L’ART. 19 ST. LAV. DOPO LA SENTENZA N. 156/2025: come cambiano i requisiti per la costituzione delle RSA tra rappresentatività comparativa e discrezionalità datoriale
Andrea Ottolina, Avvocato in Milano
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La recentissima sentenza della Corte Costituzionale n. 156 del 30 ottobre 2025 rappresenta l’ultimo capitolo di un lungo percorso normativo e giurisprudenziale avente ad oggetto l’art. 19 dello Statuto dei lavoratori, norma che disciplina l’accesso alla c.d. tutela promozionale, cioè quel complesso di prerogative di cui al Titolo III dello Statuto, ulteriori rispetto alla libertà sindacale garantita a tutte le associazioni sindacali, che l’ordinamento riconosce solo ai sindacati ritenuti meritevoli sulla base di criteri selettivi di rappresentatività. Come si ricostruirà nel presente intervento, il dibattito giuridico sviluppatosi attorno all’art. 19, così come originariamente concepito, aveva trovato nella riformulazione referendaria del 1995 il primo passaggio di un percorso evolutivo destinato a proseguire negli anni successivi. Quella riformulazione aveva trasformato profondamente il sistema selettivo originario, riducendolo a un criterio essenzialmente negoziale basato sulla firma del contratto collettivo applicato nell’unità produttiva, ma le criticità strutturali di tale nuovo assetto si erano immediatamente palesate, tanto da portare la Corte Costituzionale ad intervenire con la sentenza n. 231 del 2013, con la quale veniva ampliato il perimetro applicativo dell’art. 19 includendo anche i sindacati che avevano partecipato in modo effettivo alla negoziazione del contratto, pur non essendone firmatari. Nonostante tale intervento correttivo, la disposizione continuava tuttavia a risentire di una persistente incoerenza del modello selettivo, consistente nel rischio che la presenza o l’assenza di un sindacato al tavolo delle trattative, e dunque la possibilità di accedere alla tutela promozionale, dipendesse dalla discrezionalità del datore di lavoro. È proprio su questo nodo che è nuovamente intervenuta la Corte Costituzionale con la sentenza n. 156/2025 in commento, con l’obiettivo di riportare coerenza ed equilibrio nel sistema. Nella versione originaria del 1970, l’art. 19 individuava due criteri selettivi alternativi per la costituzione delle RSA. Il primo richiamava l’appartenenza alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale; il secondo riconosceva la legittimazione alle associazioni firmatarie dei contratti collettivi, nazionali, provinciali o aziendali, applicati nell’unità produttiva. Si trattava di un sistema che combinava un criterio strutturale (la rappresentatività confederale) con un criterio negoziale (la firma del contratto), riflettendo l’intento del legislatore di riservare le tutele promozionali dell’art. 19 a sindacati dotati di un radicamento effettivo e di una struttura organizzativa adeguata. Il referendum popolare indetto nel 1995 aveva tuttavia inciso profondamente su questo assetto, con l’abrogazione dell’intero riferimento alla maggiore rappresentatività confederale di cui alla lett. a) dell’art. 19 e la contestuale modifica della lettera b). All’esito del referendum, quindi, il diritto alla costituzione delle RSA si fondava su un solo criterio di carattere negoziale: essere firmatari del contratto collettivo applicato nell’unità produttiva. Il principio di rappresentatività confederale, quindi, veniva espunto dal sistema di accesso alle tutele promozionali di cui al Titolo III dello Statuto, lasciando all’esito delle dinamiche negoziali il potere di delimitare la platea delle organizzazioni legittimate a costituire le rappresentanze sindacali aziendali. Nel nuovo scenario post-referendario, tuttavia, il criterio della firma si era rivelato presto eccessivamente rigido. Esso infatti poteva escludere dalle tutele promozionali sindacati che, pur dotati di una presenza significativa tra i lavoratori, non avevano sottoscritto il contratto collettivo, magari dopo aver addirittura partecipato attivamente alle trattative. È in questo contesto che era maturata la sentenza n. 231/2013, con la quale la Corte Costituzionale aveva riconosciuto che la mera sottoscrizione non poteva esaurire la nozione di rappresentatività sottesa all’art. 19. La Corte aveva pertanto deciso di attribuire rilievo anche alla partecipazione effettiva alla negoziazione del contratto applicato nell’unità produttiva, estendendo la legittimazione alla costituzione delle RSA ai sindacati che avessero contribuito alla trattativa pur senza firmare il testo finale. L’intervento aveva quindi ottenuto il risultato di attenuare la rigidità del sistema post referendario, ma aveva comunque lasciato aperta un’ulteriore questione, cioè il caso del sindacato rappresentativo non ammesso al tavolo della negoziazione per scelta unilaterale del datore di lavoro. Proprio per colmare questa lacuna ancora irrisolta la Corte Costituzionale è tornata a intervenire con la sentenza n. 156/2025, consapevole del rischio che la discrezionalità datoriale nell’ammissione al tavolo potesse incidere sul godimento delle tutele promozionali e, in ultima analisi, sulla libertà sindacale e sul pluralismo nei luoghi di lavoro. La decisione in commento ha preso avvio da un giudizio instaurato davanti al Tribunale di Modena, chiamato a valutare la legittimità del diniego di costituzione della RSA opposto a un sindacato ben presente e radicato nell’unità produttiva, ma né firmatario né partecipante alle trattative del contratto applicato.

L’ordinanza di rimessione metteva in luce un limite intrinseco dell’assetto in vigore: l’ammissione alla negoziazione, e dunque l’accesso ai criteri selettivi dell’art. 19, era rimasta interamente rimessa alla disponibilità del datore di lavoro, dalla quale derivava un vero e proprio potere di accreditamento unilaterale, idoneo a condizionare la dialettica sindacale e a escludere dalle tutele promozionali sindacati pur dotati di effettiva rappresentatività. Un ulteriore aspetto evidenziato dal Giudice è la marcata asimmetria rispetto al settore pubblico, nel quale la rappresentatività delle organizzazioni sindacali viene misurata attraverso criteri oggettivi e certificati, mentre nel settore privato la mancanza di un analogo sistema legale di valutazione finisce per amplificare il peso della discrezionalità datoriale. Con la sentenza n. 156/2025 la Corte Costituzionale, muovendo da questi presupposti, ribadisce innanzitutto la legittimità dell’esistenza di criteri selettivi nell’accesso alle tutele dell’art. 19: la natura promozionale delle prerogative riconosciute alle RSA richiede una selezione, purché sorretta da criteri razionali, non arbitrari e non dipendenti dal potere discrezionale di una parte del rapporto. In questa prospettiva, la Corte ritiene non più sufficiente il solo requisito della partecipazione effettiva alle trattative, poiché tale partecipazione dipende comunque dall’ammissione al tavolo da parte del datore di lavoro e rimane quindi ancorata a un presupposto rimesso alla sua discrezionalità. Proprio per questo la Corte esclude che esso possa fungere da unico criterio selettivo e giunge alla conclusione che l’art. 19 debba essere integrato mediante l’introduzione di un ulteriore parametro oggettivo, individuato nella maggiore rappresentatività comparativa sul piano nazionale. Alla luce di ciò, la Corte dichiara l’illegittimità dell’art. 19 nella parte in cui non prevede che le RSA possano essere costituite anche nell’ambito delle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. La scelta è quindi ricaduta su un parametro già consolidato nell’ordinamento e considerato idoneo a misurare la forza complessiva dell’organizzazione sindacale, senza lasciare dipendere tale misurazione da dinamiche negoziali condizionabili dal datore di lavoro. Il richiamo al requisito della nazionalità, peraltro, consente di allineare il titolo di legittimazione alla costituzione della RSA a quello richiesto per l’azione ex art. 28 Statuto lavoratori, rafforzando così la coerenza sistematica della disciplina. La sentenza n. 156/2025 non stravolge quindi l’impianto dell’art. 19, ma lo integra con un ulteriore criterio selettivo, che si affianca ai due già risultanti dal sistema post 2013 (firma del contratto e partecipazione effettiva alla negoziazione), senza tuttavia configurare un ritorno al modello anteriore al referendum abrogativo del 1995, poiché il parametro introdotto non si fonda sull’affiliazione confederale, bensì sulla rappresentatività comparativa a livello nazionale, criterio diverso, sostanziale e non sovrapponibile a quello espunto dalla consultazione referendaria. Quest’ultima decisione della Corte Costituzionale si inserisce quindi in un percorso di lungo periodo e rappresenta un tentativo apprezzabile di riportare coerenza in un sistema che, dopo il referendum del 1995 e l’intervento correttivo del 2013, continuava a mostrare evidenti criticità. La scelta di un parametro idoneo a oggettivare l’accesso alla tutela promozionale e a sottrarlo alla disponibilità del datore di lavoro si configura dunque come un intervento volto a riequilibrare il sistema, valorizzando la rappresentatività effettiva e rafforzando la linearità complessiva dell’art. 19. Rimangono tuttavia alcune criticità. Nel settore privato manca infatti un sistema legale e uniforme di misurazione della rappresentatività analogo a quello vigente nel pubblico impiego e il criterio della rappresentatività comparativa richiede inevitabilmente valutazioni caso per caso. Tale incertezza applicativa rischia di tradursi in un aumento del contenzioso, con conseguente affidamento ai giudici del compito di definire, in assenza di parametri legislativi, la consistenza della rappresentanza sindacale. È la stessa Corte Costituzionale a prendere atto di questo limite e a sollecitare un intervento normativo che realizzi un assetto stabile, trasparente e prevedibile. Se la sentenza n. 156/2025 rappresenta dunque un passo avanti significativo, appare altrettanto evidente che l’esigenza di una riforma organica della rappresentatività non è più rinviabile: solo un quadro normativo unitario può infatti assicurare certezza del diritto, equilibrio tra le diverse forme di rappresentanza e una gestione delle relazioni industriali davvero coerente con la complessità del contesto attuale.