in materia di organizzazione sul lavoro – sarebbe chiamato a fornire una sorta di probatio diabolica avente ad oggetto aspetti e peculiarità estranei alla sua pronta disponibilità”. Emerge pertanto una nuova definizione dell’onere della prova che deve fornire il lavoratore danneggiato basato sul combinato disposto degli artt. 1218 e 2697 c.c. in riferimento alla natura contrattuale della responsabilità del datore di lavoro.

* Sintesi dell’articolo pubblicato in LG, 12/2023, pag. 1133 dal titolo Il danno da superlavoro: quando l’organizzazione del lavoro da soluzione diventa problema.


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