INPS, SANZIONI CIVILI E RAVVEDIMENTI. ORA PIÙ FACILE L’EVASIONE*

Mauro Parisi, Avvocato in Belluno e in Milano

La Circolare Inps n. 90/2024 illustra la nuova disciplina delle sanzioni civili e delle possibili facoltà di ravvedimento del contribuente, entrata in vigore dal 1 settembre 2024. Con le nuove regolarizzazioni, anche l’“autosegnalazione” all’Istituto tra le opzioni da soppesare.

Entrate in vigore le novità di legge sulle nuove sanzioni civili applicate da Inps e Inail, è già tempo di chiarimenti e perplessità operative. La materia, come noto, è quella delle innovative disposizioni introdotte dall’art. 30 del Decreto legge n. 19/2024, con l’attesa rimodulazione delle fattispecie previste dall’art. 116, comma 8, Legge n. 388/2000. Va innanzitutto preso atto che il tema delle sanzioni civili, nelle dinamiche contributive e nei rapporti con gli Istituti, risulta tutt’altro che marginale. Non da ultimo perché, a dispetto del nome, non di “sanzioni” in senso tecnico si tratta, bensì di predeterminate misure di penitenza e cospicui risarcimenti del danno da ritardo o occultamento. Per comprendere appieno quale possa essere la loro incidenza, basti considerare il seguente caso. Un’azienda ha goduto per diversi anni di un’agevolazione per l’assunzione di un dipendente. A seguito di una successiva verifica d’ufficio, l’Inps riteneva che non sussistessero i presupposti del beneficio e di dovere recuperare la contribuzione non versata dal datore di lavoro, che veniva quantificata in € 18.000. Come noto, al momento del recupero, oltre a richiedere il predetto importo per omessa contribuzione -e a titolo di “capitale”-, l’Istituto andrà a calcolare la maggiorazione di legge, la cosiddetta “sanzione civile”, appunto. Nell’esposto caso, per esempio, considerando il difetto originario dei requisiti richiesti, l’Inps potrà ritenere -come quasi sempre- di dovere applicare il regime più grave di maggiorazione, quello relativo alla cosiddetta “evasione” (art. 116, comma 8, lettera b), L. n. 388/2000). Come noto, in forza di tale regime la sanzione civile sarà pari al 30% del capitale in ragione d’anno, per un massimo stabilito fino al 60% della contribuzione recuperata. E quindi:

  • Recupero contributivo Inps per agevolazioni godute in modo illegittimo: € 18.000
  • – Sanzioni civili per cd. evasione trascorsi due anni dal primo godimento dei benefici: € 10.800
  • – Richiesta complessiva: € 28.800

A tale importo complessivo, raggiunto il tetto massimo di sanzione civile, è previsto che si aggiungano “interessi nella misura degli interessi di mora”, ai sensi dell’art. 116, comma 9, L. n. 388/2000.

In definitiva, è facile osservarsi che, trascorrendo alcuni anni dai fatti contestati (ed è frequente che gli accertamenti Inps intervengano solo dopo anni, e anche nell’imminenza della prossima prescrizione) è possibile che si assista a un quasi raddoppio degli importi originariamente a credito dell’Istituto. Se ulteriormente si rammenta che ancor’oggi non sono ammessi eventuali accordi e conciliazioni tra Istituti e contribuenti, è facile scorgere come quella delle sanzioni civili sia, in definitiva, una “partita” tutt’altro che marginale che il contribuente si può trovare ad affrontare nelle dinamiche del contenzioso previdenziale. Ad acuire il disagio del contribuente moroso, del resto, è la considerazione per cui, anche ove si intendesse regolarizzare la pretesa contributiva, il datore di lavoro rimarrà irregolare ai fini del Durc fino a quando non avrà altresì corrisposto l’intera misura delle sanzioni civili comminate (salva la possibilità di rateizzare comunque il proprio debito, chiaramente). Sulle novità al regime sanzionatorio, in vigore dal 1°settembre 2024, si è venuto a esprimere l’Inps -ossia chi le sanzioni civile le dovrà applicare materialmente- con la circolare n. 90 del 4 ottobre 2024. La nota dell’Istituto, nella sostanza, ripercorre pedissequamente i novellati contenuti della legge, con una particolare attenzione a forme e modi dei ravvedimenti spontanei ora garantiti. Va osservato che, benché la disciplina in argomento, nei primi commenti, sia stata generalmente esposta e percepita quale intervento normativo di favore (in quanto “relativa alla introduzione di misure dirette e indirette per trasformare il lavoro sommerso in lavoro regolare rendendo maggiormente vantaggioso operare nell’economia regolare”), la circolare n. 90/2024 ci dimostra come gli effetti positivi per i contribuenti non siano da dare per scontati. Infatti, confermata la bipartizione precedente di misure e regimi di reazione, tra sanzioni civili, più lievi (quella per c.d. “omissione”, “in ragione d’anno, pari al tasso ufficiale di riferimento maggiorato di 5,5 punti” con tetto massimo del 40% dell’“importo dei contributi o premi non corrisposti”) e più gravi (per c.d. “evasione”, “in ragione d’anno, pari al 30 per cento, fermo restando che la sanzione civile non può essere superiore al 60”), è necessario segnalare il rischio insito nella nuova descrizione dei fatti che possono venire retribuiti con la forma più grave di risarcimento. Se prima del 1°settembre 2024 le sanzioni civili di maggiore retribuzione venivano già “pericolosamente” stabilite

in caso di evasione connessa a registrazioni o denunce obbligatorie omesse o non conformi al vero, cioè nel caso in cui il datore di lavoro, con l’intenzione specifica di non versare i contributi o premi, occulta rapporti di lavoro in essere ovvero le retribuzioni erogate

dopo tale data, la previsione appare persino più specifica e comprensiva. Infatti, ora la sanzione civile prevista ai sensi della lettera b) dell’art. 116, comma b), L. n. 388/2000 risulta disposta

in caso di evasione connessa a registrazioni, denunce o dichiarazioni obbligatorie omesse o non conformi al vero, poste in essere con l’intenzione specifica di non versare i contributi o premi mediante l’occultamento di rapporti di lavoro in essere, retribuzioni erogate o redditi prodotti, ovvero di fatti o notizie rilevanti per la determinazione dell’obbligo contributivo.

Apparentemente sembrerebbe trattarsi solo di una mera “riformulazione del testo”, dettata dall’esigenza di una maggiore precisione linguistica, come pure afferma l’Inps. In effetti, la nuova previsione -salvo auspicabili rassicurazioni ufficiali- aggrava l’onere del contribuente, in quanto, per versarsi in una condizione di “evasione” sarà d’ora innanzi sufficiente anche solo l’omissione “di fatti o notizie rilevanti per la determinazione dell’obbligo contributivo”, o ritenute tali ex post. Una precisazione che comporta, per pressocché ogni forma di mancanza del contribuente, la reazione più grave. Per cui, la misura ex art. 116, co. 8, lett. b), cit., sarà disposta anche in presenza di denunce tempestive, ove a seguito di accertamenti si consideri che “ fatti” (quali?) e generiche “notizie” ulteriori e attinenti “al vero” (come percepito d’Istituto) avrebbero definito un diverso obbligo contributivo (per esempio, per avere assunto un dipendente, pure regolarmente denunciato, con una qualificazione, anziché un’altra). Quanto alla necessità della prova dell’elemento intenzionale (dolo), pure richiamato dall’Inps nella circolare (“la fattispecie dell’evasione ricorre quando l’omessa o non conforme dichiarazione obbligatoria sia posta in essere con l’intenzione specifica di non versare contributi o premi mediante l’occultamento, oltre che di rapporti di lavoro in essere e di retribuzioni erogate, anche di redditi prodotti, ovvero di fatti o notizie rilevanti per la determinazione dell’obbligo contributivo”), come ben noto all’Istituto, in presenza di omissioni o irregolarità, il dolo basta che sia solo presunto. Non trattandosi di una presunzione assoluta, il contribuente potrebbe offrire una prova contraria (es. ipotesi di forza maggiore), però, nei fatti, solitamente molto ardua e raramente ritenuta rilevante dall’amministrazione e dal Giudice. In tale senso si è peraltro sempre espressa la conforme giurisprudenza e il medesimo Inps, come per esempio con la circolare n. 106/2017:

L’elemento psicologico introdotto dall’art. 116, comma 8, lettera b), può pertanto influire sulla valutazione del comportamento omissivo riportando lo stesso nell’alveo dell’ipotesi meno grave di cui alla lettera a) del medesimo articolo qualora il soggetto inadempiente sia in grado di provare la sua buona fede e quindi la mancanza dell’intento fraudolento. Le Sezioni Unite della Suprema Corte, nella sentenza n. 28966/2011, hanno affermato che la predetta prova non può tuttavia ritenersi assolta per effetto dell’avvenuta corretta annotazione, sui libri obbligatori, dei dati omessi o infedelmente riportati nelle denunce. In tale ipotesi, l’accertamento della sussistenza delle circostanze, ove eccepite, idonee a superare la suddetta presunzione dell’intento fraudolento, spetterà al giudice di merito in quanto presunzione non assoluta. Pertanto, l’onere probatorio è posto a carico del soggetto inadempiente. Più in dettaglio, in ordine all’atteggiarsi dell’intento fraudolento, determinante alla stregua della disciplina in oggetto per la configurabilità dell’evasione, successiva giurisprudenza di legittimità ha affermato testualmente che “l’omessa o infedele denuncia fa presumere l’esistenza della volontà datoriale di occultare i dati allo specifico fine di non versare i contributi o i premi dovuti, salvo prova contraria del soggetto obbligato”. In termini pratici, l’ormai consolidata giurisprudenza della Suprema Corte si è espressa nel senso di ritenere che nelle ipotesi di omessa o infedele denuncia si è sempre in presenza di una fattispecie di evasione, tranne nel caso in cui il datore di lavoro fornisca una prova idonea ad escludere l’intento fraudolento, con conseguente venire ad esistenza della diversa e più tenue fattispecie dell’omissione.

Ulteriori rilevanti precisazioni della circolare n. 90/2024, con riguardo alla decorrenza degli effetti delle nuove forme di ravvedimento ora previste, disilludono i contribuenti che ritenevano di potere uscire non troppo “malconci” da passate infrazioni. In sostanza, la possibilità di sanare ipotesi di omessi versamenti entro 120 giorni dalla denuncia tempestiva (art. 116, co. 8, lett. a), L. n. 388/2000), concernerebbe solo “mancati pagamenti di contributi correlati a obblighi di denuncia riferiti a periodi di competenza decorrenti dal 1° settembre 2024”. Quanto alle denunce tardive entro dodici mesi dall’obbligo e relativi versamenti successivi, entro 30 o 90 giorni (art. 116, co. 8, lett. b), cit.), per l’Inps concernono “inadempimenti verificatisi dal 1° settembre 2024”, ma anche “denunce/ dichiarazioni effettuate dal 1°settembre 2024” e relative a periodi pregressi. L’interpretazione restrittiva -in luogo di quella che permetterebbe di avvincere alla sanatoria anche omissione e ravvedimento pregressiin effetti non trova riscontro puntuale nel Decreto legge n. 19/2024, che si limita a indicare la data di decorrenza delle nuove “sanatorie” (“a decorrere dal 1° settembre 2024, all’articolo 116, comma 8, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, sono apportate le seguenti modificazioni”), da allora apparentemente efficaci sotto ogni profilo, per quanto previsto, e per tutti i casi sussumibili.

Alla predetta limitazione temporale, del resto, non corrisponde neppure la soluzione offerta dall’Istituto per la nuova fattispecie di ravvedimento operoso, a seguito di accertamento dell’amministrazione, con riduzione del 50% delle sanzioni civili, ai sensi del comma b-bis dell’art. 116, comma 8, cit.. il quale infatti stabilisce che

in caso di situazione debitoria rilevata d’ufficio dagli enti impositori ovvero a seguito di verifiche ispettive, al versamento della sanzione civile di cui al primo periodo delle lettere a) e b) nella misura del 50 per cento, se il pagamento dei contributi e premi è effettuato, in unica soluzione, entro trenta giorni dalla notifica della contestazione.

Pertanto, in ipotesi di accertamento diretto dell’Istituto, saranno avvinte alla nuova forma di regolarizzazione incentivata anche situazioni debitorie precedenti al 1° settembre 2024, sebbene accertate successivamente. In tale senso la circolare dell’Inps n. 90/2024 chiarisce che

l’articolo 30, comma 1, lettera c), del decreto-legge n. 19/2024, trova applicazione agli inadempimenti verificatisi dal 1° settembre 2024 e, pertanto, ai mancati pagamenti, correlati anche a obblighi di denuncia riferiti a periodi di competenza antecedenti alla predetta data e oggetto di accertamenti notificati successivamente alla stessa (ad esempio, accertamento notificato il 10 settembre 2024 con addebito di contributi riferito ai periodi dal 10/2023 al 04/2024).

In definitiva, a conti fatti, a seconda del tempo trascorso dall’omesso versamento, ora potrebbe addirittura risultare più vantaggioso attivarsi per una “autosegnalazione” agli Istituti (al fine di una successiva contestazione formale da parte dei medesimi, che sola permette la regolarizzazione nelle forme del predetto comma b-bis e un risparmio del 50% della sanzione civile)- o comunque attendere gli eventuali provvedimento formali- che agire per lo spontaneo versamento tardivo, specie se in difetto di una delle ipotesi ravvedimento spontaneo, ai sensi dei nuovi commi a) e b). Per meglio intendere quali potrebbero essere le valutazioni lasciate al contribuente, si osservi per esempio come, a fronte di un’omissione di € 10.000 relativa a settembre 2020 e considerata alla data del 18 ottobre 2024, un versamento spontaneo dei contributi, punito con la sanzione civile meno grave per omissione, comporterebbe il versamento di € 3.667,52 (al tasso del 9,15%); quindi, più oneroso degli effetti del riscontro d’ufficio delle medesime inadempienze contributive, addirittura ritenute nei più gravi termini dell’evasione, alla luce dell’ammissione al ravvedimento del comma b-bis e della riduzione del 50% delle sanzioni civili. In quest’ultimo caso, infatti, sarebbe garantito il minore versamento di sanzioni civili per € 3.560,23 (€ 3.000 per sanzioni civili per evasione al 50%, oltre a € 560,23 per interessi di mora)

(*)L’articolo è anche sul sito www.verifichelavoro.it della rivista Verifiche e Lavoro.


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