LA QUESTIONE DELLA RAPPRESENTANZA SINDACALE nel caso di unità produttiva “digitale” e, più in generale, dei diritti sindacali

Luca di Sevo, Consulente del Lavoro in Bollate (Mi)

Riflessione di Alessandro Bellavista sulla unità produttiva “digitale”

L’ Autore affronta il fenomeno della cosiddetta gig economy (economia digitale o delle piattaforme) sotto il profilo dei diritti sindacali di cui al titolo III dello Statuto dei Lavoratori per analizzare se e come essi possano essere riconosciuti e garantiti. L’economia digitale ci permette di individuare due differenti modalità di lavoro: da un lato l’attività lavorativa su piattaforme tecnologiche (spazio digitale), dall’altro il cosiddetto “lavoro a chiamata tramite piattaforma”, in cui la prestazione lavorativa è svolta nel mondo “materiale” e la piattaforma gestisce l’incontro tra domanda e offerta di lavoro (ad esempio i riders). Nel nuovo contesto tecnologico, un sindacato “digitale” (cioè aperto all’innovazione) può avere notevoli margini di azione andandosi ad occupare ad esempio di “diritti informatici dell’interessato, modalità di funzionamento dei sistemi informatici e degli algoritmi delle piattaforme, sfruttamento del web per mobilitare lavoratori, utenti e consumatori allo scopo di tutelare i diritti della persona che lavora”. Un tema di difficile discernimento è quello legato alla rappresentatività sindacale sia in termini numerici che in termini fisici. La disquisizione parte dal fatto che il requisito indispensabile per la costituzione della Rsa (rappresentanza sindacale aziendale) è che il sindacato abbia sottoscritto un contratto applicato nell’unità produttiva di riferimento o partecipato alle trattative. Ma nella realtà è difficile indurre i datori di lavoro digitali a negoziare, siano essi operatori digitali al 100%, oppure soggetti che operano nel mondo tradizionale. Tuttavia, il sindacato ha rinvenuto nell’art. 28 St. Lav. uno strumento per il rilancio della propria azione nella gig economy. In sede di commento di alcune recenti decisioni giurisprudenziali è emerso, in modo condivisibile, che «potrebbe dunque considerarsi antisindacale la condotta del committente/datore di lavoro che rifiuti qualsiasi confronto con quelle sigle sindacali che dimostrino di svolgere un’effettiva attività di autotutela collettiva dei lavoratori e con i lavoratori che abbiano manifestato la volontà di interagire come collettività e non come singoli, privilegiando il rapporto con una sigla evidentemente non rappresentativa o addirittura costituita ad hoc» (Corte costituzionale – sentenza n. 231 del 2013, e orientamenti giurisprudenziali in materia di condotta antisindacale). Pertanto, una volta qualificatasi la rappresentatività come “dato oggettivo e valoriale”, «il rifiuto di dare ingresso a un sindacato consistente integra automaticamente gli estremi della condotta antisindacale lesiva della libertà garantita di azione sindacale». Vagliata e sdoganata la possibilità di costituire la propria Rsa da parte di un soggetto sindacale effettivamente rappresentativo, ne consegue che la Rsa può sorgere in uno specifico contesto che abbia quel minimo di consistenza organizzativa dato dall’avere almeno sedici dipendenti (unità produttiva definita come un’articolazione autonoma dell’impresa in grado di produrre beni e servizi). Tuttavia, la giurisprudenza adatta tale nozione in funzione dell’ambito cui è destinata ad operare. Ad esempio nel caso dei cosiddetti “piazzisti”, relativamente all’art. 2103 c.c., l’unità produttiva «deve essere individuata in qualsiasi articolazione autonoma dell’impresa, avente sotto il profilo funzionale idoneità ad esplicare, in tutto o in parte, l’attività di produzione di beni e servizi dell’impresa stessa, della quale quindi costituisce elemento organizzativo»; e «si è perciò ritenuto che tale dovesse intendersi la zona da visitare o l’itinerario da compiere per eseguire la prestazione lavorativa». Per analogia, anche l’organizzazione dell’impresa digitale si presenta, “inafferrabile” e priva di confini ben definiti. La sua tangibilità si considera tuttavia definita dal momento in cui si avvale di prestazioni lavorative. Per definire i confini di un’organizzazione di questo tipo bisognerebbe partire dai soggetti che vengono in essa impiegati. E’ sicuramente più semplice la realizzazione di una coalizione nell’ipotesi del lavoro a chiamata tramite piattaforma, e cioè dei riders e degli shoppers. Ovviamente lo svolgimento della prestazione nel mondo “materiale” consente i contatti diretti tra i lavoratori (ad esempio uno specifico starting point per i riders). Più difficile, ma non impossibile, lo sviluppo della coalizione e dell’azione sindacale nell’ambito delle piattaforme che operano interamente nello spazio digitale. Dall’altro punto di vista, il problema del superamento della soglia dimensionale dei quindici dipendenti, si potrebbe risolvere computando anche i rapporti di collaborazione etero-organizzati ai fini della tutela dei diritti sindacali. Non da ultimo, dovrebbero essere tenuti in considerazione anche i «lavoratori formalmente autonomi, ma in realtà stabilmente inseriti nell’organizzazione produttiva». E’ ormai opinione diffusa e ampiamente condivisa che anche i lavoratori autonomi genuini, in condizioni di particolare debolezza contrattuale (assimilabile a quella dei lavoratori subordinati), debbano godere delle libertà e dei diritti sindacali; ma soprattutto nella condivisibile idea che, di fronte alle rivoluzionarie innovazioni tecnologiche e produttive, vada oggi adottata una nozione “funzionale” (non solo di datore di lavoro, ma anche) di “lavoratore”: tale da abbracciare chiunque sia stabilmente inserito nell’altrui organizzazione. Siamo quindi di fronte ad una “nuova richiesta di cambiamento culturale”: si rende necessario uscire dalle convenzioni finora rispettate, per allargare gli orizzonti ad interpretazioni estensive di alcuni principi, valutandone l’applicabilità alle nuove soluzioni che la digitalizzazione propone.

* Sintesi dell’articolo pubblicato in LLI, vol. 9, n. 1, 2023 dal titolo L’unità produttiva digitale.


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