INCUMULABILITÀ REDDITUALE DELLE PENSIONI ANTICIPATE (QUOTA 100) ALLA PROVA DELLA GIURISPRUDENZA

Antonello Orlando, Consulente del lavoro in Roma e Bologna

Per andare in pensione, talvolta, non basta solo raggiungere (faticosamente) i requisiti anagrafici e contributivi che sono previsti dal singolo trattamento. Se il Decreto legge n. 112/2008 ha sdoganato la libertà di cumulare pensione e reddito da lavoro, sopravvivono alcune eccezioni che, a fronte di una percezione anticipata della pensione, chiedono un rapporto “monogamico” con il reddito pensionistico. In particolare, il comma 3 dell’art. 14 del D.l. n. 4/2019 prevede la non cumulabilità dei redditi di lavoro (dipendente e autonomo) con la pensione in Quota 100, che si protrae dal momento della decorrenza fino alla maturazione del requisito anagrafico per l’ingresso a pensione di vecchiaia. È concessa, invece, la sola cumulabilità con redditi da lavoro autonomo occasionale per un importo massimo di 5.000 euro lordi annui e con i redditi elencati nella circolare Inps n. 117/2019, tra cui si annoverano anche gli emolumenti percepiti anche dopo la decorrenza della pensione che fanno riferimento all’attività lavorativa svolta prima dell’accesso al pensionamento. Nell’ipotesi in cui si infranga tale divieto di cumulo, anche solo se per somme irrisorie, diverse dalla soglia dei 5.000 euro attiva per i soli redditi diversi per lavoro autonomo occasionale (art. 67, c. 1, lett. L, TUIR), l’Inps procederà alla sospensione dell’erogazione dell’assegno e al recupero della prestazione erogata nell’intero anno di riferimento. Il pensionato, nel rispetto del divieto di cumulo, potrà nuovamente percepire l’assegno dal successivo anno a patto che presenti il modello AP139 allegandolo a una richiesta di ricostituzione reddituale via portale web Inps.

Nel caso di violazione del divieto di cumulo fra redditi di lavoro e pensione in Quota 100, una tendenza recente della giurisprudenza non conferma pero’ in modo pedissequo la revoca di tutte le rate di pensione annue disciplinata dall’Istituto nella sua circolare del 2019. Dopo quasi cinque anni dal Decreto legge n. 4/2019 che aveva introdotto la pensione anticipata in Quota 100, i giudici di primo grado del Tribunale di Lucca si sono pronunciati sul tema del divieto di cumulo reddituale attiva per questa tipologia di anticipo pensionistico. Infatti, a norma dell’articolo 14 comma 3 del Decreto legge n. 4 del 2019, il titolare di pensione Quota 100 (ma analogamente lo stesso sarebbe avvenuto per i titolari di Quota 102 e della pensione anticipata flessibile Quota 103) fino al compimento dell’età pensionabile di vecchiaia subisce un divieto di cumulo reddituale fra pensione e redditi di lavoro dipendente e autonomo, fatta eccezione per 5.000 euro lordi annui di lavoro autonomo occasionale. Secondo l’interpretazione dell’Inps, ufficializzata dalla Circolare n. 117 del 2019, questo si traduce in una sorta di incompatibilità “annuale” con i redditi di lavoro percepiti in violazione del divieto per singolo anno solare.

Nella lettura amministrativa della Circolare Inps, dunque, se un assicurato percepisce redditi incumulabili in un mese qualunque dell’anno durante il quale sia titolare della pensione anticipata in Quota 100 prima dell’età di vecchiaia, il pagamento della pensione è sospeso per tutto l’anno con recupero dei ratei pregressi dello stesso anno, in quanto indebiti. Il cittadino ricorrente della sentenza n. 42/2022 del Tribunale di Lucca, pensionato titolare di Quota 100 dal mese di aprile 2019, aveva portato avanti un’attività di lavoro subordinato attraverso un’agenzia per il lavoro per un contratto a termine di soli due giorni nel luglio 2019, beneficiando di una retribuzione lorda di 148 euro al lordo delle trattenute. In osservanza della Circolare del 2019, l’Istituto aveva richiesto tutte le mensilità di pensione del 2019.

Il pensionato ha attivato un ricorso in sede giudiziaria dove il magistrato del lavoro del Tribunale di Lucca ha esaminato la vicenda alla luce del principio di proporzionalità. Tale principio nella ricostruzione del Tribunale sarebbe stato tesaurizzato dal nostro ordinamento per effetto di numerose pronunce della Corte di Giustizia Europea in materia di sanzioni, di aiuti di Stato, di deroghe alle regole della concorrenza, che lo hanno fatto assurgere al rango di principio di carattere generale dell’ordinamento comunitario e, quindi, anche nazionale. La legge 7 agosto 1990, n. 241 aveva stabilito all’art. 1, co. 1 che “l’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza, secondo le modalità previste dalla presente legge e dalle altre disposizioni che disciplinano singoli procedimenti, nonché dai principi dell’ordinamento comunitario.” Tale principio impone alla pubblica amministrazione che adotta un atto un giudizio fondato su tre criteri: idoneità, necessarietà, adeguatezza e proporzionalità della misura prescelta. Sul punto della proporzionalità della sanzione in materia tributaria, che si ritiene applicabile anche alla materia previdenziale è sufficiente richiamare alcune pronunce della Corte di Giustizia Europea, la quale ha stabilito che “i principî di proporzionalità e di neutralità dell’imposta sul valore aggiunto devono essere interpretati nel senso che, in una situazione come quella di cui al procedimento principale, essi ostano a una norma di diritto nazionale in forza della quale la detrazione illegale dell’iva è punita con una sanzione pari all’importo della detrazione effettuata.” (Corte Giustizia Unione Europea, 8 maggio 2019, n. 712/17). La sentenza di Lucca ricorda anche che il principio di proporzionalità deve essere interpretato nel senso che, in una situazione come quella oggetto del procedimento principale, le autorità tributarie nazionali non possono irrogare a un soggetto passivo, che ha acquistato un bene alla cui cessione si applica il regime dell’inversione contabile, una sanzione tributaria pari al cinquanta per cento dell’importo dell’imposta sul valore aggiunto che egli è tenuto a versare all’amministrazione tributaria, qualora quest’ultima non abbia subìto alcuna perdita di gettito e non sussistano indizi di frode fiscale, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.” (Corte Giustizia Unione Europea, 26-04-2017, n. 564/15). La analogia fra sanzioni tributarie e misure punitive per i titolari di Quota 100 continua anche nel richiamo operato dal Tribunale di Lucca alla Corte di Cassazione secondo cui “in tema di sanzioni amministrative tributarie, la mancanza di evasione o di detrazione fiscalmente illegittime non è ininfluente, alla stregua dei principi affermati dalla corte di giustizia dell’Unione Europea, ai fini della determinazione della correlata sanzione, potendo assumere rilievo in relazione al parametro della proporzionalità: ne deriva che deve essere disapplicato, per contrasto con il diritto unionale, l’art. 6, co. 6, D.lgs. n. 471 del 1997, laddove stabilisce l’entità della sanzione per illegittima detrazione d’imposta nella misura pari allo stesso ammontare della detrazione compiuta, senza prevedere la possibilità di adeguarla alle circostanze specifiche di ogni singolo caso, dovendosi prevedere la possibilità di elevare progressivamente l’entità della sanzione al fine di assicurare l’esatta riscossione dell’iva ed evitare l’evasione d’imposta.” (Cassazione 23 gennaio 2019, n. 1830).

Sulla base di questa copiosa giurisprudenza nazionale e comunitaria richiamata, nonché forte della sentenza di secondo grado della Corte di Appello di Firenze (sentenza 4 ottobre 2022, n. 604), il Tribunale di Lucca ha rilevato la mancanza di equità e proporzionalità della sospensione annuale della pensione; tale meccanismo, nel caso di specie, a fronte di un reddito percepito di 148 euro portava a una sanzione di revoca della pensione percepita per l’intero anno, con un prelievo di un reddito di quasi 56 volte superiore a quanto illegittimamente percepito. Il giudice di primo grado ha cassato la prassi di Inps, disponendo che la nozione di non cumulabilità debba leggersi nel suo significato alla lettera, escludendo a priori che la pensione anticipata in Quota 100 possa “cumularsi” con il reddito da lavoro illegittimo e che, di conseguenza, il reddito di lavoro dipendente percepito dal ricorrente nello stesso mese della pensione in Quota 100 prima dell’età della pensione di vecchiaia, vada stornato dalla pensione stessa (che sarà abbattuta di 148 euro). Per la sentenza in commento, quindi, il divieto di cumulo genera un indebito pari al mero importo incumulabile percepito e non equivalente a tutte le mensilità pensionistiche, inclusa la tredicesima, da aprile alla fine di dicembre 2019.

Va in chiusura ricordato come tale sentenza, di primo grado, non esaurisca pero’ il dibattito giurisprudenziale aperto dal divieto di cumulo reddituale di Quota 100. La sentenza della Corte Costituzionale n. 234/2022 aveva specificatamente affrontato tale aspetto. Secondo quella pronuncia, la scelta del legislatore non risultava costituzionalmente illegittima nemmeno considerando la sproporzione fra l’entità dei redditi da lavoro percepiti dal pensionato che ha usufruito della cosiddetta Quota 100 e i ratei di pensione la cui erogazione è sospesa. Tale legittimità derivava, secondo la Corte, dall’eccezionalità della misura pensionistica di Quota 100, che aveva consentito, per il triennio 2019-2021, il ritiro dal lavoro all’età di 62 anni, 5 anni prima della età pensionabile di vecchiaia. Optando per una disciplina sperimentale, il legislatore ha configurato un regime di ritiro dal lavoro disciplinato da regole molto più favorevoli rispetto al sistema ordinario di pensionamento. In questa ottica, la sospensione del trattamento di pensione in caso di violazione del divieto di cumulo è rivolta a garantire un’effettiva uscita del pensionato che ha raggiunto la pensione in Quota 100 dal mercato del lavoro, anche per creare nuova occupazione e favorire il ricambio generazionale, all’interno di un sistema previdenziale sostenibile. Nel regime descritto, la percezione da parte del pensionato di redditi da lavoro, a prescindere dalla loro entità, costituisce secondo la Corte Costituzionale elemento fattuale che contraddice il presupposto richiesto dal legislatore per usufruire del pensionamento anticipato vanificando il connesso obiettivo occupazionale.

Sarà la giurisprudenza dei prossimi mesi a dare conto della possibile diffusione del nuovo, più temperato, orientamento del Tribunale di Lucca o del ritorno di fiamma della Corte Costituzionale.


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