Come noto, con la sentenza n. 125 del 22 maggio 2022 la Corte Costituzionale è nuovamente intervenuta sul tema delle tutele riconosciute dalla legge in caso di licenziamenti illegittimi e, nello specifico, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della distinzione tra insussistenza e manifesta insussistenza del fatto posto alla base dei licenziamenti c.d. economici, contenuta nel co. 7 dell’art. 18 Statuto dei Lavoratori, così come riformulato dalla L. n. 92 del 2012, c.d. Legge Fornero. All’epoca della riforma dell’art. 18 Statuto dei Lavoratori operata dalla Legge Fornero, l’introduzione della distinzione tra insussistenza e manifesta insussistenza del giustificato motivo oggettivo posto alla base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo aveva come finalità quella di ridimensionare la tutela reintegratoria, destinandola ai casi di illegittimità considerati appunto più gravi. Pur non essendo presente, all’interno della norma, una definizione del concetto di manifesta insussistenza, la giurisprudenza successiva alla riforma ne aveva definito i confini, arrivando ad applicare la tutela reintegratoria ai casi in cui la motivazione del recesso appariva essere chiaramente pretestuosa, ad esempio perché risultavano effettivamente insussistenti le ragioni riorganizzative comportanti la soppressione della posi- zione lavorativa, oppure perché vi era una palese violazione del c.d. obbligo di repêchage, cioè l’obbligo in capo al datore di lavoro di provare l’effettiva impossibilità di ricollocare il lavoratore all’interno dell’organizzazione aziendale in mansioni diverse, anche inferiori.
Secondo la Corte di Cassazione, quindi, nell’ambito del licenziamento economico, il richiamo fatto dal co. 7 dell’art. 18 alla manifesta insussistenza del fatto valeva a circoscrivere la reintegrazione ai vizi più gravi, che investi- vano il nucleo stesso e le connotazioni salienti della scelta imprenditoriale di procedere con il recesso dal rapporto di lavoro, mentre dovevano essere fatte rientrare nella tutela risarcitoria le ipotesi in cui il licenziamento era da considerarsi illegittimo per aspetti che esulavano dal fatto giuridicamente rilevante, inteso in senso stretto, come ad esempio in caso di mancato rispetto dei criteri di buona fede e di correttezza nella scelta del lavoratore da licenziare, quando egli apparteneva a personale omogeneo e fungibile (cfr. ad es. Cass., sent. n. 13643 del 19.05.2021).
A seguito dell’intervento della Corte Costituzionale in commento e della conseguente abrogazione del concetto di manifesta insussistenza del fatto posto alla base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, le decisioni dei Tribunali di merito e della stessa Corte di Cassazione hanno effettivamente confermato la tendenza che era stata prevista dai commentatori e dagli operatori del diritto, cioè il sostanziale consolidamento della tutela reintegratoria e la sua applicazione a tutti i casi di semplice insussistenza dei motivi posti a fondamento del licenziamento, comprensivi della quasi totalità dei casi di violazione dell’obbligo di repêchage, relegando la tutela risarcitoria a casi meramente residuali.
Con la recentissima ordinanza n. 3437 del 3 febbraio 2023, tuttavia, la Corte di Cassazione ha ulteriormente irrigidito la propria posizione, dando un’interpretazione della nuova formulazione del co. 7 dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori che tende a ricomprendere nella tutela reintegratoria anche fattispecie che, secondo i principi fissati precedentemente alla sentenza della Corte Costituzionale n. 125/2022, erano considerate come estranee rispetto al concetto di sussistenza/insussistenza del fatto posto alla base del recesso, quali la sopra richiamata violazione dei criteri di buona fede e di correttezza nella scelta del lavoratore da licenziare.
Lo spunto per giungere a tale interpretazione è stato fornito alla Corte di Cassazione da un ricorso di una società avverso una sentenza di secondo grado con cui la Corte d’Appello di Napoli aveva confermato l’illegittimità di un licenziamento collettivo intimato ad un lavoratore e ne aveva confermato la reintegra per violazione dei criteri di scelta di cui all’art. 5, l. n. 223/1991, ritenendo contestualmente in- fondata la questione di legittimità costituzionale prospettata dalla stessa datrice di lavoro con riguardo al diverso regime sanzionatorio conseguente ai criteri di scelta nell’ambito dei licenziamenti collettivi e dei licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo.
Secondo la tesi dell’azienda, infatti, non era da considerarsi giustificato il diverso regime sanzionatorio riservato, in caso di violazione dei criteri di scelta dei lavoratori, ai licenziamenti collettivi, per i quali l’art. 5, co. 3 della L. n. 223/1991 prevede espressamente l’applicazione della tutela reintegratoria di cui al co. 4 dell’art. 18 Statuto Lavoratori, e ai licenziamenti individuali plurimi per giustificato motivo oggettivo, rispetto ai quali, come visto, la pacifica interpretazione giurisprudenziale riteneva applicabile la mera tutela risarcitoria in caso di violazione dei criteri di buona fede e di correttezza nella scelta dei lavoratori da licenziare in caso di mansioni fungibili.
Ebbene, con l’ordinanza n. 3437/2023 in commento la Corte di Cassazione ha ribadito l’in- fondatezza della questione di legittimità costituzionale prospettata per varie ragioni, tra le quali la più rilevante appare proprio il richiamo alla sentenza della Corte Costituzionale n. 125/2022.
Secondo la Suprema Corte, infatti, tale sentenza, dichiarando l’illegittimità costituzionale della distinzione tra insussistenza e manifesta insussistenza del fatto posto alla base dei licenziamenti economici, avrebbe determinato l’applicazione della sanzione reintegratoria anche nelle fattispecie che dapprima erano state escluse dall’ambito dell’insussistenza del fatto, come appunto le ipotesi di violazione dei criteri di buona fede e correttezza nella scelta tra lavoratori adibiti allo svolgimento di mansioni fungibili, con conseguente parificazione, in caso di violazione dei criteri di scelta, del regi- me sanzionatorio previsto per i licenziamenti collettivi e per i licenziamenti individuali plurimi per giustificato motivo oggettivo.
Insomma, quello che emerge dall’esame degli ultimi orientamenti giurisprudenziali in ambito di licenziamenti per giustificato motivo oggettivo è un ritorno pressoché totale all’applicazione della tutela reintegratoria in caso di licenziamenti per giustificato motivo oggettivo rientranti nell’ambito della tutela reale, con conseguente superamento di fatto della riforma dell’art. 18 che la Legge Fornero aveva provato a suo tempo a porre in essere.