LAVORO DELLE DONNE IN AGRICOLTURA: un nuovo e più approfondito approccio nella valutazione del rischio*

Luca di Sevo, Consulente del Lavoro in Bollate (MI)

A. Staffieri affronta il tema del lavoro femminile nel settore agricolo

L’ Autrice, partendo dal settore agricolo che si è sempre rivelato uno dei principali settori di impiego delle donne, analizza alcuni aspetti utili, in particolare, nella gestione degli adempimenti sulla sicurezza e si concentra sulla possibile differenziazione in base ai generi. Il divario di genere nel settore agricolo è molto ampio soprattutto nelle zone rurali e con riferimento ai ruoli apicali e decisionali. Le ragioni di tale disuguaglianza sono principalmente culturali e molto spesso discriminatorie. La prima forma di discriminazione riguarda l’“accesso alla terra” (in termini di proprietà). La seconda forma di discriminazione riguarda l’“accesso al credito”. Questa disparità di genere cresce se si analizzano le condizioni di lavoro. Soprattutto al Sud, si verificano situazioni di turni pesantissimi ed in condizioni igieniche pessime. Inoltre emerge che:

• si fa un ricorso limitato alla formazione;

• la quota dei contratti a termine è decisamente superiore rispetto agli altri settori;

• la retribuzione media mensile è inferiore rispetto agli uomini, per via della “maggiore pesantezza” del lavoro assegnato agli uomini;

• le donne non sono rappresentate adeguatamente negli organi decisionali;

• spesso le donne subiscono abusi, violenze e molestie nei luoghi di lavoro, con notevole utilizzo di minaccia di licenziamento o di demansionamento, per scoraggiare la denuncia;

• è presente una forte “etnicizzazione” del lavoro agricolo, a causa della massiccia presenza di manodopera straniera.

L’Autrice suggerisce che in un contesto così complesso, un ruolo fondamentale può essere svolto dalle azioni di prevenzione e di informazione ma al contempo, considerando tale approccio non sufficiente, suggerisce un nuovo approccio “integrato” nell’elaborazione della valutazione del rischio, attento all’analisi dello stress correlato al lavoro, al rischio molestie nei luoghi di lavoro ed alle differenze di genere. Ci ricorda l’Autrice che la valutazione dello stress lavoro correlato si articola in due fasi:

• la valutazione preliminare;

• la valutazione approfondita. Nella prima si procede all’analisi degli “eventi sentinella” per l’individuazione della presenza dello stress correlato al lavoro, alla rilevazione degli indicatori che influenzano lo stress correlato al lavoro (ad es. i carichi di lavoro, turni, ecc.) e di indicatori di contesto del lavoro in cui il dipendente opera, come ad esempio l’autonomia decisionale del dipendente, il controllo, ecc.

 L’esito negativo dell’analisi determina la registrazione nel DVR con la previsione di un piano di monitoraggio. In caso di esito positivo (rilevata la presenza, in uno o più gruppi, di una condizione di rischio da stress correlato al lavoro) si procede alla pianificazione e adozione di interventi correttivi. Il datore di lavoro però deve valutare anche il rischio molestie nell’ambito del DVR tra i c.d. “rischi psico-sociali” (D.lgs. n. 106/2019 ad integrazione del D.lgs. n. 81/2008). Si deve considerare il “rischio trasversale”, ovvero un rischio non direttamente legato alla sicurezza o alla salute dei dipendenti, ma connesso in modo trasversale al benessere organizzativo ed alla salute psico-fisica dei lavoratori. Si cerca di verificare violenze di origine “interna” (minacce, mobbing o altri atti violenti effettuati all’interno dell’organizzazione da parte di colleghi o dirigenti) e violenze di origine “esterna” (clienti, fornitori, appaltatori, ecc.). Per intercettare i comportamenti molesti è opportuno utilizzare un canale di segnalazione, come prevede il “whistleblowing”; al contempo può essere utile organizzare incontri di sensibilizzazione, informazione, formazione e comunicazione sul tema delle molestie sul lavoro. Non da ultimo, anche un’analisi del benessere organizzativo all’interno delle aziende può aiutare ad individuare eventuali comportamenti da debellare. Al fine di creare un ambiente di lavoro accogliente e sereno, suggerisce l’Autrice, è necessario un approccio «attento alla “soggettività”, che tenga conto anche delle peculiarità femminili, così come richiesto dalla normativa vigente». La valutazione dei rischi non può non considerare le differenze biologiche tra i due sessi e deve considerare che la vulnerabilità cambia con l’età e ciò avviene in modo diverso per i due sessi. Spesso ci si dimentica un aspetto pratico inerente i DPI. L’Autrice ci fa notare che le valutazioni esposte vanno tenute in considerazione anche nella scelta dei dispositivi di protezione individuali (DPI); ad esempio, non è detto che il dispositivo di protezione individuale di taglio maschile diventi adatto anche per una donna, semplicemente prendendolo di una taglia più piccola. È necessario individuare DPI progettati considerando le peculiarità femminili. In ultima analisi viene suggerito che è necessario “esaminare anche le differenze di genere, vale a dire quelle di natura sociale che, direttamente o indirettamente, possono avere un’influenza sull’esposizione ai rischi lavorativi”, che comportano esposizioni differenti al rischio tra i generi. In conclusione, l’Autrice rimarca la necessità di formulare valutazioni oggettive in capo ai rischi, basandosi su dati concreti e non su percezioni soggettive o addirittura dettate da stereotipi. L’articolo si chiude con il seguente invito: “in definitiva la valutazione deve essere cucita sulle caratteristiche specifiche di ogni lavoratrice”.

* Sintesi dell’articolo pubblicato in D&PL, 9/2024, pag. 575 dal titolo Lavoro delle donne in agricoltura: contrasto allo sfruttamento, sicurezza e incentivi.


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