Con le sentenze n. 12 e n. 13 depositate il 7 febbraio 2025, la Corte Costituzionale ha dichiarato ammissibili due quesiti referendari volti a modificare in modo sostanziale il regime delle tutele nei licenziamenti illegittimi. I referendum ammessi riguardano rispettivamente l’abrogazione del D.lgs. n. 23/2015, che ha introdotto il contratto a tutele crescenti, e la rimozione del tetto massimo dell’indennità risarcitoria previsto dall’art. 8 della L. n. 604/1966 per le piccole imprese in caso di licenziamento illegittimo. Contestualmente, la Corte ha depositato altre due decisioni di rilievo: la sentenza n. 14/2025, che ha dichiarato ammissibile il referendum sulla modifica della disciplina dei contratti a termine, incidendo sulle disposizioni in materia di durata massima, proroghe e condizioni per i rinnovi; e la sentenza n. 15/2025, che riguarda l’abrogazione della limitazione della responsabilità solidale del committente, dell’appaltatore e del subappaltatore per i rischi specifici legati all’attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici. Tali referendum, se approvati, potrebbero ridisegnare aspetti centrali del diritto del lavoro italiano, in un contesto di crescente tensione tra esigenze di flessibilità e garanzie per i lavoratori. Tra i quattro quesiti ammessi, quelli relativi alle tutele contro i licenziamenti illegittimi rappresentano senza dubbio l’intervento di maggiore impatto sul sistema giuslavoristico. L’eventuale esito abrogativo di questi referendum segnerebbe una netta discontinuità rispetto agli equilibri normativi faticosamente costruiti negli ultimi anni, riaprendo scenari di profonda incertezza per imprese e lavoratori. Questo contributo si propone di esaminare le motivazioni alla base delle decisioni della Corte Costituzionale e di valutare le possibili implicazioni per il mercato del lavoro, con particolare attenzione alle conseguenze pratiche per aziende e lavoratori nel caso in cui i referendum venissero approvati.
IL REFERENDUM SULL’ABROGAZIONE DEL D.LGS. N. 23/2015 (TUTELE CRESCENTI)
La sentenza n. 12/2025 della Corte Costituzionale ha dichiarato ammissibile il quesito referendario volto all’abrogazione totale del D.lgs. n. 23/2015, che disciplina il contratto a tutele crescenti per i lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato dal 7 marzo 2015. Tale normativa, introdotta nel quadro del Jobs Act, ha modificato il regime sanzionatorio dei licenziamenti illegittimi, riducendo la tutela reintegratoria ai soli casi di licenziamento nullo e discriminatorio e limitandola, con criteri restrittivi, a specifiche ipotesi di licenziamento disciplinare ingiustificato. Secondo i promotori del quesito referendario, l’abrogazione del D.lgs. n. 23/2015 eliminerebbe una disparità di trattamento tra lavoratori assunti prima e dopo la riforma, riportando uniformità nel regime sanzionatorio dei licenziamenti. L’eventuale abrogazione del D.lgs. n. 23/2015 determinerebbe quindi il ritorno alla disciplina dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, estendendo la tutela reintegratoria anche ai lavoratori assunti dopo il 2015. A questo proposito, va rilevato che la proposta di abrogazione del contratto a tutele crescenti si colloca all’interno di un processo più ampio e graduale di erosione della disciplina introdotta nel 2015. Il sistema delineato dal Jobs Act, infatti, ha subito nel tempo una serie di interventi correttivi da parte della Corte Costituzionale che ne hanno progressivamente ridimensionato la portata: dalla sentenza n. 194/2018, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del meccanismo rigido di calcolo dell’indennità risarcitoria, fino alla recente sentenza n. 128/2024, che ha ampliato l’ambito di applicazione della tutela reintegratoria nei casi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, il percorso della Consulta ha progressivamente smantellato il principio di certezza del costo del licenziamento, su cui si basava il D.lgs. n. 23/2015. Questo referendum, quindi, rappresenta l’ultimo passo di un processo che ha condotto alla graduale eliminazione delle tutele crescenti, un modello che, pur con limiti e criticità, aveva provato a dare un impulso al mondo del lavoro con un sistema di tutele certe nella loro determinazione e calibrate sull’anzianità del lavoratore.
IL REFERENDUM SULL’ABROGAZIONE DEL LIMITE MASSIMO DELL’INDENNITÀ RISARCITORIA PER LE PICCOLE IMPRESE
La sentenza n. 13/2025 ha ammesso il quesito referendario volto alla modifica dell’art. 8 della L. n. 604/1966, che disciplina il risarcimento dovuto dal datore di lavoro in caso di licenziamento illegittimo nelle imprese con meno di 15 dipendenti. Attualmente, l’indennità è compresa tra un minimo di 2,5 e un massimo di 6 mensilità della retribuzione globale, con possibilità di incremento fino a 10 o 14 mensilità per i lavoratori con elevata anzianità aziendale. L’eventuale abrogazione di tale limite costituirebbe una decisione storica, in quanto eliminerebbe un caposaldo normativo che resiste dal 1966. L’impatto sarebbe significativo: i giudici avrebbero la facoltà di determinare l’indennità risarcitoria senza il vincolo di un tetto massimo, con la conseguenza che le imprese di piccole dimensioni, che finora potevano contare su un margine di prevedibilità nei contenziosi, si troverebbero esposte a risarcimenti potenzialmente più elevati. La Corte Costituzionale, nella sua pronuncia, ha tuttavia evidenziato che l’abrogazione del limite non significherebbe una totale discrezionalità del giudice. Quest’ultimo, infatti, rimarrebbe vincolato all’applicazione dei criteri indicati dallo stesso art. 8 della L. n. 604/1966, tra cui il numero dei dipendenti occupati, le dimensioni dell’impresa, l’anzianità di servizio del prestatore di lavoro, il comportamento delle parti e le condizioni economiche del lavoratore. Secondo la Corte, tali parametri costituirebbero una garanzia di equilibrio nella determinazione dell’indennità, evitando soluzioni arbitrarie e garantendo al contempo un congruo effetto deterrente nei confronti dei licenziamenti illegittimi. Tuttavia, è evidente che l’abrogazione del limite massimo aprirebbe a un’incertezza strutturale nel sistema delle piccole imprese, aumentando il rischio economico connesso ai contenziosi. Mentre oggi i datori di lavoro possono quantificare con relativa certezza il costo di un eventuale licenziamento illegittimo, con l’eliminazione del tetto massimo l’esposizione economica diverrebbe più variabile e potenzialmente più onerosa, con possibili ricadute sulla propensione all’assunzione.
LE IMPLICAZIONI PER IL MERCATO DEL LAVORO
L’ammissione dei due referendum in esame apre a scenari di notevole impatto sul mercato del lavoro. Il superamento delle tutele crescenti comporterebbe una minore prevedibilità per le imprese, che potrebbero trovarsi a fronteggiare un aumento del contenzioso e delle relative conseguenze economiche. Proprio per queste ragioni, la reintroduzione della tutela reintegratoria generalizzata potrebbe influenzare negativamente la propensione all’assunzione a tempo indeterminato. Per quanto riguarda le piccole imprese, l’assenza di un tetto massimo per l’indennità risarcitoria potrebbe tradursi in un disincentivo alle nuove assunzioni e in una maggiore rigidità nella gestione dei rapporti di lavoro. Se quindi da un lato la misura è volta a rafforzare la tutela del lavoratore, dall’altro pone interrogativi sul bilanciamento tra protezione e sostenibilità economica per le aziende di minori dimensioni. Ad ogni modo, le sentenze della Corte Costituzionale confermano la centralità del dibattito sulle tutele del lavoro e sul bilanciamento tra flessibilità e garanzie per i lavoratori. Se da un lato le proposte referendarie mirano a rafforzare la tutela dei lavoratori, dall’altro pongono legittimi interrogativi sugli effetti per il mercato del lavoro e la competitività delle imprese. D’altra parte la contrapposizione tra stabilità occupazionale e flessibilità gestionale rappresenta una delle questioni più complesse e dibattute del diritto del lavoro italiano. Spesso, il confronto su questo tema si sviluppa su basi ideologiche, trascurando le effettive criticità e le esigenze concrete del mercato. In questo scenario, il referendum offrirà agli elettori la possibilità di scegliere tra un ritorno alle garanzie tradizionali dell’art. 18 e il mantenimento di un sistema più orientato alla certezza e alla prevedibilità dei costi per le imprese. Qualunque sia l’esito, sarebbe auspicabile un approccio scevro da rigidità ideologiche, volto a individuare un equilibrio sostenibile tra i diritti dei lavoratori e le necessità delle aziende.