Quando il legislatore, nell’ambito del processo di riordino del sistema della formazione professionale di cui all’art. 17 della L. n. 196/1997, statuì con l’art. 118 della L. n. 388/2000 la nascita dei fondi paritetici interprofessionali, inquadrò gli stessi nell’alveo degli enti di diritto privato, sia che avessero forma associativa, sia che fossero dotati di personalità giuridica.
Recenti interventi sia della giustizia amministrativa (si pensi alla sentenza n. 4304/2015 della VI Sezione del Consiglio di Stato), sia delle Autorità Garanti (è il caso della Lettera del 15 gennaio 2016 dell’ANAC al Ministro del Lavoro), sia dell’ANPAL (nota del 23 ottobre 2017 n. 13199), mettono tuttavia in discussione la sicurezza di tale sistemazione.
Tali risoluzioni, in particolare, richiamandosi alla normativa europea in tema di aiuti di Stato, di appalti pubblici, mettono in crisi la qualificazione dei fondi come enti di diritto privato, in quanto richiamano espressamente obblighi e vincoli che per loro natura sono tipici degli enti di diritto pubblico.
Sorge quindi spontanea la domanda se detti organismi non vadano inquadrati in quella categoria di soggetti che – per la normativa europea – indipendentemente dalla loro forma e modalità costitutiva, sono destinatari di quegli stessi obblighi previsti per gli enti pubblici.
Stiamo parlando, in sostanza degli “organismi di diritto pubblico” così come definiti, fra le tante, dalle direttive 89/440/CEE (art. 1), 2003/98/CE (art. 2), e 2004/18/CE (art. 1), quali enti istituiti “per soddisfare specificamente bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale”, dotati “di personalità giuridica” e “la cui attività è finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti locali o da altri organismi di diritto pubblico”, ovvero soggetti al controllo o alla vigilanza di questi, anche tramite la nomina di propri rappresentanti negli organi di gestione, controllo o vigilanza.
Se consideriamo le finalità dei fondi e come si siano evolute nel tempo, è innegabile che rispondano al soddisfacimento di esigenze di carattere generale rientranti tra quelle di cui all’art. 35 della Costituzione (si veda in particolare il secondo comma) e difficilmente inquadrabili nell’alveo delle attività economiche di tipo lucrativo. E questo non solo in termini di gestione degli interventi formativi, ma anche di sostegno al reddito dei lavoratori a rischio di espulsione dal mercato del lavoro, come da art. 19 co. 7 del D.l. n. 185/2009 e successivo art. 9 del D.I. n. 46441 del 19 maggio 2009.
Allo stesso modo, è palese come detti enti, al di là del dato formale del riconoscimento della personalità giuridica (di cui agli articoli 1 e ss. del D.P.R. n. 361/2001) siano, anche ove costituiti ai sensi dell’art. 36 c.c. (in sostanza come associazione di associazioni), suscettibili di essere centro di imputazione di interessi e posizioni giuridiche attive e passive: in questo senso e secondo il criterio “dell’effetto utile” di cui all’art. 10 del Trattato CE (che impone, in un’ottica di “geometria variabile”, che l’applicazione e l’interpretazione delle norme comunitarie vadano effettuate in ragione delle finalità che si intendono raggiungere), i fondi interprofessionali, comunque costituiti sono organismi dotati di “personalità giuridica” in senso sostanziale.
Infine, ed è il dato che sicuramente non sfugge a chi si occupa di consulenza del lavoro, il loro finanziamento è assicurato (ex art. 118 della L. n. 388/2000) tramite il ricorso ad una quota dei contributi delle assicurazioni generali obbligatorie ed in particolare di quella contro la disoccupazione involontaria ex art. 25 della L. n. 845/1978. Si tratta di un contributo rientrante sicuramente tra le prestazioni ex art. 23 della Costituzione (indipendentemente se lo si voglia considerare come tributo speciale o come obbligazione di diritto pubblico) ed il cui mancato adempimento è soggetto a sanzione. Esso è erogato tramite l’Inps, la cui natura di Ente pubblico – o a sua volta di organismo di diritto pubblico – non è certo in discussione, per cui si trova soddisfatta anche la terza condizione imposta dalle citate normative europee.
Logica conseguenza di tale inquadramento dei fondi interprofessionali – per altro non sfuggita al Presidente dell’ANAC – è che gli stessi, per loro intrinseca natura (e non per equiparazione o fictio juris), saranno soggetti a tutti gli obblighi ed i vincoli relativi agli aiuti di Stato ai sensi degli artt. 107 – 109 del TFUE (e conseguentemente ai Regolamenti nn. 1379, 1407 e 1408 del 2013 in tema di aiuti in regime “de minimis”, nonché al Regolamento n. 651 del 2014 di esenzione per categorie dall’obbligo di notifica preventiva), al codice degli appalti pubblici, nonché, da ultimo, all’obbligo di nomina del DPO secondo l’art. 37 del Regolamento n. 2016/679/UE in tema di tutela della riservatezza dei dati personali.