Mobbing: necessario l’intento persecutorio del datore di lavoro per integrarne la fattispecie

Alice Pattonieri , Consulente del Lavoro in Milano

Cass., sez. Lavoro, Ord. 14 novembre 2024, n. 29400

Il caso in analisi vede come protagonista un dipendente che agisce nei confronti del datore di lavoro, lamentando episodi di mobbing messi in atto verso la sua persona. Le sue richieste erano già state precedentemente rigettate sia in primo grado dal Tribunale di Roma, sia dalla Corte d’Appello. Pertanto, l’interessato procede a presentare ricorso presso la Suprema Corte di Cassazione. Di seguito, alcuni comportamenti che, secondo il ricorrente, integrerebbero la fattispecie di mobbing e le motivazioni per le quali non sono stati considerati tali dai primi due gradi di giudizio. In primo luogo, l’esclusione dalla partecipazione del ricorrente alla Conferenza Network Italiani. La Corte d’Appello ha escluso l’ipotesi di condotta vessatoria del datore di lavoro in quanto è stato dimostrato che il lavoratore era stato invitato a prendere parte all’evento come coordinatore di una delle unità. Di fatto, era stato proprio il ricorrente a rifiutare di parteciparvi in quanto non riconosceva la competenza tecnica del suo superiore che avrebbe dovuto accompagnarlo nel corso dell’evento. Di seguito, un’illecita appropriazione di un lavoro di ricerca in materia di campi elettromagnetici da parte dell’azienda. In realtà, non si era verificata alcuna appropriazione illecita, in quanto il ricorrente era stato citato come partecipante al lavoro in qualità di “tecnologo”. Dunque, veniva dato lui credito del lavoro svolto. Infine, un ipotetico c.d. furto di ferie. Il ricorrente lamentava il fatto che fossero stati utilizzati dei giorni di ferie quando, in realtà, nelle stesse giornate l’interessato sosteneva di aver prestato attività lavorativa. Tale decisione aziendale era stata considerata legittima in quanto era stato accertato che l’attività svolta fuori sede nei giorni indicati non era stata autorizzata dal datore di lavoro. Al contrario, la concessione dei giorni di ferie era avvenuta dietro esplicita richiesta da parte del lavoratore. Alla luce dei fatti raccolti, la Corte di Cassazione ha proseguito sulla scia dei due gradi di giudizio precedenti, rigettando il ricorso per le seguenti motivazioni: il mobbing non è costituito solamente dal mantenimento di una condotta di segno avverso all’interesse del lavoratore. Elemento fondamentale affinché si possa parlare di mobbing è l’intento persecutorio della condotta mantenuta e protratta nel tempo da parte dell’azienda. È proprio quest’ultimo elemento a rendere il mobbing una violazione della responsabilità contrattuale ex art. 2087 c.c., secondo il quale: “L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”. Le condotte che integrano le fattispecie di mobbing, pertanto, sarebbero caratterizzate dal fatto di risultare di per sé legittime. A renderle contrarie alla responsabilità contrattuale propria del datore di lavoro sarebbe proprio l’intento persecutorio mantenuto dall’imprenditore. Tornando al caso in questione, il ricorrente avrebbe dovuto riscontrare e dimostrare non soltanto i fatti a suo avviso costituenti le violazioni di obblighi datoriali, non soltanto il nesso di causalità tra inadempimento datoriale e danno patito ma anche la volontà dell’azienda di danneggiare il lavoratore mediante continue vessazioni.


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