Negli ultimi anni abbiamo assistito ad una rilevante diffusione del contratto di apprendistato professionalizzante, mentre al contrario le altre due tipologie di primo e terzo livello – quelle che prevedono, l’alternanza scuola-lavoro e il coordinamento tra impresa e istituzione scolastica – sono rimaste per lo più inattuate, salvo rare eccezioni in alcune Regioni più “virtuose” tra le quali rientra sicuramente il modello attuato dalla Regione Lombardia.
Qualche mese fa durante il dibattito ad un convegno, il cui tema era per l’appunto l’apprendistato di primo livello, una docente di un istituto professionale di Milano, che vanta l’attivazione di numerosi contratti di apprendistato di primo livello, ha fatto notare che quando l’istituzione scolastica contatta le aziende per proporre il primo livello di apprendistato, queste si riservano sempre di consultare il loro Consulente del lavoro prima di accettare l’inserimento di uno studente in azienda.
Come categoria siamo dunque investiti di un ruolo di primaria importanza per la diffusione del contratto di apprendistato di primo livello, disciplinato dall’art. 43 del D.lgs. n. 81/2015 e riservato ai giovani tra i 15 e 25 anni. La fattispecie in questione è finalizzata, attraverso il meccanismo dell’alternanza scuola-lavoro, all’acquisizione di una qualifica e di un diploma professionale, un diploma di istruzione secondaria superiore o un certificato di specializzazione tecnica superiore,
Conoscere e diffondere la cultura dell’apprendistato è un dovere sociale in quanto l’apprendistato non è semplicemente una tipologia contrattuale ma un utile strumento per agevolare i giovani nel delicato passaggio tra scuola e lavoro e che può rivelarsi particolarmente efficace a ridurre il divario, in termini di competenze, tra scuola ed impresa.
L’apprendistato di primo tipo, se utilizzato con cognizione di causa è altresì un validissimo strumento contro la dispersione scolastica, in quanto accompagna all’acquisizione del titolo anticipando l’ingresso nel mondo del lavoro dei giovanissimi.
Infine rappresenta uno strumento strategico per la lotta contro la disoccupazione giovanile, arrivata a livelli allarmanti.
Ma a questi obiettivi, per così dire “sociali”, si affianca una profonda opportunità per l’impresa, in grado di incidere direttamente sulla formazione del giovane da inserire in azienda coordinando teoria e pratica in modo funzionale alle necessità del mondo del lavoro.
Una logica win-win, insomma.
Nella maggior parte dei casi l’avviamento del contratto avviene per iniziativa dell’istituzione scolastica che contatta le imprese e propone l’inserimento di un giovane studente in apprendistato di primo tipo dopo un periodo di alternanza scuola lavoro. Ciò non toglie che l’iniziativa possa arrivare dall’azienda interessata ad avviare dei contratti di questo tipo.
Questi, in estrema sintesi, i passaggi operativi da attuare per l’avvio di un contratto di apprendistato di primo livello:
In questa fase il Consulente del lavoro può supportare l’azienda, ma non entra nel merito del contenuto del protocollo che rimane a cura dell’istituzione scolastica e del datore di lavoro.
E’ tuttavia opportuno segnalare che, nonostante lo sforzo di alcune Regioni per la diffusione del contratto di apprendistato di primo livello, molti sono ancora i punti irrisolti che necessiterebbero di chiarimenti da parte degli attori competenti.
A mero titolo esemplificativo, ci sono dei punti aperti per quanto riguarda il trattamento in caso di malattia (per esempio, cosa succede nel caso di malattia intervenuta in un giorno di formazione scolastica?), maternità e infortunio. Da quando decorre il periodo di preavviso? Quando devono essere godute le ferie? Quali sono le modalità di maturazione e quantificazione della retribuzione differita ?
La mancanza di una risposta certa a questi e altri quesiti, ricavabili solo in via interpretativa, ha l’effetto di scoraggiare la diffusione del contratto in argomento: può accadere, infatti, che i colleghi più timorosi arrivino a sconsigliarne l’utilizzo in alternativa ad altre tipologie contrattuali sicuramente più agevoli da attuare.
Forse sono proprio questi i motivi della mancata diffusione del contratto di primo livello; d’altra parte un Consulente del lavoro che consiglia ad un’azienda questa tipologia contrattuale, si assume in parte il rischio di colmare con la propria competenza, e talvolta anche con una certa dose di fantasia e coraggio, i tanti punti irrisolti ancora aperti, addossandosene (ingiustamente) la responsabilità.
Sappiamo bene come la certezza del diritto per le aziende – ma anche per tutti gli operatori – rappresenti sempre di più una necessità. Quindi se da un lato sono evidenti le enormi potenzialità, già ricordate in apertura di questo articolo, di tale fattispecie contrattuale, dall’altro non si può non auspicare un intervento volto a fare chiarezza sugli aspetti irrisolti.
Queste risposte devono arrivare da più parti: il Legislatore, le Regioni (detentrici del potere di legiferare in tema di formazione professionale), le Parti Sociali a cui è demandata l’analisi delle specificità di settore.
In questo quadro come sempre i consulenti del lavoro sono disponibili al dialogo con le istituzioni e con il mondo del lavoro al fine di mettere in luce gli aspetti tecnico-operativi da risolvere e al fine di trovare soluzioni adeguate che garantiscano un incontro efficace tra formazione e lavoro, per offrire posti di lavoro concreti ai giovani e colmare il bisogno di competenza e professionalità delle imprese, il che non può avvenire se non in un quadro di certezza del diritto e chiarezza delle regole.