LASCIATE OGNE SPERANZA, voi ch’intrate

Federica Maria Sgambato , Consulente del Lavoro in Milano

Questa è la – triste – storia della Buoni Propositi S.r.l. unipersonale, ditta che si occupa di abbigliamento sportivo. Il Sig. Giovanni, socio-fondatore, presta particolare attenzione affinché il ciclo produttivo sia quanto più possibile eco-sostenibile ed è, altresì, attento al benessere e alla crescita delle proprie risorse. Uso volutamente il termine risorse, poiché il Sig. Giovanni considera i propri dipendenti come un’opportunità, come semi da far germogliare, piuttosto che come un peso. Uno dei suoi principali obiettivi, infatti, è sempre stato quello di creare un ambiente di lavoro inclusivo e stimolante. D’altra parte, il Sig. Giovanni è un uomo che “si è fatto da solo”. Agli inizi della sua carriera professionale, anni addietro, era un operaio addetto al magazzino. Negli anni, il duro lavoro, i sacrifici e la voglia di “fare sempre meglio”, l’hanno portato ad aprire la propria attività che conta, attualmente, quasi quaranta dipendenti. Giovanni è consapevole che il vero punto di forza di ogni impresa che funzioni sono le persone che ci lavorano: è anche – e forse soprattutto – grazie ai suoi collaboratori, se è arrivato dov’è adesso. Proprio per questo, negli anni, ha ampliato le proprie politiche di welfare, ha iniziato ad organizzare incontri con i propri dipendenti (neo assunti compresi), volti a far emergere – e al contempo superare – eventuali criticità e, di recente, ha istituito un meccanismo di assegnazione dei bonus collegato al fatturato aziendale. Avrebbe potuto agire diversamente? Sì, e – purtroppo – lo sappiamo molto bene…A chi non è mai capitato il Cliente che chiede di poter inserire trasferte per raggiungere un certo importo netto, di sotto-inquadrare un lavoratore oppure di attivare uno stage per “sostituire” dipendenti assenti? Ma questa è un’altra storia… e meriterebbe un capitolo a sé stante. Nel 2021 la Buoni propositi assume Alessandro, allora poco più che trentenne, optando per un’assunzione a tempo indeterminato. Il Sig. Giovanni ci tiene ad operare correttamente, nel rispetto delle previsioni normative. Utilizzerà il periodo di prova per valutare il ragazzo, ma è in cerca di una figura da inserire in maniera stabile all’interno della propria organizzazione. In un’ottica imprenditoriale, volta necessariamente a valutare il rapporto costi benefici di qualsiasi operazione, assunzioni comprese, il Sig. Giovanni si rivolge al suo Studio di consulenza di fiducia – Ce la mettiamo tutta Stp – per capire se ci siano agevolazioni o sgravi utilizzabili. Il Consulente, dopo aver verificato la regolarità contributiva della società, chiede a Giovanni di fargli avere copia del C2 storico di Alessandro, nonché di farsi rilasciare un’autodichiarazione dove il candidato attesti di non aver mai avuto, nell’arco della propria vita lavorativa, rapporti di lavoro a tempo indeterminato. Viste le premesse, dopo aver consultato l’ormai – ahimè – celeberrima Utility dell’Inps, lo Studio propone al Sig. Giovanni l’agevolazione Under 36. Purtroppo, nel 2023, la Buoni propositi si vede recapitare un avviso di addebito, emesso a seguito di accertamento, con il quale, disposto il disconoscimento dell’agevolazione per mancanza dei presupposti, si richiede il versamento dei contributi non versati, oltre alle relative sanzioni. Eh sì…perché è emerso che Alessandro, anni prima, aveva avuto un brevissimo – e quindi assolutamente dimenticabile, tanto da non menzionarlo nemmeno nel cv – rapporto a tempo indeterminato in una pasticceria, peraltro risoltosi in periodo di prova, in una Regione diversa rispetto a quella di attuale residenza dove era stato richiesto lo storico occupazionale. Come è noto, il risultato rilasciato dall’Utility fornita da Inps non ha alcun valore certificativo, con la conseguenza che è ben possibile che ci si veda disconoscere l’agevolazione, anche a distanza di anni…. Riassumendo: il Sig. Giovanni decide di assumere un giovane ragazzo a tempo indeterminato, usufruendo di un’agevolazione. Dopo qualche anno, a seguito di accertamento, la stessa viene disconosciuta. Come se non bastasse, trattandosi di omissione contributiva, viene anche applicata, ai sensi della Legge 23 dicembre 2000, n. 388, la sanzione civile maggiorata dei 5,5 punti percentuali. E anche qui c’è dell’assurdo, dal momento che – ai fini sanzionatori – la fattispecie ha effetti simili alla simulazione di rapporto di lavoro subordinato. Non si tratta di evasione, non c’è intenzionalità… Ma se l’obiettivo è quello di “accentuare l’effetto punitivo a fenomeni a maggiore pericolosità sociale, avendo a riferimento la classica evasione contributiva, quale l’utilizzo di lavoratori in nero o l’erogazione di emolumenti non assoggettati a prelievo” (Circ. Inps 10 aprile 2003, n. 74), non avrebbe senso rivedere il sistema sanzionatorio anche per casi particolari come quello in esame? Ora io non vorrei risultare eccessivamente polemica, ma siamo tutti concordi sul fatto che, trattandosi di organismo pubblico, ci si aspetterebbe certezza e logicità? Qual è la logica dietro tutto questo? Consentitemelo… qual è lo scopo di rendere disponibile un’agevolazione e fornire uno strumento finalizzato a valutarne l’applicabilità, se poi esiste la concreta possibilità che il datore di lavoro si ritrovi un dipendente assunto a tempo indeterminato per il quale gli viene successivamente richiesto di versare i contributi omessi, maggiorati di sanzioni e interessi? La domanda, per quanto banale, sorge spontanea: perché? Il datore di lavoro ha forse scientemente omesso il versamento dei contributi? Quale sarebbe la sua colpa? Perdonatemi, ma io non riesco proprio a capirlo. È vero. L’ho precisato all’inizio: il Sig. Giovanni non considera i dipendenti semplicemente come un costo. Ciò nonostante, Giovanni resta comunque un imprenditore e, quindi, due conti dovrà pur farseli. Magari avrebbe assunto comunque Alessandro. È probabile che avrebbe fatto qualche altro “taglio” di budget. Quel che, però, è certo è che un comportamento in origine virtuoso, da incentivare a prescindere dall’età del candidato e dalla presenza o meno di precedenti rapporti a tempo indeterminato, si rivela un danno per il datore, e non da poco. Come possiamo spiegare al Sig. Giovanni che, a seguito di applicazione di un’agevolazione non spettante, dovrà, non soltanto versare i contributi “arretrati” (e fin qui nulla quaestio), ma anche relative sanzioni e interessi? Come si può “pretendere” che contribuenti e datori di lavoro si affidino – e si fidino – della Pubblica Amministrazione se la gestione dei rapporti di lavoro, pur nel rispetto della normativa, rischia di trasformarsi in una moderna rappresentazione dell’Inferno dantesco? Poniamo un esempio concreto. Ipotizziamo una situazione che, presumibilmente, avrete vissuto più o meno tutti. Supponete di dover acquistare un’abitazione. Il vostro budget è di circa 600.000,00 euro e l’agenzia alla quale vi siete affidati vi propone un appartamento per cui la richiesta è di 400.000,00 euro. Vi fate due conti su arredamento, eventuali modifiche e costi di agenzia, e stimate una spesa di 150.000,00 euro, ovviamente in aggiunta al prezzo dell’appartamento. Sulla base di quanto sopra, mettete in conto una spesa complessiva di 550.000,00 euro. Firmate il contratto e iniziate i lavori. Poniamo per assurdo che, nonostante il contratto sottoscritto, sia verosimile che dopo qualche tempo l’agenzia vi contatti e vi dica che in realtà parte dell’abitazione non era stata valutata correttamente e che, quindi, occorre versare un ulteriore importo pari a 100.000,00 euro. Assurdo vero? Assurdo tanto quanto dire a un imprenditore che l’assunzione di Alessandro avrà un costo X e invece poi gli costerà X + Y + Z e che, nonostante ciò, l’imprenditore dovrà anche tenersi il lavoratore, poiché assunto a tempo indeterminato. A mio avviso, uno dei problemi principali è che non ci si rende conto del reale costo del lavoro. Non ci si rende conto che dietro ad ogni azienda c’è un imprenditore. Non è forse arrivato il momento di tutelare anche loro, i datori di lavoro? La verità è che siamo storicamente portati a tutelare soltanto i dipendenti perché considerati parte debole del rapporto di lavoro. Siamo sempre alla ricerca di possibili soluzioni all’innegabile piaga della disoccupazione (giovanile e non), ma non ci rendiamo conto che la miglior politica attiva sarebbe l’abbassamento del costo del lavoro. E poi, tanto per rimanere in tema, il meccanismo del “mai prima a tempo indeterminato” – che qualche scopo antielusivo ce l’ha – per come è (malamente) congegnato siamo davvero sicuri che sia efficace nella promozione dell’assunzione di giovani? Alessandro ha provato a fare il pasticcere e ha scoperto immediatamente che non era il suo campo. È giusto che per quell’unica e brevissima esperienza si porti dietro un fardello – come se fosse “marchiato a vita” – tale da renderlo meno appetibile (sotto il profilo del costo) rispetto ad un giovane nella sua medesima condizione? Noi Consulenti, quali garanti della legalità, abbiamo un ruolo delicatissimo nel rapporto tra Aziende e Pubblica Amministrazione. Ogni giorno costruiamo con i nostri Clienti un rapporto basato sulla fiducia e sull’impegno, prodigandoci per trovare la soluzione migliore, che consenta al datore di ottimizzare i propri costi, sempre nel pieno rispetto della normativa. Perché deve essere così complicato incentivare un imprenditore ad assumere? Quale credibilità può avere una Pubblica Amministrazione inaffidabile – come l’agenzia dell’esempio che commette un errore di valutazione sull’immobile? L’agenzia aveva tutti i dati a disposizione, esattamente come l’Inps. Eh sì, perché l’Inps ha tutti i dati a disposizione ed è proprio sulla base di quei dati che viene – dopo, sempre dopo, molto dopo – disconosciuta l’agevolazione. Forse è davvero arrivato il momento di mettere ordine. Quanto tempo occorre realmente all’Inps per effettuare i dovuti controlli? Siamo in grado di mettere a disposizione uno strumento di controllo preventivo che abbia anche valore certificativo? In caso negativo, non sarebbe possibile ipotizzare di imporre all’Ente di effettuare i controlli entro sei mesi? Ma soprattutto, fino a quando gli strumenti di tutela a disposizione di Aziende e Consulenti saranno limitati, non sarebbe più corretto valutare unicamente il disconoscimento dell’agevolazione con decorrenza dal giorno dell’accertamento, escludendo la possibilità di recupero degli importi non versati prima dei controlli? Tirando le somme, riusciremo, prima o poi, a riveder le stelle?


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