Nella sentenza in commento la Corte di Cassazione individua la tutela applicabile al lavoratore licenziato senza giustificato motivo nel caso in cui, a distanza di circa un mese, sia intervenuto un secondo atto di recesso datoriale, nella specie risultato idoneo ad estinguere il rapporto di lavoro. La sentenza sancisce che in caso di licenziamento illegittimo, qualora il datore di lavoro abbia successivamente intimato al lavoratore un nuovo licenziamento con diversa motivazione (il secondo non impugnato), non va applicata la sanzione reintegratoria, ma al lavoratore spetta il risarcimento del danno, nella misura minima di cinque mensilità. Il primo licenziamento intimato al lavoratore era ritenuto illegittimo in primo grado per insussistenza del giustificato motivo oggettivo, mentre il secondo non era stato impugnato. Oltre alla domanda del lavoratore per la reintegrazione, era stata rigettata anche quella di condanna al pagamento dell’indennità risarcitoria. La pronuncia veniva confermata anche in secondo grado. La Cassazione ha invece ricondotto il primo licenziamento al regime della tutela reintegratoria attenuata (manifesta insussistenza del motivo oggettivo); il diritto all’indennità risarcitoria è stato quantificato nella misura minima di cinque mensilità. La Suprema Corte ha quindi affermato che l’indennità risarcitoria minima spetta al lavoratore indipendentemente dalla sussistenza di un danno in concreto, in quanto essa è dovuta per la mera intimazione di un licenziamento illegittimo. Pertanto, il fatto che il datore di lavoro abbia scelto di non eseguire il primo licenziamento e che il rapporto di lavoro sia proseguito, perfino con la corresponsione della retribuzione, non esclude il diritto a tale indennità con conferma dell’orientamento giurisprudenziale che riconosce natura prettamente sanzionatoria all’indennità minima di cinque mensilità.
È evidente che anche questa sentenza conferma, implicitamente, l’orientamento giurisprudenziale che riconosce l’ammissibilità della intimazione di un nuovo licenziamento, purché basato su motivi diversi. Ricordiamo inoltre, che con la Legge n. 92/2012 (intervento su art. 18, Stat. lav.), e con il D.lgs. n. 23/2015 (disciplina “parallela” per i c.d. neoassunti), il legislatore ha spacchettato le tutele contro i licenziamenti illegittimi, introducendo una tutela esclusivamente economica (indennitaria), per quelli (non gravemente) ingiustificati. Si evidenziano degli ambiti di diversificazione; un primo ambito dipende dal tipo di vizio che affligge il licenziamento e, quindi, dall’applicazione della tutela indennitaria o reintegratoria. Ne discende che nei casi di primo licenziamento semplicemente ingiustificato, il secondo licenziamento è per definizione inefficace, essendosi il rapporto (giuridicamente) già estinto. Al contrario, nell’ipotesi in cui al primo licenziamento si applica la tutela reintegratoria, a fronte di un secondo recesso intimato nelle more dell’impugnazione del primo, il lavoratore non può conseguire l’ordine di reintegrazione per l’illegittimità del licenziamento originario. Il diritto alla reintegra dipende esclusivamente dall’esito del giudizio relativo al secondo licenziamento, mentre la tutela certa è solo quella indennitaria, come visto nel minimo garantito di cinque mensilità. Non va dimenticato l’impatto che esercita sulle argomentazioni di cui sopra, il distinto regime previdenziale applicabile: nel caso di tutela reintegratoria, sia piena che depotenziata, il lavoratore ha diritto all’accredito dei contributi previdenziali e assistenziali per tutto il periodo che intercorre tra il licenziamento e l’ordine di reintegra, mentre nulla è garantito nel caso di tutela meramente indennitaria. Pertanto, a seguito della modulazione del sistema sanzionatorio e della continua revisione da parte della giurisprudenza, il tema del c.d. doppio licenziamento risulta molto complesso, implicando scelte di ordine economico che si riflettono sullo svolgimento dei processi e non da ultimo sulle politiche aziendali.