Come noto, oltre ai casi in cui l’avvio del procedimento di mediazione rappresenta un obbligo per le parti in quanto condizione di procedibilità ex lege, esistono altre forme di mediazione: quella volontaria, quella ordinata dall’Autorità giudiziaria e l’ipotesi di mediazione cd. «concordata»1.
Del resto, sono particolarmente diffuse (da vari anni) le clausole contrattuali che contemplano l’obbligo per le parti di rivolgersi ad un mediatore al fine di esperire il tentativo di conciliazione prima dell’avvio del giudizio2.
Nella pratica sono largamente utilizzate anche le clausole «multistep», ovvero le clausole compromissorie che prevedono il tentativo di conciliazione prima di dare avvio al giudizio arbitrale propriamente detto3.
Il quinto comma dell’art. 5 del D.lgs. n. 28/2010 si occupa del caso in cui la mediazione sia prevista dalla parti tramite una clausola di mediazione o conciliazione presente nel contratto, nello statuto o nell’atto costitutivo dell’ente, recuperando in parte quanto previsto dal D.lgs. n. 5/20034. Qualora il tentativo non risulti esperito, pur in presenza di tale clausola, «il giudice o l’arbitro, su eccezione di parte, proposta nella prima difesa, assegna alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione e fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all’art. 6»5. Si dispone che «allo stesso modo il giudice o l’arbitro fiss[i] la successiva udienza quando la mediazione o il tentativo di conciliazione sono iniziati, ma non conclusi»6. È fondamentale sottolineare che «la domanda è presentata davanti all’organismo indicato dalla clausola, se iscritto nel registro, ovvero, in mancanza, davanti ad un altro organismo iscritto, fermo il rispetto del criterio di cui all’art. 4, co. 1»7, fatta salva la possibilità per le parti di «concordare successivamente al contratto o allo statuto o all’atto costitutivo, l’individuazione di un diverso organismo iscritto»8.
Ad avviso di chi scrive, sembra che la previsione si possa applicare a tutte le ipotesi di clausole di mediazione o di conciliazione9, dato che la locuzione utilizzata dal legislatore prescinde dal fatto che le parti abbiano o meno richiamato un organismo di mediazione all’interno della clausola10.
Non si indica la “sanzione” prevista nel caso in cui alcuna delle parti non presenti la domanda di mediazione, ma sul punto appare possibile aderire alla tesi espressa da un’autorevole voce11, la quale ritiene che l’inosservanza di tale prescrizione rappresenti un reale ostacolo alla prosecuzione del giudizio12.
Inoltre, un problema particolare si pone con riferimento alla «clausola multistep», alla quale non sembra potersi applicare quanto previsto dal quinto comma dell’art. 5, laddove appaia chiara la comune volontà delle parti di affidare il tentativo di conciliazione allo stesso arbitro, anziché ad un diverso mediatore13.
Per comprendere la portata “rivoluzionaria” delle disposizioni introdotte nel 2010, appare utile analizzare gli orientamenti giurisprudenziali precedenti alla riforma.
In passato, la Cassazione si è occupata della natura delle cd. «clausole di mediazione o di conciliazione»14. Si è rilevato che tali clausole, con le quali le parti conferiscano ad un terzo il solo incarico di esperire un tentativo di conciliazione, per le eventuali controversie che insorgano sull’interpretazione e sull’esecuzione di un determinato contratto, non implicherebbero affatto rinuncia alla tutela giurisdizionale15. A questo proposito, si deve evidenziare la netta distinzione rispetto alla diversa ipotesi di compromesso per arbitrato irrituale (in cui il terzo ha il compito di definire la contesa in via transattiva con effetto vincolante per i contraenti)16.
Sulla base di tali premesse, si giungeva ad affermare che il mancato esperimento del tentativo previsto pattiziamente non fosse affatto di ostacolo alla proponibilità e procedibilità dell’azione giudiziaria17. Pertanto, secondo la (diffusa) opinione passata18, il mancato esperimento del tentativo di conciliazione non avrebbe comportato l’improcedibilità, neppure temporanea19, dell’azione giudiziaria promossa senza il previo esperimento del concordato tentativo di conciliazione20.
Conseguenza di tale impostazione è che la clausola di mediazione o conciliazione, prima della riforma21, non potesse essere ritenuta vessatoria ai sensi dell’art. 1341 c.c. 22 (o abusiva ai sensi delle disposizioni ospitate dal cd. «codice del consumo»23), in quanto non derogativa della competenza, né contenente ostacoli reali alla proposizione della domanda giudiziaria24.
La Suprema Corte25 ha evidenziato che l’inosservanza di clausole contrattuali che impongano alle parti, prima di promuovere l’azione giudiziaria, l’esperimento di un tentativo di amichevole componimento della lite non comportano l’improcedibilità, neppure temporanea, dell’azione giudiziaria promossa senza aver ottemperato all’obbligo previsto, dato che tali clausole non implicano una rinuncia alla tutela giurisdizionale26. Pertanto, prima della novella del 2010, si tendeva ad affermare esclusivamente che l’inosservanza del patto potesse determinare, fra le parti, conseguenze di carattere «sostanziale», quale l’obbligazione del risarcimento del danno eventualmente prodotto27, ma non avesse rilevanza nell’ordinamento processuale28, tanto da spingere un’autorevole voce a coniare un ὀξύμωρον (ossimoro), definendo la clausola una ipotesi di «mediazione facoltativamente obbligatoria»29.
Nel 2001 la Corte di Cassazione ha affermato che non ci si deve limitare al nomen imposto dalle parti, dovendosi effettuare un’analisi in senso soggettivo delle previsioni contrattuali30.
È bene, infatti, evidenziare che quella che viene indicata come «clausola compromissoria» sia in realtà una clausola con cui le parti si impegnano ad esperire un tentativo di conciliazione. Nel caso concreto si era analizzata una clausola contenuta in un contratto che prevedeva quanto segue: «per tutte le controversie resta incaricata una commissione di arbitrato che dovrà essere composta dal presidente del tribunale o da un suo delegato, da un tecnico di un ente territoriale e da un tecnico di parte; resta convenuto che per adire la magistratura ordinaria dovrà comunque essere esperito il tentativo dell’arbitrato»31.
I Giudici della Suprema Corte, a tal proposito, hanno affermato che una clausola del genere «non configura un vero e proprio arbitrato, rituale o irrituale»32. La stessa, infatti, non può che essere interpretata nel senso che le parti abbiano previsto una specie di tentativo di conciliazione, sulla base della proposta formulata dalla commissione33, prima di potersi rivolgere al giudice secondo le regole ordinarie.
Come anticipato34, si stanno diffondendo le clausole compromissorie che prevedono l’esperimento di un tentativo di conciliazione prima dell’inizio del giudizio arbitrale35.
Il modello, di derivazione anglosassone36, si è affermato anche nel nostro Paese37. Ad esempio, la Camera arbitrale di Milano ha elaborato una clausola standard che prevede la “tappa” obbligatoria” della mediazione, prima di instaurare il giudizio innanzi agli arbitri38.
Analizzando le istituzioni arbitrali di respiro internazionale, si segnala che la Corte arbitrale europea di Strasburgo ha predisposto una clausola «multistep» particolarmente completa, che può offrire garanzie, grazie al rinvio ad un regolamento noto per la sua efficacia39.
1 Ex pluribus: M. Caradonna, la mediazione civile: novità e dubbi interpretativi, corr. trib., 2010, fasc. 45, pag. 3792; C. M. Ferri, Manuale della nuova mediazione e conciliazione giudiziale, Wolters Kluwer, Milano, 2014; G. Spina, Mediazione civile, Altalex, 2016.
2 Sul tema: M. Curti, Profili processuali delle clausole di conciliazione, Riv. trim. dir. proc. civ., 2000, pag. 1039; F. Cuomo Ulloa, La conciliazione. Modelli di composizione dei conflitti, Cedam, Padova, 2008, pagg. 373 e ss. Come rilevato da un risalente dictum, si tratta di «un accordo sulla comune utilizzazione di uno strumento conciliativo (…) allo scopo di consentire alle parti stesse una rapida definizione della lite» (Pret. Prato, 21 luglio 1987, Toscana lav. giur., 1988, pag. 373). Si rinvia altresì a: P. Gianniti – R. Piccione, La mediazione professionale nel sistema degli A.D.R., Utet, Torino, 2012, pagg. 179 e ss.
3 Sul punto: M. Rubino – Sammartano, International Arbitration, Law and Practice, Wolters Kluwer, London, 2001, pag. 39. Si rinvia inoltre a R. Barberio, Dopo la mediazione … l’arbitrato, R. Barberio – D. Lupo – A. Sirotti Gaudenzi, Mediazione e conciliazione delle liti. Rapporti con la giurisdizione e l’arbitrato, Experta, Forlì-Trento, 2011, pag. 293, il quale scrive: «non era facilmente sospettabile che la mediazione, ritenuta a torto parente derelitta dell’arbitrato, potesse rivelarsi il suo migliore veicolo culturale».
4 Il sesto comma dell’art. 60 prevedeva quanto segue: «qualora il contratto ovvero lo statuto della società prevedano una clausola di conciliazione e il tentativo non risulti esperito, il giudice, su istanza della parte interessata proposta nella prima difesa, dispone la sospensione del procedimento pendente davanti a lui fissando un termine di durata compresa tra trenta e sessanta giorni per il deposito dell’istanza di conciliazione davanti ad un organismo di conciliazione ovvero quello indicato dal contratto o dallo statuto. Il processo può essere riassunto dalla parte interessata se l’istanza di conciliazione non è depositata nel termine fissato. Se il tentativo non riesce, all’atto di riassunzione è allegato il verbale di cui al comma 2. In ogni caso, la causa di sospensione si intende cessata, a norma dell’art. 297, co. 1, c.p.c., decorsi sei mesi dal provvedimento di sospensione». Sul tema: P. Bartolomucci, La clausola di conciliazione e il nuovo processo societario, Dir. prat. soc., 2004, pag. 45.
5 Art. 5, comma quinto, D.lgs. n. 5/2010.
6 Ibidem.
7 Ibidem.
8 Ibidem.
9 U. Carnevali, La nuova mediazione civile, Contratti, 2010, fasc. 5, pag. 439
10 Sul punto: V. Cuffaro, Spontaneità della conciliazione e obbligatorietà della mediazione, Corr. mer., 2011, fasc. 1, pag. 5, il quale peraltro sottolinea che «la presenza di clausole conciliative o di preventivo accordo bonario determina una improcedibilità relativa, giacché solo alla parte è consentito di formulare l’eccezione, senza che il giudice possa rilevarla d’ufficio».
11 M. Rubino – Sammartano, Il diritto dell’arbitrato, sesta edizione, Cedam, Padova, 2010, pag. 17. Tale impostazione è confermata da C. Besso (a cura di), La mediazione civile e commerciale, Giappichelli, Torino, 2010, pag. 331; P. Gianniti – R. Piccione, La mediazione professionale nel sistema degli A.D.R., cit., pag. 179.
12 Incidentalmente, si rinvia ad un dictum contenente interessanti epifanie: Trib. Milano, 17 luglio 2009, Trust, 2009, fasc. 6, pag. 649. La dottrina evidenzia che «la clausola di mediazione diventa oggi previsione avente carattere obbligatorio e determina la sospensione (seppur temporanea) del processo instaurato in violazione della stessa» (P. Gianniti – R. Piccione, La mediazione professionale nel sistema degli A.D.R., cit., pag. 179).
13 Si veda: U. Carnevali, op. cit., pag. 439.
14 L’argomento è stato più ampiamente trattato R. Barberio – D. Lupo – A. Sirotti Gaudenzi, Mediazione e conciliazione delle liti, cit., 2011.
15 Cass. Civile, sez. I, 3 dicembre 1987, n. 8983, Mass. Foro it., 1987.
16 In effetti, la decisione, di natura negoziale, che li conclude è sfornita dell’elemento che caratterizza l’arbitrato rituale, ossia l’attitudine a divenire “sentenza” a seguito del deposito del lodo. Tuttavia, rispetto al procedimento di mediazione, è pur presente un qualche elemento decisorio (Cass. Civile, sez. I, 28 aprile 2010, n. 10221, Mass. Foro it., 2010).
17 Cass. Civile, sez. I, 3 dicembre 1987, n. 8983, cit.
18 Si richiama: A. Castagnola – F. Delfini, La mediazione nelle controversie civili e commerciali, Cedam, Padova, 2010, pag. 108.
19 M. Curti, Obbligatorietà e pregiudizialità delle clausole di conciliazione, Foro pad., 1999, I, col. 235. Si veda inoltre: I Pagni, Mediazione e processo nelle controversie civili e commerciali: risoluzione negoziale delle liti e tutela giudiziale dei diritti, Società, 2010, fasc. 5, pag. 619.
20 Cass. Civile, sez. I, 3 dicembre 1987, n. 8983, cit. Più recentemente, si è affermato come «ogni deroga all’esercizio del diritto costituzionale di agire giudizio a tutela dei propri diritti soggettivi [fosse] insuscettibile sia di estensione analogica, sia di interpretazione estensiva, tant’è vero che persino le prescrizioni legali di obbligatorietà di un tentativo di conciliazione preventivo non danno luogo ad improcedibilità ove tale sanzione processuale non sia espressamente prevista» (Trib. Siena, 3 aprile 2014, Pluris, 2014).
21 Sugli effetti della novella del 2010, in particolare, cfr.: C. Besso (a cura di), La mediazione civile e commerciale, cit., pag. 331.
22 Sul tema, si richiama l’eccellente intervento di P. Bartolomucci, Arbitrato e conciliazione nelle controversie del consumo, pulitintorie e turismo, A. Buonfrate – C. Giovannucci Orlandi (a cura di), Codice degli arbitrati, delle conciliazioni e di altre ADR, Utet, Torino, 2006, pag. 283 (in particolare, si vedano le pagg. 292 e ss.).
23 Cfr.: P. Bartolomucci, La clausola di conciliazione nei contratti dei consumatori tra vessatorietà e garanzia di accesso alla giustizia, Contratti, 2003, fasc. 1, pag. 101.
24 Infatti, la clausola di limitazione delle azioni giudiziali, quantomeno sotto il profilo temporale è stata reputata abusiva iuris et de iure ai sensi dell’art. 1469 quinquies, secondo comma, n. 2, c.c. (oggi art. 36, secondo comma, n. 2, del codice del consumo). Pertanto, se la clausola fosse così interpretata, dovrebbe esserne rilevata d’ufficio l’inefficacia e/o la nullità, con la conseguenza che l’azione spiegata sarebbe comunque proponibile (Trib. Taranto, sez. Ginosa, 25 novembre 2008, Platinum, 2013; Trib. Lamezia Terme, 23 dicembre 2009, ivi, 2009).
25 Cass. civ. Sez. III, 28 novembre 2008, n. 28402, Imm. e propr., 2009, fasc. 2, pag. 117. La decisione della Suprema Corte è stata richiamata recentemente da: Trib. Torre Annunziata, 30 maggio 2013, inedita (secondo cui «costituisce (…) orientamento giurisprudenziale consolidato che il patto che preveda l’obbligo di esperire il tentativo di amichevole composizione di una lite non comporta alcuna preclusione all’esercizio dell’azione giudiziaria, atteso che i presupposti processuali per la validità del procedimento, rispondendo ad esigenze di ordine pubblico, possono trovare ragione di sussistenza soltanto nella legge e non nell’autonomia privata, per cui soltanto il legislatore può derogare al principio del libero ed incondizionato esercizio dell’azione civile, ove non ricorra un patto compromissorio o una rinuncia all’azione stessa, e imporre condizioni di procedibilità»). Naturalmente, il dictum reso dal Giudice campano si riferisca ad una clausola inserita in un contratto precedente all’entrata in vigore della riforma del 2010.
26 Nell’occasione la Suprema Corte ha evidenziato quanto segue: «è indubbio che una previsione contrattuale non possa mai precludere l’esercizio di una azione giudiziaria, ma nulla osta a che una previsione contrattuale possa, invece, differire nel tempo l’esercizio dell’azione stessa, come nel caso di specie, subordinando quest’ultima all’infruttuoso esperimento del tentativo di conciliazione. Se la legge ordinaria è una fonte idonea a istituire tentativi obbligatori di conciliazione, anche il contratto, nella misura in cui tra le parti ha forza di legge, deve reputarsi una fonte del diritto altrettanto idonea. La previsione del tentativo di conciliazione, legale o volontaria, non solo non contrasta con la Costituzione, ma addirittura risulta conforme alla stessa (…). Inoltre, soppesando da un lato l’interesse generale a perseguire tutte le strade che possano portare a un contenimento del contenzioso giudiziario e dall’altro l’altrettanto preminente interesse a non sopprimere i mezzi di tutela giurisdizionale ordinaria, dovrebbe attribuirsi prevalenza al primo dal momento che questo non implica una rinuncia definitiva al secondo ma semplicemente un differimento cronologico, nell’interesse dello stesso asserito titolare del diritto che si intende far valere».
27 Difficilmente configurabile, peraltro, secondo attente voci (M. Cicogna – G. Di Rago – G. N. Giudice, Manuale delle tecniche di mediazione nella nuova conciliazione, Maggioli, Rimini, 2010, pag. 375, i quali si riportano all’esperienza anglosassone. Sul tema, si rinvia a: Trib. San Remo, 27 agosto 1998, Foro pad., 1999, I, col. 234.
28 Cass. Civile, sez. III, 17 dicembre 1986, n. 7626, Rass. equo canone, 1987, pag. 193.
29 Sic: F. Cuomo Ulloa, La conciliazione. Modelli di composizione dei conflitti, cit., pag. 373.
30 Cass. Civile, sez. I, 27 gennaio 2001, n. 1191, Nuova giur. civ. comm., 2002, I, pag. 13, con nota di M. Curti.
31 Ibidem.
32 La formula esaminata, considerata nel suo complesso, fa emergere chiaramente che le parti non hanno voluto rinunciare alla tutela giurisdizionale, ma solo prevedere, prima di poter adìre il giudice ordinario, un fase di carattere obbligatorio, finalizzata alla ricerca di una soluzione extragiudiziale della controversia. Nell’espressione «tentativo di arbitrato», utilizzata nella clausola, il termine arbitrato è evidentemente usato non nel suo significato tecnico, atteso che l’arbitrato comporta una rinuncia alla tutela giurisdizionale, avendo una funzione sostitutiva rispetto ad essa. Dato che le parti hanno voluto mantenere la possibilità di adire la magistratura ordinaria, deve escludersi che la clausola in questione configuri un vero e proprio arbitrato, rituale o irrituale (Cass. Civile, sez. I, 27 gennaio 2001, n. 1191, cit.).
33 O, rectius, dal collegio arbitrale.
34 Si rinvia al par. 1.1. di questo saggio.
35 ISDACI, Terzo rapporto sulla diffusione della giustizia alternativa in Italia, Global Print, Milano, pag. 165.
36 Negli U.S.A., ad esempio, si parla, quindi, di sequence di formule di «ADR» (M. Rubino – Sammartano, Il diritto dell’arbitrato, cit., pag. 31).
37 Incidentalmente: F. Carbone, Introduzione alla conciliazione, Temi rom., 2005, fasc. 3, pag. 139.
38 Si veda la clausola «multistep» della Camera arbitrale di Milano del seguente tenore: «Le parti sottoporranno le controversie derivanti dal presente contratto al tentativo di conciliazione previsto dal Servizio di conciliazione della Camera arbitrale di Milano. Nel caso in cui il tentativo fallisca, le controversie derivanti dal presente contratto o in relazione allo stesso, saranno risolte mediante arbitrato secondo il Regolamento della Camera arbitrale di Milano, da un arbitro unico/tre arbitri, nominato/i in conformità a tale Regolamento». Anche la Camera di Commercio di Firenze ha predisposto, sin dall’entrata in vigore del D.lgs. n. 5/2003, alcuni modelli, utilizzabili soprattutto nell’ambito delle controversie societarie.
39 Questo è il testo: «Any dispute between the parties relating to or arising from this contract shall be submitted to a procedure of mediation conducted by a sole mediator, appointed and proceeding in accordance with the Mediation Rules of this body by the local branch – if any – of the Mediation Centre for Europe, the Mediterranean and the Middle East having its seat in Strasbourg, which Rules are in force at the date of filing of the application for mediation. In the event of the mediation proceedings not taking place or being unsuccessful, any dispute arising from said relationships between the parties shall be determined in accordance with the Arbitration Rules and the Internal Rules of the European Court of Arbitration – being part of the European Centre of Arbitration having its seat at Strasbourg (in force at the time the application for arbitration is filed), with right to appeal – unless forbidden by the applicable procedural law – including for wrong choice of the substantive law and or for errors of substantive law and errors of fact, by way of rehearing by an appellate arbitral tribunal (if so allowed by the applicable procedural law), of which adoption of this clause constitutes acceptance. The arbitration proceedings will be conducted according to the provisions of the said Rules by a sole arbitrator who will be appointed, if the dispute is domestic, by the local Chapter – if any – of the European Court of Arbitration and in the absence of a local Chapter, as well as to all non domestic disputes, by the Central Registrar competent for that area: Strasbourg for Northern and Central Europe ; Valencia for disputes between parties belonging even one of them to Southern Europe, the Mediterranean and the Middle East (as to France, the Department of Provence, Alpes, Côte d’Azur, les Bouches du Rhône, Var, Roussillon and
Languedoc) Portugal, the Balkans, Romania, Bulgaria, Ukraine, the Black Sea and in general all the countries of Eastern Europe. The parties undertake to keep, and to cause their Counsel, advisors, managers, employees and agents to keep strictly confidential the dispute, the facts, the documents, the evidence and the award. The parties agree to conduct and to cause their Counsel to conduct themselves in a manner which limits the duration of the proceedings to six months, and to avoid the production of documents and the calling of witnesses who are unnecessary or irrelevant, restraining motion practices, avoiding delays, vexatious or repetitive conduct and in general any overlawyering and accepting to pay to the other parties all legal costs caused by a breach of such commitment, even in cause of final success in the dispute. Each party further undertakes to promptly reimburse the other parties which should pay its share of any advance requested by the European Court of Arbitration or by its local competent Chapter – if any – for the proceedings and to recognise that the other parties shall be entitled to an ex parte summary judgment, or other summary proceedings, against it for such repayment. The parties request the arbitrator to issue as soon as possible an interim award for the part of a claim or cross claim which is undisputed or manifestly grounded».