Con la sentenza in commento, la Corte di Cassazione Sezione Tributaria (Cass., sez. TRI n. 14344/2022 del 5/5/2022 ) si è pronunciata in materia di classificazione dei redditi ex articolo 6, co. 2 del Testo Unico Imposte sui redditi di cui al D.P.R. n. 917/86 (di seguito, TUIR), confermando che le somme percepite dal contribuente a titolo risarcitorio sono soggette a imposizione solo se destinate a reintegrare un danno concretatosi nella mancata percezione di redditi (c.d. lucro cessante), mentre non costituiscono reddito imponibile nell’ipotesi in cui siano volte a riparare un pregiudizio di natura diversa (c.d. danno emergente). Più precisamente, la Suprema Corte ha ribadito che non è tassabile il risarcimento del danno ottenuto dal lavoratore dipendente, anche in via transattiva, per la perdita di chance di accrescimento professionale.
Le premesse normative su cui si fonda tale orientamento sono note:
Tale ultima norma “residuale” in materia di imponibilità fiscale determina dunque la tassazione anche di importi di natura risarcitoria collegati al c.d. “lucro cessante”. Al proposito ricordiamo che l’Agenzia delle Entrate (di seguito anche A.E.) ha in più occasioni (cfr. risoluzione 24 maggio 2002, n. 155/E; 7 dicembre 2007, n. 356/E; 22 aprile 2009, n. 106/E; 15 febbraio 2018, n. 16/E) precisato che:
Nel caso specifico della sentenza in esame, la Corte di Cassazione Sezione Tributaria respinge il ricorso presentato dall’Agenzia delle Entrate avverso la CTR della Calabria, che aveva annullato gli avvisi di accertamento con i quali l’A.E. aveva ripreso a tassazione Irpef, quali redditi di lavoro dipendente, le somme risarcitorie percepite da dirigenti medici, dipendenti, dall’(ex) Asl di Crotone, in esecuzione di accordi transattivi e a conclusione di cause vinte dagli stessi davanti al Giudice del lavoro che – accertato l’inadempimento contrattuale dell’Asl consistito nella violazione di obblighi previsti dal Ccnl applicato dell’08/06/2000 della Dirigenza sanitaria, per non aver attivato il sistema della retribuzione di risultato – ha riconosciuto il diritto dei lavoratori al risarcimento del danno patito.
Per la CTR, prendendo atto della qualificazione giuridica del danno risultante dalla pronuncia del giudice del lavoro, “le liti transatte (…) riguardano il risarcimento del danno da perdita di chance di accrescimento professionale, come accertato dal giudice del lavoro, e, quindi, gli importi ricevuti dagli interessati sono esenti da tassazione, in linea con la giurisprudenza di legittimità, per la quale, in tema di imposte sui redditi, in base all’articolo 6 t.u.i.r., comma 2, le somme percepite dal contribuente a titolo risarcitorio sono soggette a imposizione soltanto se risultino destinate a reintegrare un danno da mancata percezione di redditi, mentre non costituiscono reddito imponibile nell’ipotesi in cui tendano a riparare un pregiudizio di natura diversa, come (appunto) quello da perdita di chance”.
Nello sviluppo delle ragioni della decisione, la Corte di Cassazione ripercorre i principi di riferimento già richiamati, precisando che le somme percepite dal contribuente a titolo risarcitorio:
Per la Corte, l’assenza di natura reddituale del risarcimento del danno per “perdita di chance”, sta nel fatto che esso ristora il danno emergente dalla perdita di una possibilità attuale: “ne consegue che la chance è anch’essa una entità patrimoniale giuridicamente ed economicamente valutabile, la cui perdita produce un danno attuale e risarcibile, qualora si accerti, anche utilizzando elementi presuntivi, la ragionevole probabilità della esistenza di detta chance intesa come attitudine attuale”.
Nelle liti transatte tra i contribuenti e l’Ente sanitario, il giudice del lavoro aveva infatti affermato che “il danno deve ravvisarsi sia sotto il profilo della lesione alla professionalità, essendo evidente che l’assenza di programmi ed obiettivi incentivanti comporti una perdita di chance di accrescimento professionale, sia sotto il profilo della perdita di chance relativa a una componente, di natura accessoria, della retribuzione”. E che “(…) dalla carenza di un programma e di obiettivi incentivanti scaturisce quella perdita di chance di miglioramento attitudinale/dirigenziale e di valutazione (eventualmente positiva) dei risultati conseguiti con ricadute economiche”.
Per la Cassazione si realizza quindi una situazione affine a quella del demansionamento laddove l’attribuzione del risarcimento non è meramente sostitutiva della retribuzione, ma innanzitutto ristora la lesione della capacità professionale del lavoratore.
A proposito del danno da demansionamento, la sentenza in commento rimanda infatti alla recente risposta dell’A.E. ad interpello n. 185 dell’8 aprile 2022, con la quale il Fisco analizza il regime tributario previsto per le somme collegate al demansionamento e, appunto, alla perdita di chance del lavoratore. In tale sede, l’A.E. ripercorre gli orientamenti giurisprudenziali in materia, precisando che “In tema di demansionamento, occorre distinguere il danno patrimoniale, derivante dall’impoverimento della capacità professionale del lavoratore o dalla mancata acquisizione di maggiori capacità, con la connessa perdita di chances, ovverossia di ulteriori possibilità di guadagno (…), da quello non patrimoniale, comprendente sia l’eventuale lesione dell’integrità psico-fisica del lavoratore, accertabile medicalmente, sia il danno esistenziale, da intendersi come ogni pregiudizio di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all’espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno (…), sia infine la lesione arrecata all’immagine professionale ed alla dignità personale del lavoratore”.
Con particolare riferimento alle somme erogate a titolo di risarcimento per perdita di “chance professionali”, ossia connesse alla privazione della possibilità di sviluppi o progressioni nell’attività lavorativa, l’A.E. richiama a sua volta l’orientamento prevalente della Suprema Corte (cfr. Cass. Civ. Sez.III, 21/7/2003, n. 11322; Cass. Civ. Sez III, 7/7/2006, n. 15522; Cass. Civ. Sez.III sent. 25/5/2007, n. 12243; etc.) secondo cui “posto che la chance è un’entità patrimoniale, giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione, la sua perdita configura un danno attuale e risarcibile (consistente non in un lucro cessante, bensì nel danno emergente da perdita di possibilità attuale), a condizione che il soggetto che agisce per il risarcimento ne provi, anche secondo un calcolo di probabilità o per presunzioni, la sussistenza”.
Nella risposta a interpello n. 185/2022, dunque, l’A.E. rileva come la giurisprudenza nel tempo abbia ribadito che il danno da demansionamento puo’ riscontrarsi in un danno alla professionalità e in una perdita di chance, che, se debitamente provate dal lavoratore, escludono che la somma erogata consista in un lucro cessante, riconducendola invece nel campo del ristoro di un danno emergente e dunque non imponibile fiscalmente.