IL TIROCINANTE PUÒ LAVORARE?

Marco Tuscano, Consulente del lavoro in Brescia

Il tirocinante può lavorare? La risposta è sì, laddove per lavoro non si intenda quanto strettamente riconducibile all’art. 2094 c.c..

L’art. 2094 c.c., come noto, disciplina infatti la figura del lavoratore subordinato, e quindi la subordinazione, foriera di una gamma di doveri, diritti e obbligazioni in capo alle parti, indubbiamente peculiari.

Ai sensi dell’art. 1, comma 720, L. n. 234/2021, “Il tirocinio è un percorso formativo di alternanza tra studio e lavoro finalizzato all’orienta- mento e alla formazione professionale, anche per migliorare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro […]” e lo stesso, ex comma 723, “[…] non costituisce rapporto di lavoro e non può es- sere utilizzato in sostituzione di lavoro dipendente”, a sancire una volta ancora la sostanziale differenza tra lo strumento in analisi, da considerarsi puramente orientativo-formativo, e il reale rapporto di lavoro. E, sebbene quanto detto risulti piuttosto chiaro, preme notare come il dettato normativo menzionato non chiarisca in- vero la modalità di attuazione pratica del tirocinio, se non sancendo una non meglio spiegata alternanza1, identificandone invece in modo molto specifico unicamente la sua natura.

L’aspetto pratico, tuttavia, è indubitabilmente fondamentale per la corretta attuazione del periodo, al di là della (altrettanto fondamentale) qualificazione della sua natura giuridica. Se, com’è evidente, nell’attuazione e gestione del tirocinio ci si allontana da gran parte delle tutele (se non tutte) previste dal nostro ordinamento giuridico per il rapporto di lavoro subordinato, diverso aspetto è invece capire se il tirocinante possa lavorare alla stregua di un lavoratore dipendente, se possa quindi “sporcarsi le mani”, se possa operativamente manovrare gli strumenti, o fornire l’apporto concettuale tipico della figura impiegatizia, oppure se la sua debba essere una mera presenza sul luogo del Soggetto Ospitante, potendosi quindi rifiutare di rendere quella che, nei fatti e solo nei fatti, resta una prestazione di lavoro. La domanda potrebbe apparire banale, dalla risposta scontata, a maggior ragione se si tiene conto delle previsioni di cui alla Legge di Bi- lancio 2022, le quali scandiscono espressamente due momenti differenti all’interno del tirocinio, ossia lo studio e il lavoro, tra loro in alternanza.

D’altra parte, il dubbio sollevato non pare una novità, se si pensa che esistono casi in giurisprudenza che, in tutta evidenza, denotano l’insorgenza dello stesso in capo a taluni attori e ricorrenti2.

E, al fine di consegnare una risposta alla domanda che dà titolo al presente contributo, è proprio la giurisprudenza che potrà essere presa a riferimento definitivo, la quale consegna degli elementi indispensabili per comprendere cosa debba e possa fare il tirocinante nel luogo della sua esperienza formativa, così come si vedrà in conclusione.

Tuttavia, al fine di giustificare la risposta data in apertura, è possibile ricorrere anche ai documenti di prassi amministrativa, certamente espliciti nel confermare le modalità effettive di attuazione del tirocinio. Scendendo nel merito, fatte salve innanzi a tutto le precipue previsioni del singolo progetto formativo, che potrebbero delineare nello specifico la reale modalità di svolgimento dei percorsi, la prassi amministrativa sembra chiarire, a più riprese, la possibilità di adibire al lavoro il tirocinante.

In particolare, esaminando la circolare n. 8/2018 dell’Inl, si ritrovano alcuni evidenti riscontri di tale possibilità, purché non si realizzi un perfetto inserimento nell’attività aziendale (e cioè nel ciclo produttivo). In tema di riqualificazione del rapporto, dapprima la circolare in analisi chiarisce che l’“attività dei tirocinanti – benché finalizzata all’apprendimento on the Job – può presentare aspetti coincidenti con i profili dell’eterodirezione che tipicamente connotano i rapporti di lavoro subordinato”, successivamente la stessa chiarisce che tale attività debba essere “effettivamente funzionale all’apprendimento e non piuttosto all’esercizio di una mera prestazione lavorativa”.

Ciò che risulta chiaro è, in ogni caso, la presenza di un’attività lavorativa, sebbene (richiamandosi a un diverso riferimento di prassi) tale attività non possa essere svolta “come un vero e proprio rapporto di lavoro subordina- to”3, pur avendone delle sembianze in comune in termini di eterodirezione.

In tutta evidenza, l’ago della bilancia sulla legittimità del tirocinio non sarà quindi tanto la resa concreta di un’attività lavorativa di per sé, quanto l’eventuale “pregressa professionalità emergente dagli specifici compiti svolti”4 e il “ruolo assunto nell’azienda”5 dal tirocinante, tenuto conto anche (ma non esclusivamente) degli indici di subordinazione più volte enucleati dalla giurisprudenza6.

In altre parole, colui che effettua un tirocinio, pur lavorando: non potrà essere, nella resa di una determinata mansione lavorativa, titolare di doveri in termini di produttività oltreché titolare di parte7 di quelle responsabilità ascrivibili all’obbligo di diligenza; aspetti che sono normalmente da ricondurre alle obbligazioni che scaturiscono dall’instaurazione di un rapporto di lavoro dipendente e pertanto ti- pici appunto del rapporto sinallagmatico di cui all’art. 2094 cod. civ., cosa che il tirocinio assolutamente non è, pur conservando dei tratti di corrispettività8;

non potrà essere un elemento indispensabile dell’ossatura aziendale, posto che, come già chiarito, il tirocinante, ex lege, non può essere utilizzato per sostituire lavoratori dipendenti, tenuto conto in aggiunta che le linee guida del 2017 in materia di tirocini extracurricolari, teoricamente in procinto di essere sostituite ai sensi dell’art. 1, comma 721, L. n. 234/2021, chiariscono l’impossibilità di attivazione di un tirocinio da parte del Soggetto Ospitante laddove necessario “per ricoprire ruoli necessari all’organizzazione dello stesso”9;
e non potrà, infine, essere già competente e formato, il che si porrebbe in evidente contra- sto con la natura specifica dello strumento che nasce, expressis verbis, per orientare e formare.
Solo allora, egli, potrà rendere una prestazione di lavoro pur essendo un tirocinante, altri- menti si sarà in presenza di un rapporto di lavoro subordinato, che, come tale, dovrà essere coerentemente trattato.

  1. Sulla questione, preme sottolineare il passaggio da quanto sancito dalla risalente L. n. 196/1997 a quanto sancito dalla più recente L. n. 234/2021. In particolare, la L. n. 196/1997, all’art. 18, prevedeva il tirocinio “Al fine di realizzare momenti di alternanza tra studio e lavoro”, mentre la più recente norma, all’art. 1, comma 720, prevede un tirocinio che sia caratterizzato, esso stesso, dall’ “alternanza tra studio e lavoro”.
  2. Cfr. ex multis Cass,. n. 25508/2022 e Cass., n. 18192/2016.
  3. Nota Inl n. 1451/2022.
  4. Cass., n. 18192/2016.
  5. Ibidem.
  6. Cfr. Cass., n. 25508/2022, in cui si richiamano gli indici rilevatori di subordinazione e quelli sussidiari.
  7. Alcune sfumature dell’obbligo di diligenza sembrano permanere, si pensi alla correttezza e buona fede che devono essere riposte pur nella effettuazione di un tirocinio. D’altra parte, “la diligenza esigibile dal lavoratore come attitudine a rendere una prestazione positivamente inseribile nell’organizzazione produttiva predisposta dal datore di lavoro” non pare invece in linea con le caratteristiche intrinseche del tirocinio e del tirocinante, il quale deve restare una semplice appendice rispetto ad una struttura di per sé già autonoma e funzionante. Per la citazione tra virgolette si veda M. Roccella, Manuale di diritto del
    lavoro, Giappichelli Editore, p. 267.
  8. Cfr. M. Tiraboschi, che chiarisce come sia presente un diverso corrispettivo anche per il tirocinante che non è raffigurabile nella retribuzione, “il corrispettivo della attività lavorativa svolta dal tirocinante in azienda è cioè rappresentato dalla occasione di formazione e/o di orientamento”, in Diritto delle Relazioni Industriali, numero 1/XI-2001, Giuffrè Editore, p. 64.
  9. Cfr. Linee Guida 2017, premesse, punto B)

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