Recenti pronunce giurisprudenziali sembrano aver messo in dubbio l’obbligatorietà del versamento degli accantonamenti alle casse edili.
Tanto è dato di desumere, tra le più recenti, dall’ordinanza della Cassazione n. 9962 del 23 aprile 2018.
Va subito precisato che quello degli accantonamenti alle casse edili è un argomento “scottante”, soprattutto perché registra una vera e propria “polarizzazione” delle posizioni tra chi vede in questo istituto (non sempre immotivatamente) l’ennesimo esempio di “carrozzone sindacale”, e chi ritiene che sia un soggetto – tra l’altro uno dei primi esempi di bilateralità – che svolge funzioni di tutela per i lavoratori, nel momento in cui garantisce a questi la corresponsione di trattamenti la cui interezza è suscettibile di essere messa in dubbio dalla stessa discontinuità del lavoro in edilizia.
La diatriba, in realtà viene da lontano, e già all’indomani del recepimento del Ccnl per i Dipendenti delle Imprese Edili dell’Industria del 24 luglio 1959 dai cosiddetti “Decreti Vigorelli” (e precisamente dal D.P.R n. 1032 del 14 luglio 1960 in attuazione della L. n. 741 del 14 luglio 1959), che può essere considerato “l’atto di nascita” dell’istituto delle Casse Edili (quanto meno per il comparto industriale).
Con le sentenze nn. 43 del 26 maggio 1965, 78 del 23 ottobre 1964, 31 del 18 marzo 1964 e 129 del 4 luglio 1963, la Corte Costituzionale aveva dichiarato l’illegittimità del suddetto Ccnl (come normativamente recepito) laddove prevede l’obbligo di iscrizione a detti Enti – che ricordiamo nascono come risultato dell’autonomia delle parti contraenti – anche alle imprese non aderenti ai soggetti firmatari.
Posta la questione in questi termini, ed assodato che: 1) parliamo di enti e strutture di servizio di natura privatistica, 2) che erogano trattamenti di natura retributiva (sempre per evitare che la discontinuità del lavoro in edilizia si traduca in una diminuzione di taluni istituti di retribuzione differita per i lavoratori), sembrerebbe che le imprese edili siano non già obbligate, bensì facoltizzate all’iscrizione ed al versamento degli accantonamenti in Cassa Edile, ben potendo, in alternativa corrisponderli direttamente al lavoratore.
Un’analisi più approfondita, infatti, porta a ridimensionare la portata di questa impostazione.
In primo luogo, riandando alle pronunce della Corte Costituzionale, va evidenziato che le stesse non hanno riguardato il divieto di conglobamento nella retribuzione ordinaria degli importi da accantonare, di cui all’art. 34 del menzionato CCNL.
Tanto è dato desumere dalle sentenze della Cassazione Penale nn. 11564 del 19 novembre 1994 (III sez.), 10683 del 23 novembre 1993 (sez. II), 2527 del 24 febbraio 1987 (sez. III), 8201 del 12 agosto 1986 (sez. III) e 8595 del 21 dicembre 1972 (sez. I), che non solo sanzionano il mancato accantonamento ed il conglobamento ai sensi dell’art. 8 della L. n. 741 del 14 luglio 1959, ma riaffermano l’obbligo dell’accantonamento e della sua evidenza, sia contabile – con l’individuazione di un apposito e distinto appostamento – che finanziaria – con il versamento in appositi fondi distinti dalla cassa ordinaria.
In secondo luogo non può negarsi una intervenuta evoluzione dell’Istituto che pur rimanendo di derivazione privatistica, si vede oggi riconosciuta la qualità di “esercente un servizio di pubblica utilità” per la natura delle prestazioni erogate, soprattutto laddove le stesse vanno ad integrare trattamenti che sarebbero altrimenti normalmente corrisposti in misura inferiore rispetto alle retribuzioni correnti.
Depone in tal senso la sentenza della Cassazione Civile (sez. lavoro) n. 25888 del 28 ottobre 2008, che – richiamando a sua volta la sentenza n. 13300/2005 – dichiara fondato il verbale dei servizi ispettivi quale titolo ex art. 635, c. 2, c.p.c. per l’emissione del decreto ingiuntivo da parte della Cassa Edile nei confronti delle imprese inadempienti.
Tale convincimento è rafforzato dalla sentenza della Cassazione n. 39539 del 5 ottobre 2012 che, riconoscendo funzionari ed impiegati delle casse edili quali “incaricati di pubblico servizio”, estende anche a costoro la possibilità di condanna per il reato di peculato, in luogo della – più leggera – sanzione per l’appropriazione indebita.
Tanto meno questa ricostruzione viene smentita dalle sentenze di legittimità che negano la legittimazione del lavoratore ad agire direttamente verso la Cassa Edile per la “tutela automatica”, in quanto fondate:
In questa prospettiva va ridimensionata la portata delle già citata ordinanza n. 9962/2018 e della sentenza n. 7050/2011, in quanto le stesse non decidono in ordine all’esistenza o meno di un obbligo di versamento degli accantonamenti alla cassa edile – e quale ne sia la natura – bensì sulla possibilità per le imprese destinatarie di un decreto ingiuntivo da parte di questa per gli accantonamenti non versati, di opporvi validamente l’intervenuto pagamento dei corrispondenti trattamenti direttamente al lavoratore (secondo gli artt. 1269 e ss. del codice civile)!
Ed a voler procedere ad una ricostruzione normativa dell’istituto, non si può fare a meno di osservare come il citato obbligo trovi fondamento in tutte quelle norme che obbligano l’impresa esercente attività edile al rispetto integrale dei relativi CCNL, anche condizionandone il pagamento delle spettanze – in caso di appalto – all’emissione del Durc da parte delle stesse casse edili.
Si vedano all’uopo gli articoli 10 della L. n. 30/2003, 86 del D.Lgs. n. 276/2003, 29 del D.L. n. 244/1995 e 30, 80 e 105 del D.Lgs. n. 50/2016 (38 nel vecchio T.U. sui pubblici appalti), nonché la sentenza della Cassazione Civile a SS.UU. n. 4092 del 16 febbraio 2017 ed il parere ANAC AG10-08 del 17 aprile 2008.
Non mancano, a fronte di questa ricostruzione, coloro che osservano che, pur rispondendo ad un interesse del lavoratore, possono sussistere situazioni in cui l’estensione dell’obbligo in questione a tutti gli esercenti attività edile può presentare profili di iniquità.
Si pensi ad esempio ad una cooperativa sociale di tipo “B” o “integrata” che operando in tale settore voglia applicare il CCNL delle cooperative sociali e non quello per i dipendenti delle imprese edili, decisione legittima, visto il tenore dell’art. 1 del CCNL per le cooperative sociali vigente.
Questo, infatti, prevede che tredicesima, ferie e trattamenti di anzianità vengano erogati direttamente dalla cooperativa ai soci ed ai propri dipendenti, ed obbligare questa anche all’accantonamento alla cassa edile si configurerebbe come un adempimento del tutto inutile.
Ora, ferma restando la possibilità, in caso di decreto ingiuntivo, di richiamare le norme sulla delegazione di pagamento (artt. 1269 e ss. del codice civile), vi sarebbe a detta di chi scrive, la possibilità di ricorrere in via analogica a quanto previsto dall’art. 2 bis del D.L. n.18/1991 (riconosciuta anche dal parere ANAC n. 12/2015) per le imprese che si occupano di impiantistica.
Come per queste, infatti, per una cooperativa sociale integrata o tipo B, l’attività edilizia è del tutto strumentale rispetto allo scopo dell’impresa che – nel caso delle seconde – è quella di recuperare socialmente i soci svantaggiati tramite il lavoro. Per le stesse, quindi, potrebbero – legittimamente – non configurarsi gli obblighi di iscrizione e versamento in cassa edile.