LAVORATORI NO-VAX E SOSPENSIONE DAL SERVIZIO: IN CASO DI DIMISSIONI, IL PREAVVISO È DOVUTO

Nicola Spadafora e Lorenzo Maratea, Avvocati in Milano

In margine a Tribunale di Pesaro, Sezione Lavoro 28 giugno 2023 

La Sezione Lavoro del Tribunale di Pesaro si è pronunciata sul caso di una lavoratrice (attiva in ambito sanitario) che, subito dopo essere stata sospesa dal servizio in applicazione delle norme poste dal Decreto legge 1° aprile 2021, n. 44, ha rassegnato, senza preavviso, le sue dimissioni dal rapporto, vedendosi applicare, da parte del datore di lavoro, la conseguente trattenuta del valore dell’indennità sostitutiva del preavviso dalle competenze di fine rapporto. Il Tribunale marchigiano ha disatteso la domanda della lavoratrice chiarendo che l’obbligo di preavviso, in caso di dimissioni, ha valenza generale e che il ricorrere della giusta causa costituisce l’unica effettiva ipotesi in deroga (art. 2119 c.c.).

Del resto, il chiaro disposto codicistico non ha mai dato luogo a particolari dubbi interpretativi: la costante giurisprudenza afferma che il preavviso costituisce una “condizione di liceità del negozio unilaterale di recesso dal contratto di lavoro, nel senso che esso è legittimamente esercitato solo con l’adempimento del dovere di preavviso”, la cui inottemperanza comporta l’obbligo per il recedente di corrispondere l’indennità sostitutiva (si v., ex multis, Cass., 6 agosto 1987, n. 6769, RIDL, 1988, II, 276; Cass., 9 giugno 1981, n. 3741, MGL, 1982, 214; P. Milano 18 marzo 1988, RIDL, 1988, II, 994). Anzi, è solo la parte non recedente che è titolare del diritto di rinunciare al preavviso, essendo tale istituto posto nel suo esclusivo interesse.

Su queste solide basi si innesta la pronuncia in commento che ha quale elemento di sicuro interesse quello di concentrarsi su una fattispecie regolata da una norma recente e che ha tanto fatto discutere non solo gli “addetti ai lavori”, ossia la sopra richiamata normativa emergenziale posta dal Decreto legge n. 44/2021.

Secondo il Giudice del Lavoro, la giusta causa di dimissioni (unico caso di esonero possibile dall’obbligo del preavviso) si realizza solo quando l’evento in grado di rendere impossibile la prosecuzione del rapporto non dipenda in alcun modo dal soggetto dimissionario, cosa che, al contrario, secondo il Tribunale, ha obiettivamente caratterizzato il caso oggetto del giudizio; per questa ragione, appaiono molto interessanti i passaggi in cui il Tribunale, accogliendo le tesi della parte datoriale, ha dato peso alla riferibilità alla persona della lavoratrice del fatto generatore della sospensione del rapporto di lavoro e, quindi, il rifiuto da parte di quest’ultima ad adempiere all’obbligo vaccinale (art. 4 bis, Decreto legge n. 44/2021): ci , peraltro, al fine di rigettare la ricostruzione da parte della lavoratrice di una sorta di impossibilità sopravvenuta della prestazione. A tale proposito, risultano particolarmente suggestivi i passaggi in cui il Tribunale ha valorizzato il campo delle norme sulla risoluzione per impossibilità sopravvenuta: quella dedotta dalla lavoratrice non poteva rappresentare una causa di impossibilità sopravvenuta in quanto il codice civile esclude tutti i casi in cui tale impossibilità sia volontariamente procurata dalla parte interessata alla risoluzione del contratto: la volontà di non vaccinarsi (peraltro ampiamente osteggiata dal Legislatore) va collocata nel solco di tali casi.

Vi è, poi, un ulteriore profilo ed è quello che riguarda la tenuta dell’obbligo di preavviso nel caso in cui le dimissioni si abbiano in una fase di sospensione del rapporto; ebbene, nel caso deciso dal Tribunale di Pesaro, non solo è stata pienamente confermata la ratio del preavviso di dimissioni, ossia quella di tutelare l’esigenza organizzativa del datore che deve potere disporre di un periodo di tempo per operare la sostituzione del dipendente dimissionario, ma tale esigenza è stata ritenuta pienamente valida anche in costanza di una causa sospensiva: quella appunto derivante dal rifiuto di adempiere all’obbligo vaccinale. Anche questa affermazione del Tribunale marchigiano si fonda su basi granitiche: se il recesso del dipendente interviene in una fase di sospensione del rapporto di lavoro (e.g., malattia, cassa integrazione guadagni (cig)), anche in tali ipotesi, il Legislatore protegge l’interesse del datore a disporre di un periodo di tempo utile per riorganizzare la struttura. L’obbligatorietà del preavviso, anche in costanza di una causa sospensiva del rapporto, ha, del resto, una logica (non solo giuridica) solidissima.

In primo luogo, vale notare che sostenere il contrario avrebbe esiti aberranti; pensiamo al caso di sospensione per eccellenza: la malattia. Per i lavoratori subordinati sarebbe sufficiente collocarsi in malattia per potere utilmente rassegnare dimissioni senza preavviso. L’esito sarebbe chiaramente assurdo e si tradurrebbe nella agevole elusione della norma che (fatta salva la giusta causa) prevede sempre e comunque il preavviso. Vi è altresì un altro tema: talune ipotesi di sospensione non sono prive di effetti per il datore in quanto (per esempio) implicano l’obbligo di conservazione del posto di lavoro. Sarebbe assurdo se il Legislatore – a fronte di un obbligo così penetrante a carico del datore (irrecedibilità dal rapporto e impegno alla conservazione del posto in costanza della causa sospensiva) – lo “ripagasse” con la assurda libertà del lavoratore di recedere senza preavviso alcuno (pur in assenza di giusta causa). Sarebbe assurdo perché penalizzerebbe oltremodo il datore rispetto a una dimensione (quella organizzativa) che – dal punto di vista datoriale – è cruciale. Ebbene, il preavviso assolve la funzione di cautelare il datore contro il rischio di trovarsi “spiazzato” rispetto alla decisione del lavoratore di trasformare una situazione di astensione reversibile (tale è la malattia, la cig e la fattispecie esaminata dal Tribunale di Pesaro) in una, al contrario, irreversibile (le dimissioni quale causa di cessazione definitiva del rapporto).

Molto indicative parimenti le pronunce che hanno riguardato il caso delle dimissioni del lavoratore in cig; su tutte una della Corte di Cassazione (Cass., 9 aprile 1993, n. 4306): “anche il lavoratore dimissionario in pendenza di c.i.g. è tenuto a dare il preavviso, dato che, rimanendo il rapporto di lavoro sospeso di giorno in giorno ed essendo incerto il termine di prevedibile durata della c.i.g., il datore di lavoro ha interesse ad essere preavvisato del venir meno della disponibilità di un lavoratore, tanto più ove, come nella specie, questi svolga mansioni di una certa importanza e delicatezza”.

Concludendo, quindi, la sentenza del Tribunale di Pesaro ha un impianto solido e, senza dubbio, condivisibile.

In sostanza, essa afferma che, quale che sia l’effetto della sospensione sul reddito del lavoratore (come noto, i dipendenti sospesi per inottemperanza all’obbligo vaccinale non solo non hanno goduto di trattamento stipendiale ma non hanno neppure ricevuto copertura previdenziale), è dato rilevare la vigenza dell’obbligo di preavviso. Non essendo ipotizzabile che la mera sospensione del rapporto dia luogo a giusta causa di dimissioni, la lavoratrice coinvolta nel giudizio in commento avrebbe dovuto osservare il preavviso; non facendolo, e’ stata ritenuta legittima la trattenuta operata dal datore


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