LA “MANCATA ESECUZIONE” di prestazioni lavorative non integra la fattispecie di “esecuzione negligente

Emilia Scalise, Consulente del Lavoro in Milano

Secondo un recente orientamento della Corte di Cassazione vere e proprie condotte omissive, violative di precisi obblighi giuridici positivi, ossia di fare, non integrano una “esecuzione negligente”, bensì la “mancata esecuzione” di prestazioni lavorative. Analizziamo in concreto l’ordinanza n. 30427 dello scorso 3 novembre 2023.

FATTI IN CAUSA

Il caso di specie riguardava un lavoratore dipendente di E. Spa con mansioni di ispettore di 1 livello e con responsabilità dei punti vendita delle zone di Massa, Carrara, Lido di Camaiore, Pisa, La Spezia, Parma, Reggio Emilia e Viareggio. A seguito di contestazione disciplinare del 18/09/2017, era stato licenziato per giusta causa in data 07/10/2017. Adito dal lavoratore, il Tribunale di Firenze, al termine della fase c.d. sommaria del rito, accoglieva l’impugnazione, ordinava la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e condannava la società al pagamento dell’indennità risarcitoria, liquidata in dodici mensilità. All’esito dell’opposizione proposta dalla società, il Tribunale riteneva sussistenti alcuni degli inadempimenti contestati in via disciplinare, ma non così gravi da giustificare il licenziamento. Quindi dichiarava risolto il rapporto di lavoro e condannava la società a pagare all’ex dipendente l’indennità risarcitoria in misura pari a venti mensilità. Successivamente entrambe le parti presentavano reclamo, principale per l’ex lavoratore volto ad ottenere la reintegrazione nel posto di lavoro, e incidentale della società, con l’obiettivo di ottenere il rigetto di ogni domanda dell’ex dipendente. Entrambi i reclami venivano respinti dalla Corte d’Appello. Avverso tale sentenza l’ex dipendente proponeva ricorso principale per Cassazione, affidato a tre motivi. Allo stesso modo E. Spa resisteva con controricorso proponendo a sua volta ricorso incidentale, affidato a due motivi.

LA DECISIONE DELLA CORTE

Ai fini della nostra trattazione è opportuno soffermarsi sul primo motivo del ricorso principale. Nello specifico, l’ex lavoratore lamenta la “violazione e falsa applicazione” della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 4, nonché dell’art. 225 del Ccnl Commercio, per avere la Corte territoriale omesso di rilevare che la tutela reintegratoria di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 4, si applica anche al caso in cui il fatto sia previsto dal Ccnl come punibile con una sanzione conservativa e per avere omesso di rilevare che “l’esecuzione negligente del lavoro” è punita con la sanzione della multa, oppure con quella della sospensione ma solo in caso di recidiva per la terza volta nell’anno solare. L’art. 225 del Ccnl applicato, infatti, prevede l’applicazione di una sanzione conservativa nei confronti del lavoratore che esegua con negligenza il lavoro affidatogli. Secondo il ricorrente, dunque, la condotta con testatagli configura lo stato di negligenza non grave e pertanto la stessa non sarebbe punibile con la sanzione espulsiva bensì conservativa. La Corte, tuttavia, dichiara infondato e inammissibile il motivo di ricorso. Come si evince dall’accertamento, le condotte contestate al lavoratore sono state tutte in termini di “mancata esecuzione” di determinati e specifici compiti propri dell’istruttore responsabile di punti vendita (mancata consegna e mancata spiegazione della nuova ricetta degli articoli “lingue rustiche” e “lingue”, che avrebbero richiesto l’utilizzo di apposita carta da forno, invece non utilizzata; mancato controllo sul confezionamento dell’articolo “pizza romana” in modo diverso da quello previsto per garantirne la tracciabilità, che risultava in tal modo alterata; mancata gestione del rifornimento dei girelli con focaccine, focacce e lingue in reparti che si presentavano di conseguenza costantemente vuoti durante la stagione estiva; mancata effettuazione della nuova check-list di reparto e mancata informazione ai responsabili del reparto pane e dolci in merito a costi della manodopera, dati delle vendite, conti economici del reparto; mancata indicazione ai reparti di effettuare gli annunci, tramite l’interfono, relativi al pane caldo appena sfornato). Per la Corte, quindi, esse sono vere e proprie condotte omissive, violative di precisi obblighi giuridici positivi, ossia di fare e in quanto tali non integrano una “esecuzione negligente”, bensì la “mancata esecuzione” di prestazioni lavorative. Ne deriva che tali condotte non possono in alcun modo essere sussunte nell’ambito applicativo dell’art. 225 del Ccnl invocato. Secondo i giudici di legittimità, è altresì insufficiente il rinvio, contenuto nell’art. 225 del Ccnl applicato, all’art. 220, comma 1, del medesimo contratto (la cui violazione è soggetta a licenziamento disciplinare nel caso di grave violazione degli obblighi ivi contenuti), che contiene una generica previsione di “osservare nel modo più scrupoloso i doveri d’ufficio”, e come tale inidonea a configurare quella tipizzazione della fattispecie disciplinare punita con sanzione conservativa, presupposta invece dalla L. n. 300 cit., art. 18, comma 4. Si ricorda infatti che l’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori prevede, al comma 4, che il giudice, nelle ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, per insussistenza del fatto contestato ovvero perché il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili, annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro. La Corte, quindi, assume la tesi secondo cui la sanzione conservativa deve essere tipizzata (e non dedotta a contrario) e che nel caso di specie si tratti di inadempimenti non di negligenza (o inesatto adempimento) e in quanto tali non riconducibili alla tutela reintegratoria forte di cui sopra bensì a quella attenuata stabilita al comma 5.


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