Le iniziative sociali dei Consulenti del Lavoro in Lombardia – UN CONVEGNO DEDICATO AL RUOLO SOCIALE DELLA PROFESSIONE

A cura della Redazione,

Contenuto dell'articolo

Potito di Nunzio, Presidente dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro di Milano e Coordinatore della Consulta dei CPO della Lombardia, ha aperto i lavori sottolineando come la categoria abbia voluto superare i confini tradizionali della professione. “La sensibilità che il Consulente del Lavoro ha nell’introdursi nel tessuto sociale ed economico del Paese non è soltanto quello di aiutare le imprese e i lavoratori, ma anche di dare aiuto ai bisognosi”, ha dichiarato di Nunzio.

La scelta di presentare i progetti lombardi nasce dalla volontà di mostrare come sia possibile fare tanto investendo principalmente tempo e competenze professionali al servizio della comunità. Durante l’incontro, tutte le province lombarde hanno esposto la loro attività sia nel campo delle pari opportunità che del reinserimento dei carcerati, dei più deboli e svantaggiati, oltre alla predisposizione di progetti a favore delle donne vittime di violenza di genere e dei giovani ancora impegnati nel ciclo scolastico o che stanno per affacciarsi al mondo del lavoro.

Tutti i progetti presentati condividono elementi comuni: continuità temporale – non iniziative estemporanee ma impegni di lungo periodo -, collaborazione istituzionale – coinvolgimento di enti pubblici, privato sociale e categoria professionale -, focus sulla dignità – il lavoro come strumento di riscatto sociale, non mero assistenzialismo -, approccio sistemico – interventi che agiscono su più livelli come formazione, inserimento e tutele -, e misurazione dell’impatto – attenzione ai risultati concreti e alla replicabilità -.

Ogni provincia ha sviluppato la propria risposta alle fragilità del territorio, dimostrando come la professione del consulente del lavoro possa essere veicolo di trasformazione sociale positiva, andando oltre il ruolo tecnico tradizionale per abbracciare una missione più ampia di costruzione di una società più inclusiva e giusta.

BRESCIA – LE CLINICHE DEL LAVORO: FORMAZIONE UNIVERSITARIA E REINSERIMENTO CARCERARIO

La provincia di Brescia ha sviluppato un’iniziativa pluriennale attraverso le “Cliniche del lavoro” che si sostanzia in un insegnamento pratico all’interno del corso di laurea triennale in Consulenza del Lavoro attivo da tantissimi anni a Brescia. Gianluigi Moretti, Presidente CPO Brescia, ha sottolineato come questo rappresenti un modello di co-docenza innovativo che combina docenti universitari e professionisti attivi, offrendo agli studenti confronto con casi reali di consulenza del lavoro su temi di particolare rilevanza sociale. Questo approccio forma consulenti tecnicamente preparati ma anche socialmente consapevoli.

Matteo Bodei, Segretario CPO Brescia e co-docente da nove anni, ha sottolineato un principio fondamentale del progetto carcerario: la grande sfida consiste nel prendersi l’impegno di portare avanti un progetto che deve durare finché non si estingue il bisogno, e il bisogno non si estingue.

La continuità è cruciale per evitare quello che Bodei definisce il rischio peggiore: “Illudere una categoria fragile di essere al loro fianco e poi abbandonarla perché magari passa l’entusiasmo”. Per questo ogni anno un gruppo di studenti si dedica specificatamente al tema carcerario, garantendo presenza costante e costruendo relazioni durature.

Il progetto si articola in tre aree di intervento principali. La prima riguarda la protezione del posto di lavoro esterno: facendo alfabetizzazione (anche) del personale all’interno del carcere che, spesso con l’avvocato, restano le uniche figure a fianco del detenuto sovente abbandonato dalla famiglia, dagli amici.

È stato, pertanto, preparato un vademecum per i detenuti all’ingresso che spiega come “mantenere vivo il posto di lavoro” illustrando come presentare al datore di lavoro richieste di aspettativa.

La seconda area è l’alfabetizzazione sui diritti del lavoro carcerario: gli studenti hanno sviluppato un vero e proprio percorso informativo (che non può essere svolto direttamente negli istituti penitenziari – per motivi facilmente intuibili) – che si sostanzia in un piccolo libricino che spiega i diritti del lavoro carcerario.

Questo include sia il lavoro intramurario, che può riguardare le mansioni base fino a coprire attività più qualificate, sia il lavoro extramurario.

La terza area è la partnership con cooperative sociali: i Consulenti del lavoro hanno messo a punto, con gli istituti, un protocollo facsimile da dare alle cooperative sociali per instaurare un rapporto con l’istituto penitenziario cercando di supportare le cooperative sul tema degli sgravi.

Non tutte le cooperative sociali di tipo B sono abituate a trattare il tema della detenzione in quanto, spesso, sono in contatto con altri tipi di fragilità e vanno di conseguenza supportate.

Come evidenziato durante la presentazione, attraverso il lavoro, il detenuto riacquista dignità e responsabilità, riscopre un ruolo nella società, avvia un percorso reale di rieducazione e reintegrazione. Non si deve identificare la persona con il reato, ma occorre rispettare sempre la persona, che viene prima di tutto, anche e soprattutto con le sue fragilità e criticità.

Di rilievo il ruolo che rivestono in questo processo i Consulenti del lavoro che hanno saputo coinvolgere sia le istituzioni carcerarie che le istituzioni scolastiche, segnatamente le università che hanno una forte vocazione e una missione per il sociale.

Da sinistra: Matteo Bodei, Michele Frattini, Gianluigi Moretti, Marisa Manzato, Clara Rampollo, Potito di Nunzio, e Luciana Mari.

LECCO – IL PROGETTO CESEA: 25 ANNI DI DIGNITÀ ATTRAVERSO IL LAVORO

La provincia di Lecco ha presentato il Centro di Servizio per l’Autonomia e l’Inclusione (CESEA), un’esperienza pionieristica avviata nel 1999 che rappresenta un modello virtuoso di collaborazione pubblico-privato. Matteo Dell’Era, Presidente dell’Ordine di Lecco, e Salvatore Rossi di CESEA hanno illustrato un progetto che si rivolge agli “ultimi degli ultimi, coloro i quali veramente hanno perso qualsiasi tipo di aggancio o qualsiasi tipo di possibilità di essere inseriti in circoli virtuosi nel percorso lavorativo”, compresi i percorsi di riqualificazione.

CESEA nasce da un’intuizione semplice ma rivoluzionaria: “Se tu amministrazione pubblica hai sul tuo comune una o due delle persone che hanno queste caratteristiche, che non sono evidentemente inseribili o subito inseribili nel mondo del lavoro e alle quali però tu comunque devi pagare la bolletta, l’affitto, la spesa alimentare, fermati, inseriamoli in un progetto di pubblica utilità”, spiega Salvatore Rossi, coordinatore del servizio da 12 anni. Il centro coinvolge persone, segnalate dal servizio sociale, in attività utili alla comunità: manutenzione delle aree verdi pubbliche, servizio di lavanderia industriale per asili e case di riposo, servizio di tinteggiatura e traslochi per famiglie che non potrebbero permetterselo, e una officina meccanica interna per la manutenzione dei mezzi del centro.

Nel corso dell’incontro è stato proiettato un video documentario del 2019 che ha mostrato storie di successo concrete: il progetto può contare su donatori privati e grandi aziende, dimostrando come la comunità abbia creduto in questa filosofia. È un servizio di titolarità pubblica del Comune di Lecco come ente capofila di tutti gli 80 comuni della provincia, gestito operativamente da Caritas Ambrosiana.

L’approccio retributivo è innovativo: “Il compenso economico che viene erogato tutti i mesi alla fine del mese successivo, è un contributo economico sulla base delle esigenze di vita della persona, non è sulla produttività”, chiarisce Rossi. Questo sistema si basa sui diritti di civiltà: “Cibo, salute e abitazione spettano in quanto diritti di civiltà inalienabili a ciascun uomo e a ciascuna donna”.

Il principale ostacolo alla replicabilità è l’inquadramento giuridico: “Il profilo socio-occupazionale non è inquadrato da nessun punto di vista giuslavoristico”, evidenzia Rossi. Questo crea una “zona grigia” senza tutele previdenziali, infortunistiche o di altro tipo, che comporta anche rischi per i promotori, che viene affrontata a livello locale ma che necessiterebbe di un supporto normativo nazionale.

Pertanto, per risolvere il problema, con il supporto dell’istituto di ricerca Eurixe che ha validato scientificamente l’esperienza CESEA, è stata elaborata una proposta di modifica normativa articolata: inserimento di una norma nel D.l. n. 48/2023 (c.d. Decreto Lavoro), che riconosce e disciplina i percorsi socio-occupazionali a carattere pubblico senza configurarli come rapporto di lavoro. Il testo prevede un decreto attuativo che tipizza i centri socio-occupazionali come CESEA, definisce soggetti beneficiari e promotori, chiarisce responsabilità giuridiche e limiti operativi, e istituisce strumenti di monitoraggio e rendicontazione.

Da sinistra, Matteo Dell’Era, Presidente CPO Lecco, al centro, Potito di Nunzio, Presidente CPO Milano e Coordinatore della Consulta dei CPO della Lombardia e Salvatore Rossi di CESEA.

MILANO – LA VISIONE DELLA LOMBARDIA

La Commissione Consulenti del Lavoro per il Sociale di Milano

Il cuore dell’iniziativa milanese è rappresentato dalla Commissione Consulenti del Lavoro per il Sociale, coordinata da Luciana Mari, Consigliera del Consiglio provinciale di Milano, attiva da diversi anni sul territorio. La Commissione ha sviluppato un approccio multidisciplinare che tocca diversi ambiti dell’inclusione sociale e lavorativa.

Durante l’incontro è stato proiettato un video di 120 secondi che descrive le attività e il sentiment che anima tutte le attività della Commissione (clicca qui per il video).

“120 secondi che raccontano le emozioni che viviamo. Un’emozione perché è un’attività in cui noi crediamo molto”, ha dichiarato Luciana Mari presentando il lavoro della Commissione.

Protocolli per le Pari Opportunità

Il primo pilastro dell’attività è il protocollo sottoscritto con la Consigliera di Parità di Regione Lombardia, finalizzato a eliminare ogni forma di discriminazione di genere e valorizzare il ruolo genitoriale sui luoghi di lavoro. Un’iniziativa che ha visto protagonista non solo Milano, ma l’intera Consulta regionale che oggi rappresenta tutto quello che viene fatto nel sociale in Lombardia.

“Pari opportunità per che cosa? Per garantire parità di genere nei luoghi di lavoro e quindi sensibilizzare facendo cultura di che cosa significa la parità”, spiega Luciana Mari. “Non si tratta solo di dire donna-uomo, ma di dare valore a quello che sono le persone e quello che riescono a fare nell’ambito lavorativo. Quindi se c’è valore, occorre riconoscere valore, dare valore ed avere un’opportunità”. La coordinatrice sottolinea l’importanza di costruire una cultura delle pari opportunità attraverso azioni concrete di sensibilizzazione: non si tratta di applicare semplicemente delle norme, ma di trasformare la mentalità e creare una consapevolezza diffusa. È un obiettivo che presuppone un vero e proprio cambiamento culturale se si vuole realmente educare e sensibilizzare tutti gli attori del mondo del lavoro.

Il Progetto “Diamo Lavoro”

Particolarmente significativo è il protocollo stipulato con Caritas Ambrosiana e Inps per la valorizzazione del progetto “Diamo lavoro”. Si tratta di un’alleanza strategica a tre che si sta evolvendo verso una dimensione regionale: “La prima versione del protocollo si estenderà anche in questo caso alle province della Lombardia”, spiega Luciana Mari, delineando un futuro di espansione dell’iniziativa su tutto il territorio lombardo.

Il meccanismo prevede ruoli ben definiti per ciascun partner: i consulenti del lavoro facilitano l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, l’Inps interviene per definire quello che è il profilo potenzialmente contributivo – “verificare se qualche persona può essere portatrice o beneficiare di qualche agevolazione”, precisa Luciana Mari – mentre Caritas garantisce un tutoraggio costante per le persone in difficoltà. Un sistema che coinvolgerà progressivamente, come detto, l’intera Consulta regionale, estendendo il modello milanese a tutta la Lombardia attraverso la collaborazione strutturata con Inps e Caritas Ambrosiana.

“La diffidenza nel mondo del lavoro esiste”, ammette Luciana Mari, aggiungendo che può non essere agevole accogliere all’interno della propria realtà lavorativa un lavoratore che ha delle fragilità o ha un passato non semplice, e quindi Caritas garantisce per questa persona e fa sì che ci sia un tutoraggio costante. Il meccanismo funziona: “Il progetto “Diamo lavoro” fa incontrare la domanda e l’offerta e quindi il ruolo del consulente del lavoro in questo caso è anche conoscitivo e di sensibilizzazione all’interno delle nostre aziende”.

I risultati del primo anno sono incoraggianti: circa 30 matching sono stati realizzati, traducendosi in altrettanti posti di lavoro garantiti a persone che avevano difficoltà di reinserimento nel mondo del lavoro.

L’impegno sul territorio: da Comunità Nuova al Carcere

Il Segretariato Sociale

L’attività si estende anche a Comunità Nuova, la realtà fondata da Don Gino Rigoldi, cappellano del carcere Beccaria. Qui i consulenti partecipano al segretariato sociale, un gruppo di educatori volontari che si occupa di ascoltare le persone e fornire aiuto nelle situazioni più semplici ma fondamentali. L’approccio è quello dell’ascolto attivo e del supporto concreto: dalla compilazione dell’ISEE al download del registro elettronico, dalla lettura dei contratti di lavoro alla creazione del curriculum.

“È un gruppo di educatori volontari che si occupa di ascoltare le persone e fornire loro quello che è l’aiuto in tutte le cose più semplici”, spiega Luciana Mari, sottolineando come spesso siano proprio i bisogni apparentemente più banali a rappresentare barriere significative. Il segretariato sociale rappresenta un punto di riferimento costante per chi si trova in difficoltà, offrendo competenze specialistiche in un contesto di accoglienza e comprensione, dove ogni richiesta di aiuto viene accolta senza giudizio e con la massima disponibilità. Richieste che potrebbero apparire banali, “ma che non per questo non possono trovare una risposta efficace.

“Un Caffè con il Consulente”

Ogni quindici giorni, presso Comunità Nuova, si svolge l’iniziativa “Un caffè con il consulente”, dove i professionisti si mettono a disposizione per aiutare nella stesura dei CV, ma soprattutto per ascoltare e valorizzare le esperienze delle persone. “Li ascoltiamo, quindi li aiutiamo a creare un CV, ma non semplicemente scrivendolo: chiediamo loro chi sono, che esperienze hanno fatto per dare valore alla persona e alle esperienze”, racconta Mari. “E anche in questo caso dire loro che possiedono un valore, che non devono sottovalutare le esperienze che sono estremamente importanti”.

L’attività di Comunità Nuova si estende anche alle “officine del lavoro”, percorsi formativi specializzati che spaziano dal corso HACCP alla sicurezza sui luoghi di lavoro. È proprio in questo contesto che i consulenti del lavoro hanno sviluppato metodologie innovative per raccontare la legalità nel mondo del lavoro.

L’innovazione didattica: il Labour Game

La mission della Commissione si concretizza attraverso strumenti innovativi che coniugano efficacia formativa e accessibilità. Come spiega Luciana Mari: “Ci crediamo molto perché raccontano quella che è la nostra visione, la nostra missione, dove siamo andati a coprire una serie di ambiti, per cercare di portare aiuto a più persone possibili”. È in questa ottica che nasce il Labour Game, rappresentando perfettamente l’approccio metodologico della Commissione: rendere comprensibili concetti complessi attraverso modalità innovative e coinvolgenti.

Il metodo di lavoro della Commissione si basa su un principio fondamentale: dare valore alle persone e alle loro esperienze. “Lo ripeto è il senso di tutta la nostra attività”, sottolinea Luciana Mari, “portare valore, far riconoscere valore alle persone ed essere a servizio del prossimo”. Questo approccio si traduce in un’attenzione costante alla dimensione umana, dove ogni intervento mira non solo a fornire competenze tecniche ma soprattutto a restituire dignità e fiducia nelle proprie capacità.

Una delle innovazioni più interessanti è rappresentata, come detto, dal Labour Game, un gioco da tavolo che porta i partecipanti dall’assunzione alla pensione, simulando tutti gli eventi della vita lavorativa: licenziamenti, dimissioni, congedi, fino alla pensione.

Questo strumento innovativo unisce divertimento e formazione, trasformando concetti complessi del diritto del lavoro in un’esperienza ludica e coinvolgente. Il gioco viene utilizzato sia nelle officine del lavoro di Comunità Nuova per i percorsi formativi, sia negli istituti superiori per l’orientamento al lavoro, dimostrando la sua versatilità nell’adattarsi a diversi target e contesti educativi. “Con questa nuova modalità ci hanno richiesto di intervenire nell’officina del lavoro per andare a raccontare in maniera semplice quello che è il mondo del lavoro”, racconta Luciana Mari, evidenziando come l’approccio ludico faciliti la comprensione di tematiche altrimenti considerate aride e complesse.

L’educazione nelle scuole

L’attività nelle scuole superiori ha rivelato stereotipi preoccupanti tra i giovani. “In questo caso non parliamo più di fragilità o difficoltà di inserimento, parliamo di formare e di andare contro quelli che sono gli stereotipi che i giovani purtroppo hanno”, spiega Luciana Mari, evidenziando come l’intervento educativo miri a scardinare convinzioni errate radicate. “A noi è capitato di arrivare in classe e dire “Avete avuto delle esperienze lavorative, estive?” “Sì!” “Bene, com’era il vostro contratto?” “Quale contratto?”, riferisce Luciana Mari. “A noi hanno detto che ai lavoratori minorenni non è possibile stipulare un rapporto di lavoro regolare. Erano convintissimi di questo”, conclude la coordinatrice.

Gli stereotipi emersi rivelano una preoccupante disinformazione sui diritti dei lavoratori minorenni e sulle norme che regolano il lavoro giovanile. “E in questo caso andiamo a formarli ed informarli per il loro primo approccio nel mondo del lavoro: PCTO (Percorsi per le Competenze Trasversali e per l’Orientamento), e poi quello che è eventualmente il loro “lavoretto”, continua Luciana Mari, sottolineando come l’obiettivo sia quello di fornire gli strumenti corretti per affrontare le prime esperienze lavorative con consapevolezza e tutela dei propri diritti”.

L’approccio utilizzato è non convenzionale: dal disegno alla metafora calcistica, cercando di utilizzare la creatività dei ragazzi. “Che cos’è il lavoro per voi?” La maggior parte lo identifica “nel denaro”, ma poi cerchiamo di far capire loro che oltre a questo c’è molto altro, spiega la coordinatrice. “Il rispetto delle regole, il rispetto dei ruoli, il rispetto del luogo di lavoro, che poi è un rispetto che dovrebbero avere anche nella vita di tutti i giorni, anche stando semplicemente in classe. Quindi fondamentalmente cerchiamo di dare loro degli spunti di crescita, di ragionamento, per affrontare al meglio quello che è il loro approccio al mondo del lavoro nei lavoretti estivi o quelli futuri”.

Questi valori non sono confinati al mondo professionale ma devono essere parte integrante della formazione personale dei giovani collegando direttamente l’etica del lavoro con l’educazione civica e il comportamento quotidiano.

Il Progetto Carcerario: “Il carcere, un’opportunità da cogliere”

L’impegno si estende anche all’interno del carcere di Bollate con il progetto “Il carcere, un’opportunità da cogliere”, dove la Commissione collabora con l’associazione MY URBY che si occupa della valorizzazione delle persone. Qui l’approccio è sempre quello della valorizzazione della persona: “È successo qualcosa nel vostro percorso? Va bene, però c’è la volontà di superarlo, di andare oltre”, spiega Luciana Mari. “E quindi questi percorsi che noi facciamo sono percorsi di consapevolezza”.

Il concetto di “valore” rappresenta il filo conduttore di tutto l’intervento carcerario. “Dare valore, riconoscere il vostro valore”, sottolinea Luciana Mari, evidenziando come anche chi ha vissuto esperienze difficili mantenga una dignità e un potenziale da riconoscere e valorizzare. L’approccio non è giudicante ma costruttivo, orientato al futuro e al reinserimento sociale.

I percorsi includono la stesura del curriculum, la preparazione ai colloqui di lavoro, le regole di comportamento e la lettura della busta paga. “Come comportarsi in un colloquio di lavoro, come ti vesti, come ti comporti, la lettura della busta paga. Tutte queste attività per dare – lo ripeto il senso di tutta la nostra attività – portare valore, far riconoscere valore alle persone ed essere a servizio del prossimo”, conclude Luciana Mari.

Il concetto di “valore” che permea ogni attività della Commissione va ben oltre la semplice formazione tecnica. Si tratta di un approccio olistico che mira a restituire autostima e fiducia in sé stessi, aiutando le persone a riconoscere le proprie competenze e potenzialità. Il messaggio costante che viene trasmesso, sia che ci si rivolga a giovani studenti, persone in difficoltà o detenuti, ruota sempre intorno al “valore”. Questo metodo trasforma ogni intervento in un’occasione di crescita personale e di riconquista della dignità, elementi fondamentali per un reale reinserimento nella società e nel mondo del lavoro.

A sinistra, Luciana Mari, Consigliera CPO Milano, a destra, Clara Rampollo, Consulente del Lavoro in Pavia.

PAVIA – PROTOCOLLO CONTRO LA VIOLENZA ECONOMICA: TRE PROGETTI PER L’AUTONOMIA

Il CPO di Pavia ha aderito a un protocollo nato all’interno dell’amministrazione comunale che, come sottolineato da Marisa Manzato, Presidente CPO Pavia, si rivolge a “persone che hanno subito violenza, che non necessariamente deve essere violenza fisica o violenza sessuale, in questo caso è violenza economica”; spesso si tratta di donne che non riescono ad essere autonome. La Presidente Manzato ha evidenziato la trasversalità del fenomeno che abbraccia persone in una fascia di età compresa tra il 25 e i 55 anni, sia italiani che stranieri, con o senza titoli di studio.

Le attività messe in campo hanno nel loro DNA la parola “dignità” che in questo incontro caratterizza tutte le iniziative illustrate e portate avanti nelle varie province.

A seguire, Clara Rampollo, Consigliera Consulente del lavoro in Pavia, ha illustrato come, da fine 2023, si è sviluppata una rete che promuove strategie condivise finalizzate a implementare le opportunità di sviluppo dell’autonomia economica ed abitativa delle donne vittime di violenza.

Sono stati sviluppati in particolare tre progetti principali.

Il Progetto SALE (Sostegno Autonomia Lavorativa Empowerment) è “un programma regionale che permette di intervenire per il sostegno abitativo, per il reinserimento lavorativo e per l’accompagnamento nei percorsi di uscita dalla violenza a favore delle donne vittime di violenza”. I consulenti del lavoro si sono coordinati con i centri di impiego territoriali, poiché il fatto di avere comunque indipendenza economica permette anche ai soggetti vittime di violenza di poter prendere delle decisioni di cambiamento e di uscita da situazioni che sono pesanti e non permettono comunque all’individuo di trovare la propria realizzazione. È stata istituita una cabina di regia territoriale che coordina progetti, risorse e interventi in modo trasversale e continuativo, dimostrando come la collaborazione interistituzionale possa moltiplicare l’efficacia degli interventi.

Si è avvertita, altresì, la necessità di realizzare una Rete multi-agency – secondo progetto – che coinvolge “ben 24 aderenti territoriali” per “creare dei percorsi di inserimento e reinserimento dei soggetti e anche di fare una promozione di informazione, di divulgazione di tutto quello che è una sensibilizzazione dei soggetti, di tutto quello che è la violenza di genere”. La rete comprende diversi aderenti territoriali: oltre al Comune di Pavia e agli ordini professionali include centri antiviolenza di Voghera e Vigevano, centri per l’impiego e altri enti pubblici e privati.

Infine, il progetto “Ricomincio da me”, finanziato da un bando regionale, ha realizzato due strumenti concreti volti alla formazione e alla informazione delle persone: l’opuscolo “Ricominciare” rappresenta “un viaggio verso l’autonomia economica”, nato dalla scoperta di lacune sorprendenti che riguardano le donne. Questa scoperta ha orientato la progettazione degli strumenti informativi – anche attraverso riunioni – verso un approccio che non dà nulla per scontato, partendo dalle competenze più basilari per l’autonomia economica. L’assistenza a chi cerca lavoro riguarda anche più da vicino la gestione dei rapporti di lavoro coinvolgendo direttamente sia i Centri per l’Impiego che i Consulenti del lavoro.

Altro strumento che è stato realizzato è la cartolina “Ricomincio da casa” che ha permesso di collegarsi “con le agenzie immobiliari del territoriale locale proprio per mettere a disposizione le risorse abitative disponibili ma che non erano abitate”; tanti locali, che erano a disposizione, avevano bisogno di piccoli interventi per essere disponibili e sono stati dati a prezzi modici a persone che cercavano “un rifugio rispetto a situazioni familiari pericolose”.

VARESE – IL PROTOCOLLO CARCERI: DALLA FORMALITÀ ALLA CONCRETEZZA

Michele Frattini, Presidente CPO di Varese, ha presentato un’iniziativa “ancora in fase embrionale” che si sostanzia in un protocollo d’intesa sottoscritto con la Prefettura. Il protocollo rappresenta un modello di governance multilivello che coinvolge Prefettura di Varese (coordinamento istituzionale), amministrazione penitenziaria (gestione operativa), magistratura di sorveglianza (aspetti giuridici), associazioni di categoria e sindacati (rappresentanza del mondo produttivo), e ordini professionali, in primis i Consulenti del lavoro (competenze tecniche specialistiche). “Non è solo un atto formale, ma l’obiettivo è quello di avere una dichiarazione di volontà condivisa” per realizzare percorsi personalizzati di formazione e inserimento lavorativo, già messi in atto per alcune aziende.

Il principale ostacolo identificato è culturale: si riscontra una certa resistenza verso l’accoglienza e l’apertura a progetti inclusivi nei confronti di soggetti con un passato “difficile” che li ha portati nelle carceri.

Frattini ha sottolineato che l’obiettivo principale sarà quello di sensibilizzare le aziende medio-piccole, perché quelle grandi in diversi casi hanno già un approccio diverso rispetto a questo aspetto sociale. Il ruolo del consulente del lavoro viene ridefinito: non deve essere solo un ruolo tecnico, che potrebbe essere quello di mediazione, quindi gestione del capitale umano, di applicazione in una consulenza normativa-amministrativa e di cura di gestione del rapporto una volta che si è instaurato. I Consulenti del lavoro dovrebbero, come detto, promuovere e sensibilizzare proprio il tessuto imprenditoriale.

I consulenti del lavoro hanno l’opportunità di avere contatti con datori di lavoro di qualsiasi dimensione, rappresentando quindi il canale privilegiato per raggiungere (anche) le PMI del territorio e “saldare” aziende e territorio.

Con il protocollo è stato fatto un passo avanti, ma ora serve la “messa a terra” delle buone intenzioni!

Un elemento centrale del progetto passa per la valorizzazione della Legge n. 193/2000 (Legge Smuraglia), che prevede agevolazioni contributive e fiscali per l’assunzione di detenuti ed ex detenuti. La legge rappresenta “uno strumento cruciale, ma forse poco conosciuto”, che potrebbe trasformare significativamente il panorama dell’inclusione lavorativa se adeguatamente promossa e applicata. I Consulenti del lavoro dovrebbero iniziare a sensibilizzare le aziende e il territorio sulle opportunità offerte dalla legge in un’ottica di legalità.

L’impatto sociale documentato da un’indagine ISTAT chiarisce l’importanza: “C’è una recidiva dal 70% al 2% al reintegro dei lavoratori detenuti rispetto a quelli non reintegrati al lavoro. Quindi il lavoro diventa un’opportunità valida, da un punto di vista sociale, per ridurre il grave fattore dell’impatto delle detenzioni legate a reati commessi”, e quindi lavoro come strumento di emancipazione e “riparazione sociale”.

Un ponte tra un passato difficile e un futuro possibile per queste persone che sono comunque oramai emarginate, anche una volta uscite dal carcere (con una ricaduta nella illegalità).

Un insight importante emerso dall’esperienza è il valore della mediazione istituzionale: quando è il singolo ex detenuto a proporsi direttamente a un’azienda, il peso dello stigma è spesso insormontabile. Quando invece è una cooperativa sociale a mediare, “cambia tutto: l’interlocutore non è più il “detenuto”, ma un partner sociale; viene offerta una garanzia organizzativa, di continuità e credibilità; si crea una relazione impresa-impresa, più rassicurante e concreta”. Frattini ha proposto un approccio innovativo di collaborazione interprovinciale per cercare di mettere in atto delle buone prassi che potrebbero essere utilizzate in tutti i territori, riconoscendo che l’esperienza di Varese può beneficiare del confronto con realtà più avanzate come Brescia e Lecco.

A sinistra, Michele Frattini, Presidente CPO Varese e Potito di Nunzio, Presidente CPO Milano e Coordinatore della Consulta dei CPO della Lombardia.

UNA PROFESSIONE AL SERVIZIO DELLA SOCIETÀ

L’esperienza lombarda rappresenta un modello di come la professione dei consulenti del lavoro possa evolversi verso una dimensione più ampia di responsabilità sociale. Il Presidente di Nunzio sottolinea come il ruolo dei Consulenti del lavoro nella società debba essere quello di “coordinatori” per mettere insieme le varie forze che ci sono intorno ai professionisti che possono fare da “ponte” tra datori di lavoro e soggetti, come ad esempio, la Caritas che accoglie in sè i “fragili”.

Questa visione si traduce in una scelta controcorrente rispetto alle tendenze attuali: “Stiamo vivendo un periodo in cui le politiche DEI di alcune aziende – soprattutto le multinazionali americane – sono state abbandonate. Noi non ci fermiamo, noi andiamo avanti in questi progetti perché riteniamo che la dignità deve essere portata insieme alla legalità, in ogni contesto e non solo lavorativo”.

Un impegno che dimostra come la categoria dei Consulenti del lavoro lombardi stia contribuendo concretamente alla costruzione di una società più inclusiva e giusta, trasformando la propria professionalità in uno strumento di coesione sociale e di sostegno ai più vulnerabili.

Per la registrazione integrale dell’evento clicca qui

Scarica il file

Scarica l'articolo (PDF)